Esercizi di finta democrazia. La consultazione pubblica sulla violenza di genere

Il 10 Dicembre il Dipartimento delle Pari Opportunità mette a disposizione una piattaforma per la consultazione pubblica sulla violenza di genere.
Dopo il successone della consultazione per la Buona Scuola, ovvero il progetto di riforma scolastica, il governo Renzi ci riprova, chiedendo il parere praticamente di chiunque su materie di grande complessità.

La piattaforma di consultazione per la Buona Scuola è stata annunciata in pompa magna e presentata come un grande esercizio di democrazia.
Sono la democraticità e l’interesse per la partecipazione e il punto di vista dei cittadini che muovono anche la consultazione sulla violenza di genere. Tanto si sa che di scuola son tutt* competenti e di violenza contro le donne ormai se ne parla in ogni talk show che si rispetti, vuoi che non si abbia un parere da esprimere?

Il rischio più evidente di questa operazione democrazia è sicuramente quello della banalizzazione, ad esempio nella consultazione sulla riforma scolastica si sono raccolti commenti su materie molto complesse, come quella del reclutamento degli insegnanti, di difficile comprensione per chi è dentro il mondo della scuola, figuriamoci per chi ne è estraneo.
Commenti populisti sugli insegnanti che hanno troppe vacanze si sono alternati a quelli delle assiciazioni di genitori bigotti contrari all’introduzione di una fantomatica e inesistente “ideologia gender”, poi quelli che volevano maggiori fondi per le scuole paritarie cattoliche e Confindutria che auspicava un maggiore legame tra scuola e imprese. Le varie proposte potevano essere votate con cuoricini, versione più tenera del like di facebook, ed era previsto anche un questionario, che in realtà si presentava come una sorta di percorso obbligato, che alla fine ti portava a dire che a te la riforma sulla scuola piaceva assai nonostante magari ti facesse schifo.
L’operazione democrazia della Buona Scuola viene platealmente smascherata per quello che veramente era, una subdola azione di propaganda, quando insegnanti, pochi, e studenti/esse, per fortuna molt* di più, hanno manifestato dissenso, non negando un cuoricino sulla piattaforma, ma occupando le scuole e scendendo nelle piazze. A quel punto la repressione da parte del governo è stata forte e l’ascolto delle proposte inesistente.

Questo modello di finta e inutile partecipazione dal basso vorrebbe essere replicato nella piattaforma di consultazione sulla violenza di genere.
Fino al 10 Gennaio sarà possibile iscriversi alla consultazione pubblica e commentare (le votazioni invece sono state sospese) i sette punti del “piano d’azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere”.

Senza nomeGià parlare di piano d’azione straordinario è un errore, perchè la violenza di genere ha una sua specificità, ha profonde radici sociali/culturali ed anche economiche, un piano d’azione che voglia contrastarla non deve essere straordinario ma strutturale.
La violenza contro le donne, complice anche un pessimo giornalismo, è stata presentata negli ultimi anni sempre all’interno di una cornice emergenziale, l’emergenza è strumentale all’emanazione di disegni di legge, come quello del governo precedente, securitari ed esclusivamente punitivi senza minimamente agire modifiche in ambito educativo e culturale o realizzare strumenti che funzionino in lunga prospettiva, come ad esempio un osservatorio nazionale sulla violenza di genere che raccolga dati per una conoscenza ancora più approfondita del fenomeno.

Una proposta come la piattaforma di pubblica consultazione è un errore perchè il rischio di banalizzazione e stereotipizzazione di questi argomenti è fortissimo, ma anche perchè si ignora che per parlare di violenza di genere siano necessarie competenze specifiche, non può farlo chiunque.
Ci sono persone che da anni lavorano nei centri antiviolenza, donne che hanno una formazione, delle competenze, delle buone prassi che dovrebbero essere condivise e messe a disposizione.

D.I.R.E., rete di centri antiviolenza, il 15 Dicembre scorso diffonde un comunicato con cui prende le distanze dalla pubblica consultazione sulla violenza di genere e invita al boicottaggio

Il Dipartimento per le Pari Opportunità ha aperto lo scorso 10 dicembre una pubblica consultazione sul Piano straordinario contro la violenza sessuale e di genere. L’associazione nazionale D.i.Re, Donne in Rete contro la violenza, e i suoi oltre 70 centri antiviolenza non parteciperanno a questa concertazione e invitano la cittadinanza ad ignorare questa sollecitazione.

Non è collezionando opinioni e commenti, critiche e suggerimenti, viziati dal pericolo serio della banalizzazione e dello svilimento del fenomeno della violenza alle donne che si affronta il tema dei diritti violati.

Troppi stereotipi e pregiudizi nutrono la percezione sociale e culturale del fenomeno. I Centri antiviolenza D.i.Re, distribuiti sul territorio nazionale, lavorano su questo da oltre un ventennio anche per costruire una cultura, volta al superamento di clichè e di modelli, attraverso iniziative di sensibilizzazione e di formazione.

La nostra esperienza, i nostri saperi sono stati messi a disposizione del Governo con la partecipazione attiva ai Tavoli di lavoro della Task force interministeriale contro la violenza alle donne, coordinati dal Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio. Un percorso difficile, discontinuo e poco lineare dai cui esiti abbiamo preso le distanze anche pubblicamente.

Il Governo ha perso un’occasione per fare tesoro dell’esperienza preziosa di chi con le donne lavora da decenni, mettendo a disposizione della collettività analisi, metodi e pratiche. Diciamo no a questo tipo di consultazione sul Piano!

La libertà delle donne, la prevenzione e il contrasto della violenza alle donne si costruiscono con le donne e con l’autentica partecipazione e il coinvolgimento delle associazioni.

Sul sito del dipartimento delle Pari Opportunità c’è scritto che “i contributi concorreranno ad una migliore articolazione del Piano Nazionale”, allora io sono andata a vedermeli questi contributi.
I commenti alle sette linee d’azione presentate nel piano del governo (rappresentazione nei media, formazione, educazione di genere, raccolta dati, inserimento lavorativo donne vittime di violenza, reinserimento uomini autori della violenza, analisi fattori di rischio) sono per la quasi totalità commenti negazionisti, ovvero di persone che negano che esista la violenza di genere.
C’è chi vorrebbe aprire dei centri per gli uomini che subiscono violenza domenstica dalle donne, chi sostiene che il patriarcato non esiste più, chi richiede interesse per la problematica della violenza sugli uomini, chi, immancabile, si scaglia contro l’educazione di genere perchè ci sono i maschi e le femmine e non confondiamo le acque.

Se proprio si vuole educare al rispetto, lo si deve fare in una prospettiva “umanista”, non di genere.

Rispetto tra i generi non vuol dire realizzare ingegneria sociale e annullare qualsiasi differenza tra i sessi. Valorizzare le diversità non vuol dire creare insegnanti che obbediscano a programmi di regime finalizzati ad annullare qualsiasi distinzione tra maschi e femmine creando promiscuità sociale.

E’ importante ribadire specie nelle scuole con i bambini che esistono due generi di esseri umani la Donna e l’Uomo come la natura li ha plasmati, se questi corsi di sensibilizzazione servono per confondere ulteriormente i più piccoli oppure fare del terrorismo psicologico su di essi, allora sono soldi buttati.

La violenza di genere riguarda anche gli uomini. E’ opportuno pertanto che tale codice si estenda anche alle vittime maschili e che, per evitare fraintendimenti, gli si dia un altro colore.

Questi sono alcuni dei commenti che dovrebbero “concorrere a una migliore articolazione del Piano Nazionale“.
Stereotipi triti e ritriti contro cui chi lavora contro la violenza di genere costantemente si scontra e cerca di decostruire pezzettino per pezzettino e adesso questi stereotipi ce li ritroviamo legittimati dal governo e dal Ministero delle pari opportunità come valide opinioni per la realizzazione di un piano contro la violenza di genere.
Un’offesa contro chi lavora con competenza e passione, uno spreco di saperi e buone prassi che non vengono prese in cosiderazione o vengono ivitate a esprimersi su una piattaforma accanto a un negazionista qualsiasi.

Questa consultazione pubblica, come quella sulla buona scuola, è un esercizio di finta democrazia, quelle opinioni non concorrono a migliorare un bel niente, semmai hanno lo scopo di alimentare un clima culturale retrogrado e misogino.
Siamo stanche di essere oggetti di tutela, beneficiarie di leggi emergenziali, materia di propaganda, sponsor di pessimi governi.

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