“Io voterò per chi”, il sindacato ci prova, ma sbaglia: ecco perché

Mi sono imbattuta per caso, frequentando Facebook, in questa campagna dello SPI CGIL della Regione Toscana, creata in occasione della giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, un invito – dice il sito – alla politica perché si assuma le proprie responsabilità sul tema.

Se l’intento è buono, non altrettanto posso dire della scelta grafica e nemmeno dei punti evidenziati e che dovrebbero portare il corpo elettorale a votare per chi si dovesse impegnare contro la violenza di genere.

L’immagine scelta è scenografica e va a parlare alle pance di chi la guarda, con quell’ambiente squallido e misero e quella striscia di sangue che scivola verso il pavimento.

Una spettacolarizzazione della violenza che, tra l’altro, sembra voler suggerire che le violenze avvengano in ambienti degradati e poveri, quando invece, sappiamo che non è così: la violenza non risparmia nemmeno le fasce di popolazione più abbienti e istruite.

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Anche lo slogan “Io voglio vivere” rientra nello stesso discorso: una sorta di morbosità e di gusto nello sbatterci in faccia gli aspetti più crudi della violenza, quasi cancellandone quelli che sono, invece i tratti più comuni, diffusi e nascosti.

Una striscia di sangue e un femminicidio sono enormità: si vedono, fanno notizia, gridano nel silenzio che avvolge la violenza contro le donne. Certo che le donne vogliono vivere, però vorrebbero poter vivere libere da violenza psicologica, da discriminazioni, da percosse e ingiurie, tutte cose che, in questo “manifesto” non sono nemmeno accennate.

Vediamo quali sono i punti su cui la politica di dovrebbe impegnare, alcuni dei quali condivisibili, altri meno.

Il primo fa cenno alla cd “legge sul femminicidio” del 2013 che, quando è entrato in vigore, ha suscitato, tra le “addette ai lavori” (le operatrici e le esperte di violenza contro le donne) non poche perplessità.

Una delle più note esperte in campo, l’avvocata Barbara Spinelli, all’indomani della legge scrisse:

Il decreto legge è stato presentato dal Governo come decreto legge sul “femminicidio”, poiché, tra le altre, al capo I contiene misure rivolte alla “prevenzione e contrasto della violenza di genere”.

In realtà si tratta di un vero e proprio pacchetto sicurezza, che legittima la necessità di utilizzare il diritto penale “per finalità dissuasive” in ragione del “susseguirsi di eventi di gravissima efferatezza in danno di donne” e del “conseguente allarme sociale che ne è derivato”.

Il femminicidio, anche se scoperto dai media e preso in considerazione dalla politica solo di recente, non è fenomeno di oggi: la violenza maschile sulle donne ha un carattere strutturale e non certo emergenziale, come affermato dal Preambolo della Convenzione di Istanbul , recentemente ratificata, e come pure riconosciuto dalla Presidente Boldrini e dal Presidente Grasso a più riprese.

Lo stesso Decreto Legge non si limita a trattare la violenza contro le donne come un fatto emergenziale che provoca un allarme sociale, legittimando, quindi, misure penali, tra l’altro molto discutibili, come l’inasprimento delle pene, ma tratta anche le donne come soggetti “deboli”.

L’individuazione della donna, alla pari di minori e disabili, come “soggetto debole”, legittima e giustifica l’adozione di politiche “protezionistiche” da parte dello Stato, nell’ottica che la tutela si debba garantire attraverso il controllo.

Al contrario, le Convenzioni internazionali e regionali in materia di diritti umani delle donne ratificate dall’Italia, impongono di non considerare le donne vittime di violenza soggetti deboli, ma soggetti vulnerabilizzati dalla violenza subita. Questa lettura della violenza maschile sulle donne, imposta tanto dalla CEDAW quanto dalla Convenzione di Istanbul, modifica il contenuto dell’obbligo dello Stato: non un obbligo di tutela, come erroneamente e in mala fede per anni interpretato dal legislatore, ma un obbligo di rimozione degli ostacoli esistenti per l’effettivo godimento, da parte delle donne, dei loro diritti fondamentali.

Pertanto, scegliere di votare per chi potenzierà l’applicazione di questo controverso Decreto Legge, è discutibile (ricordo anche che alcune delle misure introdotte, come, per esempio, il fatto di non poter ritirare la querela, per alcuni reati, fino alla prima udienza, hanno incontrato opinioni sfavorevoli di molte operatrici e avvocate dei Centri Antiviolenza).

E proprio i Centri sono citati nel manifesto.

E’ vero che i Centri Antiviolenza abbisognano di finanziamenti, perché la loro stessa esistenza è sempre a rischio per problemi di denaro, ma voglio anche ricordare che ricevere finanziamenti pubblici impone di render conto dei soldi spesi, secondo sacrosante logiche di buona gestione delle risorse, ma questo solleverebbe e, di fatto, solleva parecchi problemi.

E’ materia recentissima la rivolta dei Centri Antiviolenza lombardi contro la Regione che vuole imporre ai Centri Antiviolenza la registrazione del codice fiscale delle donne, misura che contrasta con le modalità di lavoro dei Centri, così come vanifica il consenso della donna, la valutazione informata delle conseguenze della sua denuncia imponendo alle operatrici dei centri il ruolo di incaricato di pubblico servizio. Inoltre, la Regione sta costruendo un albo regionale che accredita anche soggetti che non rispettano la metodologia dei Centri, vanificando così anni di impegno politico e di risultati raggiunti.

Perciò sarebbe utile scovare forme di sostegno economico e finanziario dei Centri che però ne riconoscano anche i metodi e i saperi, per valorizzarli davvero.

Insomma, questo secondo invito alla politica è piuttosto banale.

Per quanto riguarda la depenalizzazione del reato di stalking e la sua estinguibilità con il pagamento di una multa, lo SPI CGIL è un pochino rimasto indietro: non sarà più possibile estinguere il reato di stalking pagando una piccola multa. Dopo 5 mesi di battaglie finalmente il decreto fiscale collegato alla manovra approvato definitivamente esclude espressamente l’applicabilità dell’articolo 162-ter del codice penale al reato di atti persecutori. E questo grazie alle donne, alla loro mobilitazione e alle loro associazioni.

Nulla da eccepire, per quanto riguarda la tutela degli orfani, mentre, l’ultimo punto avrebbe meritato – da solo – l’intero manifesto se non avesse ancora una volta puntato il focus sulla “mattanza” (termine che non mi piace, per i significati che reca con sé).

Occorre una vera volontà politica per fermare i femminicidi, è vero, ma anche per prevenirli. Ma anche per creare le condizioni socio/culturali che eradichino la mentalità che porta le donne ad essere sempre considerate come esseri umani di serie B, un po’ “meno umani”, bisognosi di tutela, di controllo. Servono misure di sostegno al lavoro femminile, all’emancipazione economica (ma non solo) delle donne, misure per una genitorialità condivisa e un welfare efficace, perché lasciare che il lavoro di cura di casa, anzian* e bambin* ricada sempre e solo sulle spalle delle donne in modo gratuito, le emargina, le rinchiude, le restringe in spazi chiusi, rendendole fragili e dipendenti. Serve il totale rispetto della volontà delle donne per quanto riguarda il loro corpo, la loro salute riproduttiva, perc,hé privarle della piena titolarità del diritto di decidere in questo campo, le rende oggetti e non soggetti. Occorre migliorare i linguaggio dei media e la rappresentazione del femminile, che sia più equa e variegata. Serve educazione nelle scuole, serve un mercato del lavoro rispettoso, che non penalizzi le donne in quanto donne, che venga incontro alle esigenze delle famiglie e che permetta anche ai padri di godere di permessi di paternità che non siano ridicoli.

Contro la violenza non servono immagini di sangue e degrado e nemmeno slogan securitari o banali.

Azzardo un consiglio: pur apprezzando l’intento di SPI CGIL Toscana (e di altre realtà prima e dopo di loro), perché non chiedere aiuto a chi veramente conosce la violenza contro le donne e quanto serve per contrastarla e prevenirla?

Perché non consultare il Centro Antiviolenza più vicino?

Magari avremmo una foto meno “forte”, ma un “manifesto” sicuramente migliore.