Jillian Mercado modella con disabilità per Diesel

18 Aprile 2014

Il marchio Diesel nel settembre scorso aveva lanciato la campagna #Dieselreboot, ne avevo parlato qui.
La campagna nasceva con il dichiarato scopo di dare visibilità a corpi e immaginari solitamente esclusi dal patinato mondo della moda, così, insieme a modelli e modelle abituat* a set fotografici e passerelle, facero la loro comparsa persone, soprattutto artist* e creativ*, reclutate tramite il social Tumblr.

La giovane artista Michelle Calderon, con un corpo non conforme ai canoni estetici dominanti e una chioma molto colorata, la modella Casey Legler con il suo doppio ruolo di modella e modello, erano state le protagoniste della #Diselreboot collezione autunno/inverno.

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La rappresentazione di modelli plurali che si oppondono ai rigidi canoni estetici dettati dalla moda e alla pretesa di questi di imporsi come regola, come normalità, è sicuramente positiva.
Vedere corpi che vanno oltre la taglia 40 o che rompono il rigido binarismo di genere sfumando i confini tra maschile e femminile è una bella novità, una bella rottura rispetto alla donna-oggetto sessualmente disponibile e all’uomo eterosessuale macho che non deve chiedere mai a cui siamo abituat*.

L’apprezzamento nei confronti della moltiplicazione dei modelli non mi esime però dal pormi delle domande sul ruolo che il marketing e il mercato hanno nello stabilire cosa va bene e cosa no, cosa può essere degno di rappresentazione pubblica e cosa invece deve rimanere nell’invisibilizzazione, quanto della diversità rispetto alla norma può essere concesso e quanto invece bisogna pagare alle logiche di profitto, quanto si rischia di edulcorare e di normalizzare, creando nuovi stereotipi, nuove normalità.

Il creatore artistico della Diesel, Nicola Formichetti, realizza per la collezione primavera/estate una nuova serie di scatti per la campagna #Dieselreboot, l’intento esplicito è ancora quello di celebrare la diversità e l’individualità.
Tornano tatuaggi e capelli colorati, compaiono le barbe hipster e l’immaginario giapponese del visual kei, genere musicale molto teatrale dove la rigida divisione di genere tra i/le componenti delle band non è sempre prevista.
Ma la protagonista indiscussa di questa nuova campagna è Jillian Mercado, fashion blogger newyorchese di 26 anni, affetta da distrofia muscolare dall’età di 12.

diesel modella con disabilità

«Personalmente, non ho mai visto qualcuno su una sedia a rotelle che facesse niente nella moda. Ma proprio niente, niente. Quando sono entrata in questo ambiente, in qualche modo l’ho fatto pensando che mi sarebbe piaciuto essere la prima a farlo […] Sento che la società è spaventata e che in qualche misura non vuole che questo avvenga, di conseguenza un sacco di persone disabili hanno paura delle critiche. Mi piacerebbe che le campagne pubblicitarie di moda osassero di più» (Fonte qui)

Le modelle con disabilità non sono una novità in assoluto, nel mondo anglosassone esistono agenzie specializzate nel reclutamento di modell*, attrici, attori ecc… con disabilità, ma nonostante ciò solitamente la presenza di persone con disabilità è relegata all’evento mirato, la sfilata per sensibilizzare verso la disabilità, il calendario per la raccolta fondi, la campagna che vuole dimostrare che si può essere femminili anche su una sedia a rotelle (qui e qui alcuni esempi).

Nel caso della Diesel Jillian Mercado è inserita in una campagna pubblicitaria che non si rivolge esclusivamente a persone con disabilità, con il risultato di far uscire la disabilità dai siti specifici, dalle maratone televisive di raccolta fondi, dalla settorializzazione e di catapultarla sulla scena pubblica, rendendola visibile, rompendo un tabù.

“La società è spaventata” dice Jillian, è spaventata da un corpo costretto su una sedia a rotelle che non risponde a quel principio di funzionalità e di performance richiesto dalla società capitalista, quel corpo è uscito dall’ambito medico, ha smesso di essere solo un oggetto di cura e ci costringe a riconsiderare la “normalità” in maniera inclusiva.

Maschio e femmina, sano e malato, normale e patologico, i binarismi determinano l’inclusione e l’esclusione, condannando tutto ciò che si considera deviante rispetto alla norma, che contemporaneamente si produce, all’invisibilità.
Il corpo disabile è un corpo invisibile, la disabilità sembra annullare totalmente la persona.
Nella foto scattata a Jillian questa è sì sulla sedia a rotelle, ma la disabilità non la annulla totalmente, è una caratteristica al pari dei capelli biondissimi e delle labbra carnose.

Ritengo sicuramente positiva la visibilità che questa campagna ha dato alla disabilità rappresentandola al di fuori di ogni medicalizzazione e contesto pietistico, in generale è un passo avanti vedere corpi che escono dai rigidi schemi estetici che vogliono imporsi come perfezione e normalità, ma gli interrogativi che mi ponevo per la prima campagna di #dieselreboot rimangono ed è normale trattandosi comunque di marketing.
I corpi con disabilità sono comunemente considerati “brutti”, non desiderabili, ma quanto devono adattarsi ai canoni estetici considerati normali per uscire dall’invisibilità? Leggo questa vecchia notizia su delle protesi che permettono di indossare i tacchi e se da una parte riconosco la legittima richiesta di una donna ad indossare una scarpa alla moda, dall’altra ho paura che l’uscita dall’invisibilità porti direttamente le persone, e soprattutto le donne, con disabilità ad essere fagocitate dal mercato che le individua subito come nuovo bacino d’utenza sottoponendole alle stesse richieste di conformazione a canoni estetici normativi che valgono per tutt*. Così che l’irruzione sulla scena pubblica di quei corpi, considerati patologici, non si configuri come un atto politico e rivoluzionario ma, edulcorato dal mercato, diventi l’ennesimo processo di normalizzazione.

Gli interrogativi rimangono aperti, ma nonostate ciò credo che dare alle donne con disabilità visibilità, fornire un universo plurale di rappresentazioni, agire in maniera inclusiva e fornire diversi modelli di identificazione, sia la strada giusta per combattere gli stereotipi.