Prostituzione: intervista al portavoce di Amnesty International

Qualche giorno fa pubblicavo un articolo a proposito della proposta di Amnesty International di depenalizzazione della prostituzione. 
La questione ha sollevato un acceso dibattito sul tema in cui si rimpallavano dati e posizioni contrastanti.
Chi a favore, valutando la decriminalizzazione come uno snodo fondamentale della garanzia di diritti umani.
Chi contro, imputando alla depenalizzazione di favorire il sistema di sfruttamento e tratta.

Ho deciso quindi di contattare Amnesty per rivolgere direttamente a loro alcune domande in merito e chiarire anche il ruolo nel panorama internazionale che questa proposta, e la stessa Amnesty, hanno.

Parlo quindi con Riccardo Noury, portavoce nazionale Amnesty International.

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Qualche settimana fa Amnesty ha votato a favore della depenalizzazione della prostituzione.
Da cosa è stata mossa l’urgenza di esprimersi così? Come questa proposta aiuterebbe le prostitute?

Dalle ricerche svolte negli ultimi due anni è emerso che in un contesto di criminalizzazione dove vigono leggi proibizioniste si produce maggiore negazione dei diritti umani per chi svolge lavoro sessuale.
Le e i prostitute/i svolgono attività criminali e non possono rivolgersi alla giustizia per far valere i propri diritti nemmeno contro sevizie, torture e sfruttamento. Vivono in uno stato di sostanziale invisibilità.
Un’analogia possibile potrebbe essere quella della situazione riscontrata in Italia indagando sul lavoro migrante.
Leggi criminalizzanti come il reato di clandestinità nell’ultimo decennio hanno favorito la criminalità organizzata, inducendo invece le vittime a nascondersi. Soprattutto in ambito agricolo o edile, i migranti non denunciavano mai la violazione dei loro diritti umani perché sarebbero stati loro stessi per primi incriminati di un reato.
Stessa cosa possiamo dire del sex work.

La proposta si è attirata alcune critiche. La principale è: depenalizzare il sex work aiuta gli sfruttatori invece delle vittime. Sdoganare la prostituzione danneggia chi è vittima di tratta?

Una persona sfruttata in un sistema depenalizzato avrebbe solo maggiore facilità a denunciare i soprusi subiti. Un uomo o una donna considerati rei hanno maggiori difficoltà a denunciare.
Questa proposta mira a favorire maggiore accesso ai diritti umani. Una persona potrebbe dunque denunciare la tratta di cui è vittima, le torture subite o lo sfruttamento e non venire arrestata per questo.

Per arrivare a questa proposta con quali realtà si è confrontata Amnesty?

La proposta è frutto di anni di incontri e conversazioni internazionali.
In Italia non c’è stato molto lavoro in merito, in realtà, sono stati più attivi altri Paesi.
La proposta è internazionale e sono stati chiamati i delegati nazionali a votare. E la maggioranza ha votato sì, ma dopo essersi confrontata con molte realtà differenti. Parlo soprattutto di Africa, Asia e America Latina dove sono state interpellate ex prostitute vittime di tratta, organizzazioni mediche, associazioni e sindacati di sex worker –  dove questi sono consentiti. Se qualcuno è rimasto fuori è un’eccezione e non vuol dire che non ci sia stato un dialogo molto fitto in merito. La partecipazione alla proposta di Amnesty è stata ed è altissima.
Su Change.org ci sono appelli a supporto di Amnesty dove la lista dei firmatari è lunghissima e include molte associazioni di sex worker e ex vittime di tratta.

A proposito di confronto. Tra i sostenitori di questa proposta ci sarebbe anche Douglas Fox, proprietario di un’agenzia di escort molto famosa, un sex worker che per alcuni sarebbe addirittura dietro alla proposta di depenalizzazione stessa. Quanto è influente questo personaggio? 

Le risoluzioni di Amnesty sono scritte solo da Amnesty con degli esperti di diritti umani. Non abbiamo bisogno di ispiratori. Amnesty fa una proposta e c’è chi prende posizione a favore o contro. Questo è ovvio. Ma quando Amnesty condanna Israele per la violazione dei diritti umani in Palestina e Hamas applaude, non possiamo certo direi che siamo pilotati da Hamas, no?

Una delle obiezioni più comuni alla proposta di Amnesty è stata: dovrebbero appoggiare il sistema svedese, nordico insomma. Quello che decriminalizza la prostituta, ma non il cliente.

Amnesty ha fatto una proposta antiproibizionista, per rendere la prostituzione non più un reato penale.
Ma sappiamo che la decriminalizzazione senza una legislazione precisa è solo un processo incompleto.
Amnesty si dà un obiettivo politico, una linea di principio da perseguire, il modello legislativo da adottare andrà capito. Sono solo due settimane che abbiamo preso questa strada e i lavori sono ancora aperti.
In generale la sanzione al cliente ha una sua logica diciamo etica, ma potrebbe rappresentare una indiretta forma di violazione dei diritti delle e dei sex worker. Si ritroverebbero di fatti obbligate a accettare clienti più pericolosi, il loro lavoro diventerebbe ancora più rischioso.

Il dibattito in merito è aperto, ma purtroppo trovo che, soprattutto in Italia, nel dibattito sulla prostituzione si perda spesso il punto di vista della tutela dei diritti umani di una categoria di persone. Ci si rifà piuttosto a considerazioni morali che vanno dal giudizio negativo su chi fa questo mestiere a un atteggiamento paternalistico e caritatevole che non fa progredire la situazione attuale.

Come lavora Amnesty in merito ai programmi di uscita per chi volesse abbandonare il sex work?

Per quel che riguarda i programmi di uscita Amnesty si affida a organizzazioni locali che possono permeare il territorio che abitano. Amnesty è un’organizzazione che lavora sulla legislazione dei diritti umani e collabora con realtà locali.

E per quel che riguarda la lotta a tratta e sfruttamento? Ad oggi quindi quali sono le proposte di Amnesty? 

Contro lo sfruttamento della prostituzione la proposta di Amnesty è appunto la depenalizzazione. Criminalizzare fa un danno enorme alle vittime di tratta.
A livello di diritto internazionale chiediamo contemporaneamente maggiore chiarezza sul reato di tratta, sanzioni più precise e una collaborazione internazionale fondamentale per combattere questo fenomeno.

La proposta di depenalizzazione arriva nel 2015 dopo decenni di tutela dei diritti dei minori e delle donne e contro lo sfruttamento e la privazione dei diritti umani. Per Amnesty questa proposta è un passo in più su questo percorso, non in sostituzione di passaggi già affrontati durante tutti questi anni.

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2 Risposte a “Prostituzione: intervista al portavoce di Amnesty International”

  1. Avrei una domanda da porre al portavoce nazionale Amnesty International Riccardo Noury.
    Nel dibattito che è scaturito dall’approvazione della politica di Amnesty sulla prostituzione, molta attenzione è stata data allo status del cliente, ovvero colui che acquista servizi sessuali.
    Vi porto un esempio: http://www.globalproject.info/it/in_movimento/per-i-diritti-di-sex-workers-e-clienti-verso-la-decriminalizzazione-giuridica-e-sociale-del-lavoro-sessuale/19347
    Già il titolo ci dà la misura del modo in cui è stata percepita la proposta: ad essere tutelati non sono solo i diritti umani delle “sex workers”, ma anche i diritti umani del cliente
    (cito: “E sia chiaro che lo stigma a cui ci riferiamo non riguarda solo i prestatori e le prestatrici di lavoro sessuale, ma anche i/le loro clienti, perché non v’è dubbio che se dobbiamo inquadrare il sex work entro gli schemi (sociali) del lavoro professionale non possiamo negarne l’essenziale bilateralità. C’è chi gode dell’opera pagando e chi la presta venendo pagat*, tutto qui. A cosa servirebbe riconoscere i diritti delle prostitute senza riconoscere i diritti della clientela?”)
    Secondo chi scrive la proposta di Amnesty, di fatto, tutela il diritto di acquistare prestazioni sessuali, che – secondo chi scrive – è un diritto speculare e necessario alla piena tutela dei diritti di chi decide “liberamente” di prostituirsi.
    Amnesty stessa (leggo nelle FAQ “Gender inequality and discrimination can have a major influence on women’s entry into sex work.” http://www.amnestyusa.org/news/press-releases/qa-on-the-policy-to-protect-human-rights-of-sex-workers) riconosce che la scelta di prostituirsi spesso e volentieri è vincolata al contesto (“All want to end poverty, but in meantime why deny poor women the option of voluntary sex work?” ha scritto Kenneth Roth su twitter – fonte: https://twitter.com/kenroth/status/630677061858930688), un contesto caratterizzato da discriminazione e povertà; ma da cosa è vincolata la scelta di servirsi di una prostituta?
    I diritti enunciati (il diritto di prostituirsi, il diritto di acquistare prestazioni sessuali) possono davvero considerarsi su un piano di parità?
    Nell’articolo di globalproject che ho citato si parla di “disabili, anziani ed altri soggetti che per diverse ragioni hanno una minore capacità di accesso all’attività sessuale”, ma tutte le ricerche dedicate ad analizzare la tipologia di soggetti che sceglie il sesso a pagamento non corrisponde a questo profilo.
    Ci dicono le ricerche che che la maggior parte degli uomini che fanno sesso a pagamento, contestualmente sono coinvolti in una normale relazione sentimentale https://www.sm.ee/sites/default/files/content-editors/eesmargid_ja_tegevused/Sooline_vordoiguslikkus/Inimkaubandus_ja_prostitusioon/men_who_buy_sex.pdf.
    Chi si è dedicato ad analizzare la prostituzione dal punto di vista del cliente è giunto alla conclusione che non è “la minore capacità di accesso all’attività sessuale” la ragione alla base della scelta del sesso a pagamento, ma ben altro.
    La mia domanda è questa: qual è la posizione ufficiale di Amnesty International nei confronti dei diritti umani del cliente? Sono state prese nella dovuta considerazione quelle analisi del fenomeno (http://liadiperi.blogspot.it/2013/11/la-prostituzione-e-gli-uomini.html) che definiscono il cliente come un soggetto in cerca di qualcuno da dominare, piuttosto che di semplice gratificazione sessuale?
    E’ vero che la proposta sancisce il diritto di acquistare prestazioni sessuali, considerandolo alla stregua del diritto a sopravvivere in un contesto che non fornisce migliori alternative?

  2. Buongiorno,

    Il dibattito, all’interno di Amnesty International e nel confronto con altri soggetti, ha sempre riguardato le persone che offrono prestazioni sessuali a pagamento (le/i sex workers) e mai le persone che le acquistano (i clienti). Non si è parlato mai di alcun diritto ad acquistare prestazioni sessuali né (peraltro) di un “diritto umano alla prostituzione”. Chiedere la decriminalizzazione significa abolire leggi che prevedono il carcere per i/le sex workers e non significa riconoscere un diritto.

    Il riferimento ai clienti, su cui si è concentrato molto dibattito fuori da Amnesty Internationakl, è limitato al fatto che la sanzione penale dell’acquisto di prestazioni sessuali può produrre indirettamente violazioni dei diritti umani nei confronti dei/delle sex workers.

    Accludo ulteriori spunti in lingua inglese

    6. Those who sell sex need protection, but why protect the “pimps”?

    Our policy is not about protecting “pimps”. Third parties that exploit or abuse sex workers will still be criminalized under the model we are proposing.

    But there are overly broad laws, like those against “brothel keeping” or “promotion” that are often used against sex workers and criminalise actions they take to try and stay safe. For example, in many countries two sex workers working together for safety is considered a “brothel”. Our policy is calling for laws to be re-focused to tackle acts of exploitation, abuse and trafficking – rather than having catch-all offences that criminalize sex workers and endanger their lives.

    7. Why doesn’t Amnesty International support the Nordic model?

    Even though sex workers are not directly criminalized under the Nordic model, operational aspects – like purchasing sex and renting premises to sell sex in – are still criminalized. This compromises sex workers safety and leaves them vulnerable to abuse; they can still be pursued by police whose aim is often to eradicate sex work through enforcing the criminal law.

    In reality, laws against buying sex mean that sex workers have to take more risks to protect buyers from detection by the police. Sex workers we spoke to regularly told us about being asked to visit customers’ homes to help them avoid police, instead of going to a place where sex worker felt safer.

    Sex work is still highly stigmatized under the Nordic model and contributes to the discrimination and marginalization of sex workers.

    8. Why does Amnesty International believe that paying for sex work is a human right?

    Our policy is not about the rights of buyers of sex – it is entirely focussed on protecting sex workers who face a range of human rights violations that are linked to criminalization.

    In adopting this policy, Amnesty International is saying that we believe that the rights of a group of people who can be extremely vulnerable to human rights abuses should be protected.

    Riccardo Noury

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