Forlì. Una ragazzina di 15 anni è stata picchiata dal padre riportando numerose ferite e un trauma cranico.
La ragazza è di origine marocchina, in Italia con la sua famiglia da molti anni.
I giornali che riportano la notizia parlano di “comportamenti troppo occidentali”, la giovane infatti sarebbe stata picchiata dal padre in seguito alla segnalazione fatta a questo dagli altri due figli, che avrebbero avvistato la sorella minore in un centro commerciale in compagnia di un ragazzo.
La giovane ragazza di Forlì è vittima di una cultura profondamente maschilista e patriarcale, che considera le donne inferiori agli uomini, oggetti di proprietà di questi ultimi.
La cultura del possesso dell’uomo nei confronti della donna legittima comportamenti come questo, i fratelli e il padre si sono sentiti in diritto di poter gestire la vita, le abitudini, le scelte della figlia, perchè donna.
Solitamente quando una violenza è compita da una persona migrante i quotidiani non dimenticano mai di nominare la cultura, spesso definita “incivile”, “barbara”, “retrogada”. Nei casi come quello accaduto a Forlì, in cui a compiere la violenza sono persone di religione musulmana, i quotidiani raramente dimenticano di sottolineare la intrinseca componente misogina di questa religione.
Completamente diverso è il comportamento dei giornalisti e delle giornalste quando a compiere violenza sono persone di nazionalità italiana. La nazionalità, nel caso di femminicidi e violenze compiuti da persone italiane, non viene proprio esplicitata, non sentiamo parlare di cultura e nemmeno si cita mai la componente misogina della religione cattolica.
Quando a uccidere o fare violenza è un italiano i quotidiani tirano fuori un ricco repertorio di giustificazioni: disoccupazione, depressione, raptus di follia, gelosia, passione, lei lo aveva tradito, lei voleva lasciarlo, lui stava attraversando un momento difficile ma è una brava persone che saluta sempre e comunque adesso è tanto dispiaciuto.
Non viene mai nominata la cultua quando il cernefice è di nazionalità italiana, eppure è sempre la cultura maschilista e patriarcale la causa strutturale della violenza contro le donne.
E’ quando una donna si ribella a una situazione che non vuole più vivere, quando chiede libertà, quando vuole agire la propria autodeterminazione che diventa possibile bersaglio di chi non la riconosce totalmente come soggetto autonomo e capace di scelte proprie.
Perchè non voleva che lavorasse fuori casa, perchè non voleva uscisse la sera con le amiche, perchè sospettava lo tradisse, queste stesse “motivazioni” si chiamano raptus se l’artefice delle violenze è italiano, si chiamano cultura se l’artefice delle violenze è musulmano o comuqnue migrante.
Il linguaggio scorretto ed emergenziale con cui i media parlano di violenza di genere ha favorito strumentalizzazioni in senso securitario con leggi e provvedimenti che non vanno minimamente a incidere sulle profonde radici strutturali e culturali.
La violenza contro le donne è usata strumentalmente anche per accentuare comportamenti e credenze razziste e xenofobe.
“Vadano a casa loro quesi musulmani, se vogliono stare in italia devono seguire le leggi italiane! Quì in Italia c’è la parità.”
Queste sono le reazioni a notizie come quella acaduta alla ragazzina marocchina di Forlì picchiata dal padre.
In Italia abbiamo la parità, per questo alla cultura patriarcale abbiamo cambiato nome, la chiamiamo raptus. Così possiamo continuare a credere che quelli dalla cultura incivile e maschilista siano gli Altri.
Dobbiamo pretendere che di violenza di genere si parli con un linguaggio adeguato, fuori da cornici emergenziali, dando il giusto nome alle cose, per impedire qualsiasi forma di strumentalizzazione, fuori da ogni retorica che vuole le donne deboli oggetti di tutele e non soggetti a cui fornire gli strumenti materiali per autodeterminarsi, ma anche per impedire qualsiasi possibile contaminazione con discorsi razzisti e xenofobi che potrebbero vedere in una problematica che ha attenzione mediatica, come la violenza contro le donne, terreno fertile per i propri interessi.
L’appello alle necessarie distinzioni e a non generalizzare, nonché ad approfondire e riconoscere le ragioni culturali “nostrane” della violenza sulle donne perpetrata da occidentali è condivisibile. Nondimeno, è un dato di fatto che in merito al ruolo sociale e civile della donna e alla sua tutela giuridica, le diverse culture hanno mentalità, costumi, usi, prassi e norme profondamente diversi. Se è vero che non tutti i musulmani sono violenti e misogeni, è almeno altrettanto vero che mentalità, usi, costumi e ordinamenti giuridici dei paesi occidentali in merito alla questione femminile (ma non solo, si pensi alla libertà religiosa e soprattutto di coscienza del singolo) sono profondamente diversi da quelli dei paesi islamici, compresi quelli meno distanti dall’Occidente, quali Turchia o Tunisia. Ora, questa innegabile diversità dell’orientamento etico e giuridico dell’Islam rispetto all’Occidente sulla questione della donna difficilmente può essere considerata estranea ai numerosi, ancorché minoritari, casi di violenza sulle donne esercitata all’interno di famiglie o gruppi sociali islamici trapiantati nei paesi occidentali. I pur preoccupanti casi di violenza esercitati da occidentali sulle donne sono certamente ascrivibili a una mentalità patriarcale e maschilistica che, se tuttora infesta alcune società dell’Occidente, per esempio l’Italia, il cui assetto sociale e culturale sconta arretratezze in altri paesi superate, tuttavia è da considerarsi sempre più residuale, ovvero un fossile che ancora sprigiona effetti venefici, ma, benché con una tendenza non lineare, in via di superamento. Mi pare evidente invece che la stessa considerazione non può essere estesa ai paesi islamici, dove il maschilismo e la pesante discriminazione di cui le donne sono vittime risultano profondamente radicate nella mentalità e negli ordinamenti giuridici e quindi tutt’altro che residuali.
Antonio non credo che la mentalità patriarcale e maschilista in Italia sia “residuale” o “quasi un fossile”, se così fosse non ammazzarebbe una donna ogni due giorni, a meno che non vogliamo credere che a ucciderle siano il raptus, la disoccupazione o la follia. C’è la tendenza a considerare i femminicidi e le violenze di genere compiute da italiani come casi isolati, è colpa dellla gelosia, è perchè lei lo tradiva ecc.., giustificazioni che fanno perdere di vista la radice comune di questa tipologia di crimini, quando invece a compierli sono persone di altre culture ecco che questo legame emerge, si collegano i diversi episodi di violenza, sono tutti causa della cultura maschilista e patriarcale. Ma anche le violenze di genere in Italia sono causate da un problema socio-culturale, certo il patriarcato ha tanti volti, la mia oppressione, e di conseguenza il mio percorso di liberazione, sarà diverso di quello di un’altra donna di altra etnia, cultura, provenienza sociale, ma questo modo di trattare in maniera diversa le violenze compiute da migranti e italiani è scorretta