Stupri, giornalismo imbarazzante e la solita doppia morale italiana

Se dovessimo utilizzare il linguaggio tipico dei giornali potremmo definire quella appena trascorsa un’estate all’insegna della violenza sulle donne

Lo definiremmo così, questo fenomeno,  se volessimo  riscuotere facili click e indignazioni, trattandolo non per quello che è un fenomeno strutturale e trasversale ma un’emergenza, un’ondata di follia o gli effetti collaterali causati dal caldo.

Ecco, infatti che Libero pone la violenza di genere sullo stesso piano dei turisti cafoni e, appunto, del caldo.

La violenza sulle donne non è provocata da determinate condizioni meterologiche o non è scatenata da ondate di follia che si manifestano nel paese in periodi ben precisi dell’anno, ma ha radici culturali ben profonde.

Nonostante tutti gli appelli rivolti ai giornali affinché utilizzassero un linguaggio e una narrazione più consona al fenomeno della violenza di genere i giornali, la maggior parte, sembrano essere completamente sordi non solo ai nostri appelli, ma anche ai cambiamenti della società per inciso: ci sono ancora giornali che utilizzano termini come “capo famiglia” o delitto passionale.

Tantissime volte, sotto le nostre analisi sul linguaggio giornalistico,  vari utenti ci hanno risposto che le nostre aspettative, verso certo giornalismo, sono troppo alte, il nostro lavoro è praticamente inutile e, in fondo, “cosa vi aspettate da Libero (o inserire qualsiasi altro giornale a caso)?”

Le nostre aspettative non sono state mai altissime in realtà, quello che ci preme è che il giornalismo si renda conto del ruolo importante che ha nella costruzione della cultura e delle opinioni nella società.

Un esempio lampante di come i giornali influenzino –troppo spesso negativamente— l’opinione pubblica, instillando giudizi e stereotipi discriminatori, sono state le due diverse reazioni ai due episodi di violenze sessuali avvenute a Rimini e a Firenze. Pochissimi sono stati i giornali che hanno divulgato le notizie in maniera corretta. Mi viene in mente per quanto riguarda le violenze di Rimini, ad esempio, come la stampa abbia totalmente omesso l’altra vittima o se l’hanno fatto in maniera errata e con il solito “un” trans.

Sul primo caso i colpevoli sono quattro nordafricani sull’altro, gli accusati, sono due italiani —perlopiù in divisa. Sul primo caso per giorni e giorni abbiamo assistito ai linciaggi, a gente che augurava pene di morte e castrazioni coatte, agli auguri di stupro a Boldrini e a tutte quelle donne che si discostavano minimamente dalla retorica xenofoba.

Abbiamo assistito alla solita tiritera del “sono bestie, non rispettano le donne”, insomma al solito spettacolo razzista e impietoso.

Quattro giorni fa, a Firenze, due studentesse americane di 19 e 21 anni hanno denunciato di essere state stuprate da due carabinieri che si erano offerti di  accompagnarle a casa dopo una serata in un locale.

Inutile dire che le reazioni a questa notizia sono state totalmente diverse da quella precedentemente elencata. Partiamo con Il Giornale e Libero che, ça va sans dire, sfoderano un garantismo che ci saremmo sognati fino a qualche giorno fa nel caso di Rimini.

Per quanto riguarda invece il parere della gente, notiamo la solita doppia morale.

Se lo stupratore è straniero vengono messe in discussione tutte le persone appartenenti a una data religione e/o nazionalità. Inoltre quando è straniero la questione è culturale.

Quando lo stupratore è  italiano –e per di più in divisa e tutore della legge— spunta il garantismo, il beneficio del dubbio, si minimizza l’accaduto, si tracciano ipotesi dove, guarda caso, chi mente è sempre la vittima.

Inoltre accade che se la vittima, nel momento della violenza, era sotto effetto di alcol o altre sostanze —e quindi in stato di minorata difesa— per coloro che puntano il ditino dando lezioni di civiltà ed emancipazione agli immigrati rappresenta un’aggravante non per lo stupratore ma per la vittima.

Nel paese che ama fare le filippiche ai “musulmani” vige ancora la morale secondo cui bere non è attività da donna e farlo implica in qualche modo la tua integrità morale.

In queste ore uno dei due carabinieri ha ammesso di aver avuto un rapporto sessuale con una delle due ragazze. Lo definisce così. In più aggiunge che la ragazza non fosse ubriaca o almeno che lui non se ne fosse accorto. Credo sia lecito allora chiedersi: perché mai, se le ragazze fossero perfettamente lucide e in grado di camminare sulle proprie gambe, accompagnarle fino alla porta di casa?

L’avvocato della ragazza, invece, sostiene:

«non si consuma solo con la violenza fisica o con le minacce ma anche abusando delle condizioni di inferiorità psichica o fisica al momento del fatto». Si chiama «minorata difesa» e che le due ragazze fossero molto alterate dall’alcol risulterebbe da testimonianze ed esami. Quindi la parola «consensuale» usata dal capopattuglia che ieri si è presentato in procura per ammettere il rapporto sessuale sembra non servire a ridimensionare i fatti. Le due studentesse, in sostanza, erano in condizioni tali da non poter opporre nessuna resistenza.

Inoltre spunta una foto scattata da una delle due studentesse che ritrae l’uomo, uno dei due carabinieri, mentre abusava di lei.

Una delle cose più incresciose in questa vicenda è che, ancora di più dopo la testimonianza di uno dei due carabinieri, il confine che divide un rapporto sessuale consensuale e una violenza sessuale, per i più, sta diventando sempre più impalpabile

La differenza tra rapporto consensuale e violenza non dovrebbe essere un discorso tanto complesso da afferrare dato che i sì e i no sono le prime nozioni che impariamo sin dai primi mesi di vita.

Non è ancora chiaro che uno stupro non è una scopata ma obbligare una persona ad avere rapporti sessuali o approfittare delle condizioni psico fisiche di una persona in un dato momento è violenza.

In tutta questa vicenda viene fuori la solita doppia morale italiana, come scrive Luca Sofri: “Lo stereotipo dell’integro tutore dell’ordine e quello della studentessa straniera troietta si impadroniscono di menti e tastiere”

Non paghe, molte testate, hanno anche costruito una versione che si è poi rivelata una vera e propria bufala. Una presunta assicurazione anti-stupro che le due ragazze americane avrebbero fatto prima di venire in Italia sottointendendo, praticamente, che le due studentesse avessero tornaconti economici; sicché, secondo loro, le due si sarebbero inventate lo stupro  per incassare i soldi dell’assicurazione
Ed ecco le reazioni che hanno generato
Immagine presa su NextQuotidiano
 Come specifica uno dei loro legali la notizia non è reale: «Le ragazze non hanno nessuna assicurazione antistupro, ma soltanto una generica assicurazione che di prassi le università americane stipulano per i loro studenti che di recano all’estero: è una polizza che riguarda il furto e le rapine e altri tipi di danni, ma loro neppure erano a conoscenza di questa cosa». Tra l’altro, sarebbe bastato fare una ricerca su Google per capire come funzioni la sanità e le assicurazioni su di essa in America.
Ne sarebbe stato capace persino un bambino in età prescolare.
Ecco ancora come alcuni giornali hanno parlato dell’intera vicenda
 Quale sarebbe la fonte dei dati riportati da Il Mattino, Il Messaggero e tanti altri giornali? Non ci è dato saperlo. In molti hanno chiesto delucidazioni circa le fonti di questi dati ma a nessuno è pervenuta una risposta.

Il questore di Firenze ha sostenuto:

Una vera e propria fakenews che sta girando in queste ore, è quella relativa al fatto che “il 90 per cento delle denunce per violenza sessuale delle studentesse americane risulterebbe infondata”. E che nell’ultimo anno ci sarebbero state ben duecento denunce. Bufala al cubo. Sempre la questura di Firenze precisa infatti che “nel 2016 in provincia di Firenze ci sono state 51 denunce per violenza sessuale. Non possiamo al momento fare una casistica delle vittime, italiane, straniere, americane. Per noi sono tutte violenze in ugual modo”.

Il giornalismo si è ridotto ad un copiaincolla, senza fare ricerche, senza documentarsi, senza verificare le fonti prima di pubblicare. E se questa tecnica può essere adottabile senza grossi danni per contenuti come “il video del gattino che ha commosso il web” ci aspetteremmo per questioni come la violenza un po’ più attenzione e che vengano almeno citate fonti ufficiali e attendibili per avvalorare ciò che si sta sostenendo.

Citando nuovamente le parole di Sofri:

[…]Ma mi permetto di sperare che una volta o l’altra di queste infinite volte ci si ponga il problema generale di quale sia la cultura che viene formata nelle redazioni italiane, e non solo quello della correzione o ammissione di questo o quell’errore, che chissenefrega.

Perché io intravedo alcuni ordini di problemi un po’ più grossi. Quello di un’informazione per la quale – tra una foglia di fico e l’altra – le donne sono ancora quotidianamente carne da boxino morboso. Quello di un’informazione che vivacchia da sempre barattando indulgenze e complicità con procure e corpi di polizia in cambio di notizie e carte giudiziarie. Quello di un’informazione in cui la cultura della sciatteria e del sensazionalismo ha annullato quasi del tutto l’accuratezza, la verifica dei fatti, l’obiettività. Quello di un’informazione che pensa che i lettori siano cretini, o per presunzione o per affinità. I lettori peraltro pensano ormai lo stesso di chi fa informazione, e presto avremo ragione tutti quanti.

Da una parte il giornalismo che contribuisce in maniera notevole a seminare stereotipi,  sentimenti razzisti e misogini dall’altra chi, legittimato dalla politica, non attende altro che seminare xenofobia e razzismo e poi questa sorta di gara che si è scatenata da un po’ di tempo a questa parte di segnare i punti delle violenze degli italiani da una parte e quelli degli immigrati dall’altra. In tutto ciò che fine fa il dibattito sulla violenza di genere e il razzismo? Che fine fanno le vittime?

 

Altre fonti:

NextQuotidiano

Il Post

 

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