Violenza domestica e violenza sugli animali: le due facce della stessa medaglia

“Ma è violento solo con gli oggetti…” “ha minacciato di portarmi via il cane, ma poi non l’ha fatto” “ha tirato un calcio al gatto, ma con me non è mai stato violento”

Quante volte abbiamo sentito queste frasi? Quante volte le abbiamo sottovalutate?

Che il maltrattamento degli animali nell’età infantile, adolescenziale o adulta rappresenti un comportamento socialmente inaccettabile è ormai un dato difficilmente confutabile.

Può questo sintomo, però, rappresentare una situazione patologica, un serio e concreto campanello d’allarme, indice di pericolosità sociale futura, e in particolare verso le donne? In termini di conseguenze sociali e giuridiche che dinamica c’è in termini violenza sugli animali e violenza sulle persone, in particolare violenza di genere?

Il fenomeno interessa sia le politiche criminali del nostro legislatore, sia la caratterizzazione della vittimologia. Eppure, nel nostro ordinamento, il tema non è ancora stato correttamente approfondito da idonei studi scientifici in grado rilevare la correlazione tra maltrattamento di animali ed altre, pericolose, condotte antisociali, devianti o di violenza interpersonale.

Il risultato di questo mancato collegamento tra le due tematiche mostra spesso i propri risultati: capita sovente che le donne che denunciano atti di violenza in ambito familiare concretizzatisi “solamente” in aggressioni verso l’animale domestico da parte del proprio partner o ex partner, vengano rassicurate proprio in virtù del fatto che la violenza si sia manifestata nei confronti dell’animale e non sulla persona.

Ma davvero non esiste un fattore di connessione tra le due tipologie di violenza?

Il tema di questa riflessione, allora, riguarderà proprio l’analisi del legame tra la violenza sugli animali e la pericolosità sociale degli individui in grado di mettere in atto tali comportamenti.

Di solito sono due le tipologie di risposta a questi eventi drammatici: la banalizzazione del gesto commesso “in fondo sono solo animali”, o quel genere di giustificazioni che rimandano ad una bravata, facendo perdere di vista le implicazioni psicologiche alla base di tale comportamento; c’è chi invece risponde con sgomento, incredulità, rabbia di chi non comprende le cause di tali crudeltà e si domanda quanto queste persone possano essere socialmente pericolose, se l’insensibilità rispetto ai segnali di sofferenza che un animale riesce a trasmettere possa spingerli a commettere tali violenze anche sui propri simili.

Ma cosa si intende per crudeltà sugli animali?

Ascione diede la prima definizione universalmente riconosciuta: “un comportamento socialmente inaccettabile che intenzionalmente provoca dolore, sofferenza, e/o morte di un animale”. La violenza verso gli animali e quella verso gli esseri umani hanno in comune vittime con caratteristiche simili: si tratta sempre di creature viventi con la capacità di provare e trasmettere segnali di dolore e angoscia e di mostrare conseguenze fisiche delle sofferenze subite.
Walker, psicologa americana studiosa della violenza domestica, ha trovato conferma che l’abuso e la violenza sugli animali è una sorta di costante nella vita dei partner che si dimostrano poi violenti nei confronti delle loro compagne tanto da sostenere che l’indicatore che meglio può predire una futura violenza è una storia di comportamenti passati violenti, compresi atti crudeli verso animali domestici.

Ad oggi sono state effettuate numerose ricerche sul rapporto tra crudeltà sugli animali e violenza domestica su donne e bambini:

  • In uno studio in diversi stati del nord America, condotto su donne vittime di violenze, il 48% delle intervistate ha riferito che durante gli ultimi dodici mesi spesso si erano verificati episodi di violenza sugli animali domestici, mentre il 30% ha dichiarato che i comportamenti violenti verso gli animali avvenivano quasi sempre. I comportamenti di abuso sugli animali includevano vari tipi di violenza: picchiare, soffocare, annegare gli animali, colpirli con un’arma da fuoco, lanciarli contro i muri o giù dalle scale. Le donne intervistate hanno, inoltre, dichiarato nel 51% dei casi che gli episodi di violenza nei confronti degli animali corrispondevano a contemporanee esplosioni di violenza nei confronti di altri componenti della famiglia (Carlisle-Frank & Frank 2006). La violenza su animali è più frequente nelle famiglie in cui si sono verificati maltrattamenti su minori e violenza domestica (Ascione, 2007; Ascione & Shapiro, 2009);
  • Un’altra ricerca ha affermato che tra il 62 e il 76% delle violenze nei confronti degli animali è avvenuta in presenza di minori (Faver & Strand, 2003). Lo studio ha inoltre evidenziato che i minori intervenuti per proteggere le loro madri dalle violenze ed alcuni di essi, pur di salvare i loro animali dall’essere picchiati o uccisi, avrebbero persino potuto accettare di diventare a loro volta le vittime delle percosse. Il legame con il proprio animale domestico ha, per molt*, un valore inestimabile e il soggetto abusante ne è perfettamente a conoscenza tanto da utilizzarlo per ottenere silenzio e accondiscendenza da parte del minore maltrattato in prima persona o che è stato testimone di una violenza all’interno della famiglia. Secondo Boat assistere in famiglia a violenze nei confronti degli animali è riconosciuta come fonte di stress dannoso e di esperienza infantile negativa.
  • Quando i minori e le minori assistono ad episodi di violenza domestica, è accertato che ciò aumenti il rischio che possano rimettere in atto forme di aggressività nei confronti degli animali (Currie, 2006). A tal proposito negli Stati Uniti e nei paesi anglosassoni, sono stati condotti molteplici studi scientifici sul Link (ossia la stretta correlazione fra violenza sugli animali e violenza sugli uomini; tra maltrattamento e/o uccisione di animali e ogni altro comportamento violento e criminale (si pensi ad esempio: all’omicidio, allo stupro, allo stalking, alla manipolazione mentale e alla violenza domestica, Arkow, 2008; Philips 2014) che dimostrano come i maltrattamenti su animali, soprattutto se messi in atto da minori, dovrebbero essere interpretati come segnali di una potenziale situazione esistenziale patogena, in altre parole il minore potrebbe a sua volta vittima di incuria, discuria, abusi psicologici, fisici, sessuali o tutte queste forme di violenza insieme.
  • Non solo: dodici diversi studi hanno affermato che una percentuale tra il 18% e il 48% delle donne che subisce o ha subito violenze ha atteso prima di lasciare il proprio persecutore o è tornato a conviverci sulla base del timore rispetto la sicurezza dei propri animali (Ascione, Hayashi, Heath, Maruyama, Thompson, Weber, 2007). La crudeltà su animali viene spesso utilizzata dal persecutore come strumento di violenza psicologica al fine di esercitare controllo e potere sulla propria vittima umana. Minacciare e far temere l’uccisione dell’animale costringe così le vittime ad essere accondiscendenti e/o tacere l’abuso subito (Arkow, 2014). Si pensi al celebre caso di un uomo che, nel 2015 a Pistoia, ha seviziato e ucciso la cagnolina della sua ex compagna, un piccolo pinscher di nome Pilù, per vendicarsi su lei per averlo lasciato. L’uomo, che ad oggi non mostra alcun tipo di pentimento, ha filmato tutto e pubblicato il video sui social per farlo vedere alla sua ex compagna. Ricordiamo, a tal riguardo, che l’essere vittima di violenza implica non solo far esperienza diretta del maltrattamento, quanto anche essere testimone oculare di tali comportamenti.

È dunque innegabile che il legame che si innesta tra le persone e i propri animali domestici è reale, profondo e molto spesso motivo di indecisione rispetto la scelta di abbandonare il luogo degli abusi, a causa del timore di lasciare i propri animali in balia della persona violenta. Il fenomeno è ampiamente documentato dalle notizie che seguono i disastri naturali, in cui un elemento ostativo al trasferimento delle persone presso luoghi sicuri è proprio la paura di dover lasciare sul posto i propri animali senza protezione. Il governo federale degli Stati Uniti comprendendo il forte legame che viene a costituirsi fra gli animali domestici e i loro proprietari, ha messo a disposizione un sito web per aiutare le persone a programmare un piano di evacuazione di emergenza includendo la messa in salvo dei propri animali (http//www.ready.gov/caring-animals).

Ecco che allora ignorare il rapporto tra vittime di violenza di genere, e la violenza che il carnefice propina nei confronti del proprio animale, rischia di rendere incompleta l’analisi della soggezione psicologica che porta la vittima quando a non riuscire a liberarsi dalla situazione patologica in cui vive, quando a sopportare infiniti abusi.

Non solo, gli animali domestici rappresentano molto spesso per le donne vittime di violenza socialmente isolate dal soggetto violento, un vero e proprio elemento salvavita: temere per la vita dei propri animali, insieme al sostegno emotivo che questi sono in grado di trasmettere, sono stati individuati come fattori protettivi che hanno consentito alle donne di sopportare le violenze senza arrivare a togliersi la vita (Fitzgerald, 2007).

Nel 2007, in uno studio su donne maltrattate, si sono confrontati uomini colpevoli di violenza domestica conosciuti per una storia di abusi su animali e uomini colpevoli di violenza domestica ma che non risultava avessero mai abusato animali. La presenza di abusi verso gli animali è stata associata a una violenza maggiore, più severa e più frequente, con indici più forti di aggressività, ansia, rabbia, forme di abuso, di dominanza e controllo.

È fondamentale iniziare, quindi, a non sottovalutare, come spesso accade, atteggiamenti di violenza nei confronti degli animali, soprattutto nell’ambito domestico.

Ascione, Weber e Wood in uno studio del 2007 hanno ispezionato centri di protezione per vittime di violenza domestica negli USA, precisamente del distretto di Columbia, somministrando dei questionari allo staff di tale ambiente protetto e al direttore del centro.
I risultati furono che nonostante l’83,3% dei rispondenti avesse ammesso che gli abusi sugli animali e la violenza domestica coesistevano, solo il 27,1% rispose che i loro rifugi includevano nelle interviste interne di protocollo domande inerenti al trattamento di animali domestici.

Harrel e Smith, dallo studio svolto nel 1991 su 355 donne vittime di violenza domestica, hanno concluso che il 20% dei violentatori aveva maltrattato, minacciato o ucciso gli animali delle loro compagne per pura rappresaglia, dopo che le stesse vittime avevano fatto richiesta per un programma di protezione. Nel 1992, Weber, Wood e Ascione hanno condotto una ricerca con un numero più ampio di donne reclutate in cinque case di accoglienza e con donne che avevano riferito di non essere mai state vittime di violenze domestiche. Tutte le donne selezionate possedevano animali domestici. Dallo studio è emerso che il 54% delle donne che si erano rifugiate in case di accoglienza avevano riferito che i loro partner avevano fatto del male o ucciso i loro animali domestici, contro il 5% delle donne del gruppo di controllo.

L’importanza di coinvolgere gli animali domestici, dunque, nei programmi antiviolenza al fine sia di tutelarne la salute e sia di aiutare le donne vittime di violenza nel percorso verso l’uscita dal luogo degli abusi è lapalissiana. Pur essendo espressamente contemplati nell’ordinamento giuridico penale, i maltrattamenti sugli animali vengono ritenuti reati minori, facendo così perdere di conseguenza la percezione della gravità di tali gesti e soprattutto delle implicazioni psicologiche e sociali di cui sono portatori. Implicazioni che paradossalmente la malavita organizzata riconosce da sempre, utilizzando la correlazione tra la violenza interspecie e quella intraspecie nell’iniziazione dei minori alla vita delinquenziale attraverso un addestramento alla crudeltà sugli animali.

Quali prospettive per il futuro?

Nei paesi anglosassoni è stata elaborata una virtuosa collaborazione tra gli operatori della protezione animali e gli operatori che si occupano della protezione di donne e minori vittime di violenza. In questi paesi, rientra nella procedura ordinaria di un veterinario o un operatore della protezione animali, constatati segni di maltrattamento su un animale, segnalare alle forze dell’ordine o ai servizi sociali la possibile presenza di maltrattamenti su altri abitanti della casa per poter intervenire e in alcuni casi prevenire casi di violenza domestica.
Negli Stati Uniti precisamente nello stato del Colorado i veterinari sono obbligati ad effettuare segnalazioni di maltrattamenti su animali, a San Diego in California nei casi di abuso infantile gli operatori sociali hanno l’obbligo di riferire sulle condizioni di salute e sul trattamento degli animali domestici presenti nelle famiglie a rischio.

Data proprio la natura stessa del termine link e del fenomeno che rappresenta è più che auspicabile un’intensa collaborazione a livello territoriale tra psicologi, psichiatri, criminologi, assistenti sociali, veterinari e forze dell’ordine.

Creare maggiore comunicazione tra professionisti e professioniste, fare rete, facendo in modo che la violenza sugli animali non resti una questione rilevata principalmente (e solo) dalle associazioni animaliste ma un reato da contrastare da tutti gli appartenenti ad una società civile insieme ad una maggiore attenzione da parte delle istituzioni giuridiche, potrebbero essere le prospettive per il futuro.

Sottovalutare il fenomeno, invece, significa perdere la possibilità di prevenire e individuare situazioni di violenza interpersonale, di disagio minorile, di criminalità, laddove invece intervenire implica salvare più vite.

La violenza sulle donne spesso sembra provenire da ambiti e aspetti remoti, oscuri, o imprevedibili, ma a nostro parere non è così: riconoscere e individuare, per tempo, quelli che sono chiari “indizi” di una determinata propensione alla violenza (verso gli animali, ad esempio) permette di intercettare prima, e capire poi, che il primo caso di sopraffazione, possesso o violenza è già di per sé il risultato di una lunga progressione di violenza partita dagli oggetti, passata per gli animali, e velocemente indirizzata verso le persone apparentemente più fragili presenti nel nucleo famigliare: compagna e figli.

Per proteggere davvero le vittime di violenza di genere è necessario saper guardare come e dove la violenza nasce, come e dove si è orientata negli anni.

Il climax di violenze domestiche raramente è un exploit inaspettato, anzi, diversi studi dimostrano come la violenza aumenti di volume e pressione con il tempo sino alla più pericolosa e imprevedibile esplosione. La violenza sugli animali, in questa prospettiva, altro non è che l’ennesima forma di supremazia patriarcale e machista, esercitata al solo scopo di dominio e sopraffazione per ottenere il controllo e la sottomissione di un altro essere vivente, tramite minaccia e ricatto. In quest’ottica la violenza sugli animali rappresenta solo un punto di partenza.

 

L’articolo è stato scritto dalla Dott.ssa Chiara Consiglio, Psicologa clinica, impegnata nello studio del fenomeno Link & da Alessia di nAd.