Il video virale della BBC ha una sola protagonista ed è Jung-un Kim

Il video in questione lo conosciamo tutti: ha fatto il giro del web in pochissime ore, accaparrandosi milioni di visualizzazioni e like; e in effetti elementi di ilarità ci sono.


La medianalisi pop che ne è scaturita, però, acquista del grottesco e del raccapricciante, perché se vedi una donna, questa ha dei caratteri asiatici e pensi che sia una tata, allora il tuo immaginario è profondamente sessista e razzista.
Ma andiamo con ordine: è la mattina del 10 marzo,
la Bbc trasmette in diretta una trasmissione di informazione e il professor Robert Kelly, dell’Università di Pusan in Corea del Sud, è in collegamento dal suo studio quando viene interrotto da due bambini, presumibilmente suoi figli, entrati a sua insaputa nella stanza durante il suo intervento.
Gli argomenti sono trattati con la solita austerità professionale con cui lo standard mediatico ci ha assuefatti nell’era televisiva e improvvisamente la porta della stanza si spalanca ed entra una bambina, con la più ilare e orgogliosa aurea di tripudio e subito dopo un bambino su un girello.
Quello che poi seguita in pochi e divertenti secondi concitati è l’ingresso felpato e celere di una figura femminile che recupera i bambini e richiude la porta alle sue spalle, con un’agilità degna di una guerriera ninja.

Il siparietto esprime una innegabile simpatia, è postato in rete, si dipana la sua diffusione e in pochi attimi gli assalitori del web sono pronti a speculazioni antropologiche sulla qualifica sociale della donna apparsa nel video.
E’ un tripudio indiscusso di: “E’ la tata”, “sarà la baby sitter” e, come tutti i drammi dei social network, il rimpallo dell’etichettatura, in un gioco di influenze vicendevoli e distorte, viene sovvenzionato tempo record anche dal Time.com che titola la notizia parlando di una “tata frenetica”, e gli innumerevoli tabloid più o meno internazionali che si riferiscono a lei come la “tata spaventata”.
Non cogliendo il nesso causale di queste apodittiche sentenze ho riguardato il video e ho capito: è chiaro, se la donna è una femmina e ha caratteri asiatici (a colpo d’occhio non meglio identificabili), allora sicuramente deve essere una baby sitter.
Ma davvero
deve essere una baby sitter? C’è qualcuno che è in grado di definire cosa e chi dobbiamo essere? No.
E cosa è nascosto dietro questa necessità atavica di dover sempre definire tutto?
Sono pochi attimi, poche domande, eppure da questo momento in poi si squarcerà il dramma di una riproposizione ostinata, convinta e sprezzante sulla tassonomia sociale e culturale di questa donna, su scala mondiale.

Perchè se una donna appare in una diretta, non come soggetto intervistato, in un contesto familiare, ecco che riemerge quel flusso apotropaico a getto costante di rigurgito maschilista, sessista e in questo caso con la tremenda aggravante razzista.
Insomma una donna se sta in una casa, non è una donna che sta in una casa, ma necessita di esperti sociologi che la classifichino subito. A lei deve essere ascritto il ruolo che per lei è stato cucito su misura dal patriarcato. E’ una femmina e allora è posizionata silenziosamente e sommessamente lì, perché è
l’angelo del focolare. Questo è ciò che ci si aspetta da lei e questo è ciò che è predestinata a svolgere, quindi questo è il cliché che viene incessantemente propinato. Non mi stupisce che la coniatura “angelo del focolare” abbia avuto maggior apogeo nell’epoca fascista, ciò che mi stupisce è la riproposizione algebrica e spensierata di elementi discriminatori con costanza di continuità, senza prese di coscienza su quali siano le implicazioni sociali di questo martellamento.
Se questo strazio non fosse bastato, si aggiunga la componente sessista della cura parentale. Non è stato possibile chiedersi chi fosse, quale fosse la sua storia e perché questa persona fosse appena andata in onda, perché è stato concesso un solo motivo per cui, per il modello di famiglia patriarcale, quella persona si trovasse lì: per accudire quei bambini comparsi in onda.
Se questo ancora ulteriore strazio non fosse bastato, si aggiunga la componente etnica per ottenere la ricetta perfetta del subprodotto misogino, razzista e sessista del patriarcato occidentale e colonialista. Nel modello maschilista al sesso femminile è stato introiettato un inconscio preimpostato che mescola istinti aprioristicamente inesistenti (come quello di maternità e di affetto) a innate componenti prettamente benevole e solidaristiche (come la propensione giusnaturalista ad ogni mansione di cura).
E’ la donna, perché femmina e per natura subordinata, ad essere riconosciuta come unico e uniforme soggetto agens nella cura e accudimento dei componenti della famiglia. E lo è ancor di più, per lo stereotipo, se la donna è una donna asiatica, perché servile e passiva e necessariamente legata a ruoli domestici in contesti di accudimento di anziani e bambini.

Chi è allora, questa figura femminile che appare nel video? La donna è la madre dei due bambini e la moglie del professore intervistato. Il suo nome è Jung-un Kim ed è coreana. Che dalla diffusione del video ne sarebbero sorte supposizioni, non ha meravigliato forse quanto la portata ancora assolutizzante della narrazione sessista e xenofoba. La qualificazione “donna” e la qualificazione “asiatica” è ancora un connotato preponderante rispetto agli altri, nell’analisi di interesse mediatica globale.
Se sei una donna sei ancora appannaggio categoriale dell’uomo a cui ti riferisci, o nel cui contesto sei colta. Vi è un uomo nel video, un uomo autorevole, un professore universitario, per cui le categorizzazioni mediatiche di cui sarai vittima, saranno da lui discendenti, determinanti, e subordinate. Sei sempre, se sei donna, dipendente da qualcuno o qualcosa.
La cottura al fuoco lento di secoli di perpetuazione di questi modelli, non ancora smantellati, è la chiave di lettura di quella che è stata una vera e propria rincorsa alla perversa sovradeterminazione ed etero-categorizzazione razzista e sessista di Jung-un Ki.
Perché? Perché fa paura non definire tutto sussumendolo in retrogradi e misogeni modelli sessisti?
A chi fa paura non sapere quale sia il ruolo di quella donna comparsa nel video?
A chi ha paura che la famiglia non possa più esser basata su un pater familias.
Le costruzioni che esprimiamo sono veicolate dal linguaggio che selezioniamo: il “pater familias” era l’unico che poteva disporre del patrimonio
della gens di cui faceva parte, all’interno di questo patrimonio figuravano le mogli e figuravano i figli; non erano persone, non erano soggetti di diritto ma res, cose, afferenti ad un patrimonio di cui poteva disporre come meglio si credeva. Il pater familias era il capo, godeva della supremazia endofamiliare, supremazia tramandatasi e custodita nelle epoche storiche, le cui sperequazioni sono state abolite soltanto nel 1975 con la riforma del diritto di famiglia.
Il padre non è più il capo; si riconosce, all’interno delle famiglie dell’ordinamento giuridico italiano, che la donna e l’uomo hanno pari diritti e
doveri (l. 151/1975).
A chi fa ancora paura riconoscere l’uguaglianza?
Sono uguali. E se sono uguali, non capisco perchè debba esserci un professore universitario e alle sue spalle una tata.

Che questo sia poi stato assorbito dalla collettività è, purtroppo, un assunto su cui bisogna discutere…

(A.)