Linguaggio abilista. Come riconoscerlo e come smettere di usarlo

“L’economia è stata paralizzata dal debito pubblico”

“Sei forse cieco da non vedere quello che sta succedendo?”

“I giovani oggi sono preda di una schizofrenia dei valori”

“E’ completamente sordo nei confronti dei suoi sentimenti”

Cos’hanno in comune queste espressioni? Usano la disabilità, sia fisica che mentale, come metafora per esprimere qualcosa di negativo.

Espressioni come queste sono molto comuni, presenti in diversi contesti e proprie di svariati registri linguistici. Una frase come “l’economia è paralizzata dal debito” potremmo leggerla su un quotidiano o sentirla in un tg; “Ma era proprio qui, come hai fatto a non vederlo, sei cieco?” è quello che potremmo dire a un nostro amico distratto.

Il fatto che tali metafore siano molto diffuse non significa però che non siano problematiche. Lo sono. E una riflessione sul perchè è necessaria, partendo dal presupposto che le parole sono importanti, che possiamo e dobbiamo fare a meno di espressioni linguistiche discriminanti, che il linguaggio ha un potere trasformativo.

Un linguaggio che usa la disabilità e/o la malattia mentale come metafore negative, ovvero un linguaggio abilista, perpetua l’idea che le persone con disabilità siano inferiori, contribuisce a darne una visione stereotipata e distorta.

photo-1-300x225La maggior parte delle persone usa un linguaggio abilista in maniera del tutto inconsapevole, per abilismo infatti si intende non tanto la discriminazione esplicita nei confronti delle persone con disabilità, quanto il presupporre che tutte le persone siano abili.

“Non avete sentito quello che vi ho detto? Siete sordi?”
Quanti/e insegnanti hanno usato questo richiamo davanti alla propria classe disattenta?  Adesso fermiamoci un attimo a riflettere sull’uso del termine sordo in questa frase.
E’ un insulto. La disabilità, in questo caso la sordità, è usata a mo’ di insulto.
Adesso immaginiamo che in quella classe ci sia anche un/a alunn* affetto/a da sordità.
L’insegnante userebbe comunque quella espressione? Forse sì,per abitudine, ma molto più probabilmente no. La manifestazione della disabilità glielo impedirebbe, smaschererebbe quella espressione come offensiva.

Le persone con disabilità subiscono diverse forme di emarginazione e discriminazione, utilizzare nel nostro linguaggio la disabilità come insulto contribuisce a rafforzarle, a rendere più complesso per queste persone l’accesso ai diritti e a un percorso di inclusione.
Il linguaggio abilista agisce soprattutto a livello simbolico partecipando alla costruzione stereotipata e appiattita sul negativo della percezione della disabilità.
Tra le discriminazioni più frequenti che una persona con disabilità subisce c’è quella della riduzione alla propria disabilità. Il sordo, l’autistica, il paraplegico. La disabilità come condizione totalizzante, essenzialistica, che annulla tutto il resto. A ciò si aggiunge la visione nagativa, infantilizzante, pietistica, inferiorizzante.
Il linguaggio abilista contribuisce a creare tutto ciò, a considerare di una persona con disabilità solo la disabilità, a vedere quest’ultima come una cosa del tutto negativa che rende una categoria di soggetti inferiore rispetto ad altri.

Oltre alla disabilità, anche le malattie mentali e il disagio psichico vengono spesso utilizzati come insulti, come metafore, come aggettivi nel linguaggio. E anche in questo caso la maggior parte delle espressioni sono inconsapevoli e non intenzionali. Ma, di nuovo, questo non significa che non abbiano un impatto negativo.bf0e59f53647fd7fbb87cfa677315d54

“Quello non sta bene per niente, è pazzo, avrebbe bisogno di un TSO”

“La Borsa oggi ha un andamento bipolare”

“Mi sembra troppo magra quella ragazza, ha un corpo anoressico”

Espressioni come queste sono molto comuni, ma potenzialmente pericolose.
Anoressico, ad esempio, viene usato spesso come aggettivo in sostituzione di magro. Pensate allo slittamento di significato che c’è sostituendo magro con anoressico nell’espressione “Le ragazze desiderano un corpo magro”. Diventerebbe “Le ragazze desiderano un corpo anoressico”, cioè aspirano a una condizione psichiatrica, a una malattia.

Con grande facilità utilizziamo nel linguaggio di tutti i giorni espressioni con cui diamo a qualcuno/a del pazzo, della malata mentale, della persona da ricoverare contribuendo in questo modo ad alimentare lo stigma nei confronti della malattia mentale. Inoltre questo linguaggio spesso nasconde una grande ignoranza nei confronti di determinate condizioni, usiamo queste espressioni con leggerezza senza spesso conoscere cos’è effettivamente il disturbo bipolare, o la depressione, o quanta violenza ci sia in un trattamento sanitario obbligatorio.

Il primo passo da fare è quindi prendere consapevolezza. Iniziare a pensare che non tutte le persone sono abili, ma che esistono persone con disabilità, che la disabilità è una codizione, nè negativa, nè positiva in sè, e che noi con il nostro linguaggio possiamo contribuire a farla uscire da quella percezione di inferiorità e discriminazione.
Abbandonare alcune di queste espressioni non sarà immediato, perchè le usiamo da anni, molte fanno ormai parte di automatismi, ma questo non significa che non possiamo rinunciarci, che non possiamo porci più attenzione, che non possiamo far notare a chi le usa che possono essere offensive. Smettiamo di usarle e chiediamo di smettere di usarle, agiamo il cambiamento, troviamo delle espressioni alternative, ad esempio per dire che oggi siamo di umore un po’ vulnerabile potremmo usare il termine lunatico anzichè bipolare, smettiamo di dare a tutt* dei pazzi e delle pazze, all’amica che non ci presta attenzione chiediamo “sei stata attenta?” piuttosto che “sei sorda?”.

Da femministe abbiamo spesso insistito per linguaggi e rappresentazioni non sessiste. Abbiamo più volte ribadito che le parole che utilizziamo hanno un grande potenziale trasformativo, che il problema del linguaggio non è accessorio, ma fondante, perchè incide sul simbolico, sul pensiero, quindi sulla realtà.
In una prospettiva intersezionale non possiamo chiedere al linguaggio di essere solo non sessista e non misogino, dobbiamo chiedergli anche di rifiutare l’omotrasfobia, il razzismo, il classismo. Ma non dobbiamo dimenticarci dell’abilismo.

 

Questo video riassume in maniera chiara molti dei concetti espressi nel post