Manipolazioni e strumentalizzazioni della violenza contro le donne, in vista del 25 novembre

La Convenzione di Istanbul, ad oggi, è ancora il testo legislativo più importante per la prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica.

Il testo fornisce (tra tutte le altre cose) gli obiettivi della Convenzione, le definizioni, il campo di applicazione, gli obblighi generali per la prevenzione, la protezione e il sostegno verso le vittime (e molto altro ancora).

Ci avviciniamo al 25 novembre, data in cui ricorre la “Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne”. Benché tale giornata sia stata indetta dal 1999, è solo da pochi anni che in Italia si è iniziato a organizzare iniziative ed eventi in tema, ma non si può negare che, nel bene e nel male, ormai anche nel nostro Paese, questa giornata sia ormai nota e che si moltiplichino le iniziative.

Di violenza contro le donne si parla sempre più spesso, talvolta anche a sproposito, talvolta in modo non adeguato, strumentalizzandola per vari motivi, sia per pubblicità, sia per propaganda elettorale, ci sono anche movimenti di vario tipo che negano esista la violenza contro le donne, o la negano come componente strutturale, organica, storica e culturale della società, considerando in modo isolato i vari casi, visti come fatti nati da situazioni di degrado, di follia, di “malattia” singoli…

Risulta, però, tutto sommato, impossibile non vedere che ci sono ancora moltissime donne che vengono discriminate, picchiate, ferite e addirittura ammazzate solo in quanto donne, per motivi basati “sul genere”.

In alcuni ambienti cattolici conservatori, ove il modello sociale e famigliare che viene indicato come “giusto” è quello “alla Costanza Miriano”, si oscilla tra il definire la violenza contro le donne un “prodotto del femminismo” che avrebbe portato le donne a rinnegare “la loro natura”, esponendosi quindi a violenza, sofferenza e dolore e il negare che il fenomeno esista, andando a ricercare i motivi dei vari fatti di cronaca nera che narrano di femminicidi, in relazioni nelle quali si è smarrito Dio, nelle quali, in pratica, entrambi i coniugi hanno perso di vista lo scopo del matrimonio.

Va di gran moda parlare di violenza sulle donne. Ogni tanto c’è una marcia, un appello in televisione, ne parlano le autorità. Ci sarebbe molto da dire sui dati veri, che non sono quelli sparati disonestamente da certi giornali, ma adesso non è il momento… . È chiaro comunque che è in atto una campagna di delegittimazione dell’uomo: è nei suoi confronti, piuttosto, che io vedo violenza, una violenza ideologica. Mi sembra che gli uomini siano davvero sotto attacco: lo è la loro identità, la loro autorevolezza, il loro ruolo dentro e fuori casa. Questo mi dice la mia esperienza personale.

Quanto alla violenza sulle donne, penso anche a quella che le donne hanno fatto a se stesse con il movimento di cosiddetta liberazione.

Ci siamo prese una fregatura incredibile, e scusate il termine poco accademico, poco consono a questa sede, ma non me ne viene un altro più efficace. Vedo intorno a me tante, tantissime donne che, imbevute dell’ideologia unica, sono andate incontro alla loro sofferenza a braccia aperte.

(Da un discorso di Costanza Miriano)

Recentemente è stato pubblicato il “Manifesto femminile delle donne cattoliche”, ove ritroviamo ancora Miriano tra le firmatarie.

Tra i punti:

Come donne e cristiane rifiutiamo il falso mito femminista dell’emancipazione, della supremazia, della rivendicazione, dell’autonomia, del potere di abortire, del potere di distruggere la famiglia nel divorzio, del potere che il mondo trasforma in schiavitù e che ferisce ogni giorno il progetto originario di complicità con l’uomo, negando la profonda e meravigliosa ricchezza che trasuda dalle nostre differenze.

 Come madri saremo pronte a rifiutare il potere e i riconoscimenti professionali quando avranno il prezzo di una carriera che in cambio vuole i nostri figli cresciuti da “altri”, rivendichiamo il diritto a scegliere se stare a casa ad accudire i nostri figli come la più alta, appassionante e intelligente delle imprese anche intellettuali, oltre che affettive. Chiederemo, se sceglieremo di lavorare, o se vi saremo costrette, almeno il diritto a contratti che riconoscano che ogni madre è prima di tutto madre, ed essere costrette a trascurare pesantemente la famiglia è una forma di violenza sulle donne.

Come spose e madri, immagine di Maria nella Santa Famiglia riconosciamo il valore del nostro essere “cavità” accoglienza che plasma, terreno che edifica dove gli uomini come pilastri custodiscono le fondamenta per edificare e collaborano per portare a compimento la costruzione della famiglia. Ci impegneremo, anche se ci costerà fatica, a fare silenzio accogliendo il loro spazio come dimensione preziosa del nostro crescere insieme.

Sulla stampa cattolica più radicale, questi concetti, così come la negazione che esistano discriminazioni inique tra donne e uomini, vengono più volte ribaditi. Anzi, tutte le volte che nel nostro Paese si inizia a discutere di “educazione al rispetto”, “educazione all’affettività”, “educazione al rispetto”, giornali come “Notizie pro vita” o “La nuova Bussola Quotidiana”, si inventano significati nascosti dietro queste iniziative, come dicevo QUI.

Però, in fondo, negare che esista la violenza contro le donne o affermare pubblicamente di essere contro le pari opportunità e l’uguaglianza tra donne e uomini farebbe “cattiva pubblicità”, allontanerebbe le persone, non creerebbe appeal…

Ma affermare che donne e uomini debbano stare sullo stesso piano, che le donne abbiano piena titolarità di diritti su se stesse, la propria vita e il proprio corpo proprio come gli uomini, risulta impossibile, come abbiamo visto dalle dichiarazioni delle “donne cattoliche” e quindi come non sembrare dei trogloditi maschilisti, ignorando la violenza contro le donne?

Semplice: strumentalizzando uno dei temi cardine delle battaglie femministe, l’aborto (da sempre mal visto in certi ambienti)

Fioccano articoli, post e riflessioni che manipolano il concetto di femminicidio, mescolandolo con l’aborto: se “selettivo”, non evidenziando come l’aborto di feti femmine sia, di fatto, un macroscopico esempio di come essere femmina significhi ancora troppo spesso e in troppe parti del mondo vivere in una condizione di inferiorità, rifiuto, ma piuttosto per  ribadire che l’aborto in sé e per sé sia un male, da vietare, negare, rendere vietato ovunque (esempi: QUI , QUI, in cui la morte di donne seguente ad aborti male eseguiti, viene definita “Femminicidio”, in modo del tutto improprio).

Insomma, questa stampa, e le persone che fanno parte del target di riferimento, si accostano alla tematica della violenza contro le donne, soltanto quando le donne scelgono di abortire, indicando come il rifiuto della gravidanza sia qualcosa che nuoce alle donne, sia madri, sia feti e che questa sia sostanzialmente l’unica forma di violenza di genere da combattere.

Il concetto è sconcertante. Nel momento in cui le donne esercitano autonomia di decisione sul proprio corpo, fondamentale forma di libertà e di diritto, per questi personaggi, si concretizza la violenza contro le donne.

Nella Convenzione di Istanbul, l’aborto è considerato una forma di violenza contro le donne solo quando forzato: ovvero quando praticato contro la volontà della donna, perché, appunto, sta nel rispetto del volere e dell’autodeterminazione delle donne, la chiave per combattere e prevenire la violenza. E non potrebbe essere altrimenti.

Immagino che vi stiate dicendo che, tutto sommato, questi articoli, questa disinformazione scandalosa, questo negazionismo intriso di paternalismo e maschilismo, sia qualcosa di ristretto a pochi ambiti, qualcosa che riempie le pagine di quotidiani “fondamentalisti” e che lì rimanga. Discorsi di poch* fanatic*.

Invece no.

Vengo a sapere dal blog “Nuvolette di pensieri” di Simona Sforza che per il 25 novembre 2017 si è organizzato dal Municipio 7 del Comune di Milano, un evento dal titolo: Lo sguardo di una madre.

Scrive Sforza e io l’abbraccio in pieno:

Dalla locandina si evince che 4 uomini, cosa molto consueta ma non per questo accettabile, parleranno di maternità, di donne, di diritti delle donne. Ci risiamo, sui corpi e sulle scelte delle donne, parlano gli uomini. Un centro di aiuto alla vita entra nelle istituzioni e per il 25 novembre si devia l’attenzione dagli obiettivi specifici e propri della Giornata e si affronta un tema che è importante, ma che non può avere un unico interlocutore, un unico punto di vista, oltretutto fortemente schierato. Questa è manipolazione. La violenza di genere è un fenomeno ben preciso, che non va confuso e strumentalizzato per altri fini.

….

Quella prevista per il 25 novembre in Municipio 7 è una iniziativa a senso unico, che ospita di fatto una sola realtà, che tra l’altro non rispetta pienamente l’autodeterminazione delle donne, che è marcatamente contro un diritto previsto da una legge dello Stato italiano, la 194/1978, una realtà no-choice, che dichiaratamente interviene in un momento delicato e rischia di colpevolizzare le donne e le loro scelte.

Il tutto avviene il 25 novembre, giornata dai temi ben precisi, ma evidentemente non colti dalla maggioranza municipale. L’iniziativa è stata costruita senza possibilità di contraddittorio, senza una sola voce che parli di contraccezione e di modalità prevenzione delle gravidanze indesiderate, un percorso educativo che riguarda entrambi i sessi.

Rimarco il fatto che dalla locandina si evince che gli organizzatori e i relatori sono tutti uomini. Noi donne non abbiamo voce. Noi donne impegnate da anni su questi temi non siamo ascoltate e soprattutto questo mi sembra un pesante schiaffo in una giornata in cui dovrebbero essere ben altri i focus e soprattutto le modalità di approfondimento e di confronto. Uno spot molto pericoloso, senza un barlume di laicità, un valore fondamentale. Altro che cultura del rispetto, siamo proprio allo sbeffeggiamento di lotte di decenni. La legge 194 nel 2018 compie 40 anni e non gode di buona salute. Che senso ha chiedere più consultori pubblici e laici se poi si fa pubblicità a questo genere di movimenti all’interno di pubbliche istituzioni?

Nell’iniziativa municipale non vi è traccia di uno degli scopi fondamentali del 25 novembre: informare e sensibilizzare sulla violenza di genere.

Evidentemente si preferisce adoperare questa giornata per fare propaganda su altro, nessuna traccia di contrasto agli stereotipi, ai ruoli segregati per genere e a meccanismi relazionali nocivi.

Sembra di essere in pieno medioevo e soprattutto sulle scelte delle donne sono ancora una volta degli uomini a discettare e a tracciare la via.

Sui nostri corpi sono ancora gli uomini a decidere. Paradossale che nel 2017, in occasione della Giornata del 25 novembre, le donne vengano adoperate all’occorrenza, strumentalizzate per veicolare messaggi con lo sguardo indietro e per ribadire che noi donne siamo incapaci di scelte autonome, abbiamo bisogno di “guide” maschili, che ci aiutino a scegliere come loro desiderano. Paradossale che non vi sia spazio per ciò che le donne pensano, il loro pensiero viene ancora una volta silenziato, subordinato a una interpretazione maschile. C’è una preoccupazione di controllare le donne, come se non fossero individui, esseri umani pienamente consapevoli e in grado di autodeterminarsi. Abbiamo l’impressione che l’assenza di donne nell’iniziativa municipale sia un segnale non casuale, ma indichi ancora una volta la mentalità secondo la quale non è bene che le donne parlino per se stesse, senza intermediari. Sempre sotto tutela di un padre, di un marito, di un fratello. Mai autonome, mai pienamente capaci. Forse perché non emerga che le donne reali, non quelle dipinte da certi ambienti, non vogliono essere ridotte a mere fattrici e ai ruoli/comportamenti codificati nei secoli dagli uomini.

E quindi, no, non si tratta di manipolazioni del tema della violenza contro le donne – oscene e scandalose, ma limitate ad una certa parte del mondo cattolico – ma ci vengono presentate da un Ente pubblico, di uno Stato laico, come unico tema da trattare nella giornata del 25 novembre.

Intollerabile.