Un grazie al Senatore Pillon e un augurio per i Centri antiviolenza

Oggi è la Giornata mondiale dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza e tra cinque giorni sarà la Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne.

E così, oggi, proprio oggi, in questo contesto, vorrei provocatoriamente ringraziare il Senatore Simone Pillon che negli ultimi due anni ha fatto moltissimo parlare di sé, per le sue posizioni antiabortiste e per la sua proposta di legge abominevole e spietata di cui abbiamo parlato qui, qui, qui, qui e qui.

Con il suo tentativo di ripristinare con la violenza la potestà paterna sui figli e il controllo dell’uomo sulla donna, ha fatto alzare il velo su quello che GIA’ accade da più di una decade nei Tribunali italiani. E, finalmente, anche a livello politico si è iniziato a parlare di quanto accade troppo spesso, quando una donna pone fine ad una relazione e coinvolti vi sono anche dei figli o delle figlie minorenni. Chiarisco subito che non ho alcuna fiducia nella politica, perché temo che ancora una volta, coloro che si sono interessati al tema, lo facciano prevalentemente per un ritorno di immagine, per carpire benevolenza e raccattare voti (tanto è vero che tra i cosiddetti esperti che dovrebbero esaminare quasi 600 fascicoli giudiziali che riguardano separazioni definite “conflittuali” con affido di minori, pare vi siano alcuni dei giudici che hanno partecipato all’emanazione di sentenze e provvedimenti proprio in alcuni di quei procedimenti presi ad esame) e tanto è vero che quando parlano le novelle sedicenti esperte (Senatrice Valente in primis, ma anche altre) utilizzano ancora il concetto di PAS (Parental Alienation Syndrome) che è andato in pensione già da parecchio, come terminologia, ma non come sostanza, anche tra coloro che la utilizzano a proprio vantaggio (specialmente, se non del tutto, economico).

Per un approfondimento serio su cosa sia questa PAS, rimando al blog “Il Ricciocorno schiattoso” che ne tratta con competenza e completezza in modo impeccabile da molto tempo. In questa sede, basta che vi dica un paio di cose:  ad invocare la PAS (poi vedremo come viene chiamata oggi) in un procedimento relativo alla separazione e/o all’affidamento di figli minori sono quasi sempre i padri che sostengono che i figli vengano sistematicamente plagiati dalle mamme affinché rifiutino i padri stessi. Perché le madri, secondo costoro, manipolerebbero i figli per metterli contro i padri? Il motivo indicato è sempre quello economico. Questi padri sostengono che le madri vogliano tenere presso di sé sempre i figli per succhiare risorse economiche agli ex mariti, mentre, secondo loro, se i figli passassero la metà esatta del tempo presso di loro o anche maggior tempo, l’assegno che essi normalmente versano per il mantenimento dei figli verrebbe ridotto. Alla base, dunque, delle accuse di “PAS”, ci sarebbe un interesse economico (oltre che, forse, un desiderio di vendetta).

In reatà, accusare la ex moglie o la ex compagna di “alienare” i figli, è, banalmente, una strategia processuale, spesso usata quando, contemporaneamente, si sta svolgendo anche un processo penale per maltrattamento e/o abusi su donne e minori, ai fini di negare le violenze, affemare che le accuse siano false, vendicarsi nei confronti della ex che ha denunciato e risparmiare denaro.

Poiché la comunità scientifica ha definitivamente screditato l’alienazione parentale, definita come “Sindrome”, negli ultimi anni, la stessa teoria viene usata, dando definizioni diverse, a volte persino fantasione, ma è pur sempre la stessa teoria, con le stesse metodiche inventate dal primo teorizzatore di questa “sindrome”, il famigerato Richard Gardner: “madri ostative” “madri adesive” “madri assorbenti” “madri simbiotiche” ed invocando sempre il concetto di bigenitorialità, sancito dalla legge 54/2006 che ha regolamentato la materia dell’affidamento dei minori, in caso di separazione dei genitori. Una legge, guarda caso, fortemente voluta dalle associazioni di padri separati, le stesse che hanno fornito consulenza al Senatore Pillon per la stesura del suo ddl 735.

Tutta la narrazione mainstream che riguarda i ccdd “figli contesi” è dominata dai padri separati, dalle ingiustizie che subirebbero, dal calvario che la giustizia italiana e donne crudeli infliggerebbero loro.

Tanto è vero che in questi giorni “Striscia la notizia” ha mandato in onda un breve servizio in cui la sola voce presentata è quella maschile, la voce delle donne non esiste. Non viene presentata la “versione” femminile, di donne che parlano dei loro problemi relativi alla separazione non v’è traccia.

Eccolo:

https://www.striscialanotizia.mediaset.it/video/genitori-separati-e-coronavirus-una-situazione-difficile_70257.shtml?fbclid=IwAR16NPTzPBE7xLsGK5V8QVcwb_2_uTOruAKvH1kwKtgKVBXWuT-VYDSSWqM

Nel video si parla di “vita difficile dei genitori separati” e della pandemia che complica le cose, ma poi, chissà come mai, i soli che vengono intervistati sono solo padri (solo due, tra l’altro, mica 10.000). Si parla di “ex mogli che se ne approfittano” e di “ex mogli che si vendicano” e, solo sul finale si accenna ai guai che, invece, molto spesso, colpiscono le mamme (gli ex che scompaiono, non collaborano e non contribuiscono al mantenimento dei figli).

Non credo che serva dilungarsi sul perché la maggioranza dei bambini continui ad abitare con la mamma, anche dopo la separazione, invece che con il padre (in costanza di unione, la maggioranza del tempo dedicato a casa e cura dei figli è dedicato dalle mamme, e non si capisce come mai, una volta che l’unione si interrompe, i bambini e le bambine dovrebbero veder drasticamente mutate le loro abitudini solo perché i padri improvvisamente scoprono di voler trascorrere maggior tempo con la prole, né si capisce come mai, improvvisamente, dopo una separazione, tutti gli impegni di lavoro che prima li tenevano lontani dai figli, non esistono più) né che serva spiegare come mai siano quasi sempre i padri a dover versare assegni di mantenimento per i figli alla ex moglie o compagna. In tempi di pandemia, oltretutto, quasi il 60% dei posti di lavoro persi, per la crisi, riguarda il lavoro femminile.

Eppure la rappresentazione mediatica dominante è quella che vede i “poveri padri” separati ridotti in povertà e senza la possibilità di vedere i propri figli.

Le donne dove sono? Dove sono i loro narrati? I loro vissuti? Si parla tanto di violenza contro le donne e, a breve, verremo inondate di quintali di iniziative, di retorica, di simboli, ma le mamme che si separano dagli uomini violenti dove sono? Come vivono dopo la separazione? Anche dopo l’eventuale condanna dell’ex partner? Come vevengono tutelate loro e i loro figli dai Tribunai civili o dai Tribunali dei Minori che, in attesa dell’eventuale procedimento penale, debbono emettere provvedimenti che regolino la separazione e l’affidamento dei minori?

Ecco perché ho iniziato il post trattando assieme la Giornata mondiale per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza e quella del 25 novembre. Ve le voglio presentare io, le mamme. Qualcuna, almeno.

Lei è Frida:

Mi chiamo Frida R. e sono la mamma di una bambina di quattro anni, riconosciuta solo da me. Sono rimasta incinta a luglio del 2015 in seguito a un temporaneo riavvicinamento al mio ex, con il quale avevo vissuto una storia tormentata e violenta. Diversi elementi avrebbero dovuto, già allora, mettermi in guardia dal suo carattere: le arrabbiature improvvise, il lancio degli oggetti, il divieto di frequentare alcune persone o di mettere una foto su Facebook, gli spintoni per strada, le parolacce. Purtroppo ero entrata in quel meccanismo per cui ogni sua reazione era giustificata da un mio comportamento. Pensavo che la colpa fosse mia e che se solo avessi trovato il modo di non farlo arrabbiare il nostro rapporto sarebbe stato perfetto».

Frida racconta: «Siamo ancora in assenza di un decreto di riconoscimento; al momento c’è un solo genitore – per la legge – ma si parla già di modalità di affido. Il mio ex aveva già esercitato violenze su di me e quando ricompare dopo la nascita di Lucia (nome di fantasia) riprendono minacce, appostamenti sotto casa, cose che allarmano persino i miei vicini. Comincio ad avere tanta paura e mi rivolgo ad un avvocato e a un centro antiviolenza».

A questo punto l’ex compagno si rivolge al tribunale di Venezia per chiedere il riconoscimento della bambina ed il giudice dispone ben due consulenze tecniche d’ufficio (Ctu). Con la prima Ctu durata più di un anno la bambina viene costretta da subito a incontrare il papà, senza alcuna gradualità, causandole veri e propri traumi. 

A febbraio del 2017 fa richiesta in Questura di ammonimento per i comportamenti persecutori che non sono mai smessi, compresi messaggi di morte, ma secondo la polizia «rientrano, in una normale conflittualità». Frida prende fiato: «si legge proprio così, normale conflittualità. Io sono stata minacciata di morte».

La ragazza viene descritta dal Ctu come una madre “ostativa” e non si tiene minimamente conto delle minacce, delle violenze fisiche e psicologiche valutate anche al Centro Antiviolenza di Mestre. 

Lei è una mamma senza nome, ma la bimba si chiama “Susy” (nome di fantasia):

Susy (nome di fantasia) è cresciuta serenamente con la mamma e con i nonni in una fattoria didattica, centinaia di scolaresche che, prima del lockdown, riempivano di sorrisi e di stupore prati e vialetti che circondano i recinti con gli animali. Tanta ‘socialità’, come si premuravano di accertare i servizi sociali, in un ambiente sano, protettivo. E poi la regolare frequenza a scuola, le cure sanitarie puntuali. E il padre? Mai conosciuto, almeno fino all’età di quattro anni. Subito dopo la nascita si è eclissato e non ha più dato notizie di sé. La madre, dopo un periodo di comprensibile sofferenza, ha fatto tutto da sola, con l’aiuto dei genitori. Fino a che un giorno l’uomo rispunta: «Voglio riconoscere mia figlia. La voglio vedere. Anzi voglio che venga a vivere con me». Cosa avrebbero fatto in una circostanza simile tutte le mamme del mondo abbandonate dal partner dopo essere rimaste incinta e dimenticate per un periodo così lungo? La mamma di Susy ha fatto proprio così. Ha alzato cioè intorno alla figlia una barriera protettiva. Poi ci ha pensato un po’ e – concluse le pratiche per il riconoscimento – ha risposto: «Susy non è un pacco che puoi spostare a piacimento. Devi guadagnarti la sua fiducia, ci vuole tempo».

Invece l’uomo ha preteso di avere tutto e subito. Poi, di fronte all’opposizione dell’ex partner, ha anche alzato le mani. Inevitabile il ricorso al Tribunale per i minorenni, poi le denunce, poi le perizie. La solita estenuante, lunghissima trafila. Arriva la sentenza: affido condiviso con residenza presso la mamma, il padre potrà vedere la figlia secondo un calendario ben definito. Ma la conflittualità aumenta, l’uomo non arretra di un passo, viene informato del rischio di un allontanamento della piccola. Che infatti, qualche giorno fa, scatta in modo inevitabile. Nonostante esistano sentenza della Cassazione (la n. 16593 del 2009) che spiegano come la conflittualità dei genitori non è motivo sufficiente per negare l’affido condiviso, quindi neppure per un allontanamento, che è qualcosa di più invasivo nella vita di un bambino.

Lei è Ginevra, la sua storia è quanto di più doloroso io abbia mai letto in vita mia:

All’inizio era gentile e premuroso, tutto quello che una donna può desiderare. Poi ha avuto una trasformazione improvvisa. Ha iniziato a essere possessivo, non voleva che andassi più dai miei, dove avevo lasciato anche il mio cane e il mio gatto perché non voleva che li portassi a casa sua. Non potevo più vedere o sentire le mie amiche. Mi ha fatto anche cambiare numero di cellulare”.

Era sempre più violento negli atteggiamenti, non con le mani”, spiega. “I primi tre mesi di gravidanza li ho passati così, tra i silenzi, le atmosfere pesanti, con lui che non mi faceva mai sapere cosa faceva e se sarebbe tornato per cena. Dopo ha iniziato a essere violento anche con le mani, mi offendeva e usava intimidazioni e minacce. Mi strattonava e se provavo a reagire mi urlava addosso che non avrei dovuto mettermi contro di lui”.

Durante uno di questi episodi di violenza, a marzo 2009, Ginevra ha delle perdite di sangue, rischia di abortire e decide di andarsene, nonostante le minacce. “Lui e sua madre mi dicevano che se mi fossi messa contro di loro avrei perso, che mi avrebbero tolto la bambina, che l’avrebbero affidata a loro perché erano ricchi”, racconta. “Pensavo che una cosa del genere non fosse possibile”.

Contro F.M. inizia un processo per lesioni, che si è concluso nel 2018 con la condanna in primo grado. Parallelamente, davanti il Tribunale dei minori inizia la battaglia legale per l’affidamento di Arianna. L’avvocato del padre della bambina chiede una perizia psichiatrica su Ginevra. La diagnosi è quella di “tratti istrionici e prognosticati comportamenti imprevedibili nel futuro”. A firmarla è Marisa Malagoli Togliatti, che invita Ginevra “a farsi curare” presso un centro di salute mentale. “Questo disturbo non è neanche nei manuali di psicologia”, sottolinea Ginevra, che negli anni successivi è stata sottoposta ad altre perizie che confutano il risultato della prima. “Mi è stato affibbiato così, senza neanche una motivazione”.

La mattina del 23 marzo 2011, Ginevra esce con Arianna per fare una passeggiata ma si trova davanti diverse persone tra assistenti sociali, carabinieri e un’ambulanza. “Mi mostrano un decreto del Tribunale dei minori che mi toglie Arianna, che stabilisce che lei sarebbe dovuta andare a vivere con il padre e io non avrei più dovuto avere alcun contatto con lei. Mi hanno detto che se fossi andata a curarmi al dipartimento di salute mentale me l’avrebbero fatta rivedere, io ci sono andata ma non è servito.

Ginevra non ha più rivisto la figlia per quasi 10 anni, alla faccia della bigenitorialità. Perché un minore deve obbligatoriamente frequentare il padre anche quando violento, ma se viene tolto alla madre, in assenza di qualsivoglia condanna, lei finisce per non vedere più il bambino fino ad arrivare a 10 anni, come Ginevra?

Concludo con Alma (ma di storie come queste ce ne sono molte altre. Moltissime):

Cuneo, quattro fratelli di 6, 11, 14 e 16 anni sono stati separati e rinchiusi in quattro differenti Case famiglia e i due maggiori hanno cominciato lo sciopero della fame perché vogliono tornare a casa dalla loro madre, accusata di alienazione parentale. Il terzogenito ha anche tentato la fuga dalla struttura perché voleva tornare a casa dalla madre e voleva vedere i fratelli. Il piccolo ha raccontato in una lettera la sofferenza per l’inspiegabile crudeltà della separazione dalla madre.

Questi i fatti. Nel settembre del 2018, una madre raccoglie la testimonianza della figlia che rivela di essere stata toccata nelle parti intime dal padre. Da quel momento comincia la via crucis per lei e i suoi figli. Una denuncia penale e un importante quadro accusatorio portano al divieto del padre di avvicinare i figli, una perquisizione nella casa paterna fa scoprire foto intime di uno dei ragazzi. C’è anche una confessione scritta dall’uomo sugli atti commessi nei confronti della figlia, eppure il tribunale civile di Cuneo, al quale la madre si è rivolta chiedendo l’affido esclusivo dei figli, nomina una Ctu per valutare la capacità genitoriali di entrambi i genitori.

L’iter si conclude con la diagnosi di alienazione parentale e il tribunale stabilisce che i bambini siano collocati a casa dei nonni paterni, ovvero dei genitori dell’uomo accusato di abusi sessuali. I ragazzi, racconta l’avvocato Domenico Morace, denunciano di subire pressioni di nonni paterni affinché ritrattino la loro testimonianza. Un carabiniere intervenuto una sera a casa dei nonni dice per sette volte ai ragazzi (c’è una registrazione) che “saranno allontanati dai nonni, separati e rinchiusi in Case Famiglia”.

E’ una profezia che si avvera a luglio: da allora sono chiusi in casa famiglia “senza possibilità di comunicare con pc o cellulari, senza libri, senza poter ascoltare la madre, come fossero al 41 bis”. La più piccola ha solo sei anni e nessuno di loro è mai stato visto o ascoltato dai giudici in violazione delle Convenzioni Internazionali e della legge 54/2006 che impone di ascoltare i maggiori di 12 anni e di valutare la testimonianza dei più piccoli.

Ho voluto concludere con la storia di Alma, perché proprio oggi, Repubblica ha pubblicato questo articolo, in cui racconta della lettera scritta dal maggiore dei figli di Alma, alla giudice che li ha allontanati dalla loro mamma. Oggi, Giornata mondiale dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza:

Perché? “Se io e i miei fratelli glielo abbiamo detto in tutte le lingue che non vogliamo più avere a che fare con lui?”

Perché  “i giudici, gli avvocati, gli assistenti sociali ci stanno infliggendo altro dolore?”

“Lei dovrebbe prima vedere se è vero ciò che diciamo, e in attesa tenermelo lontano e consolarmi e sostenermi e proteggermi, da lui e dai brutti ricordi”.

Una riflessione impietosamente pura la sua, su un’istituzione che dei minori dovrebbe essere protettrice ma che finisce per tutelare prima i diritti degli adulti.

E concludo il mio lunghissimo post, riprendendo l’inizio: grazie Senatore Pillon, adesso tutti e tutte siamo informat* su cosa accade nei tribunali italiani e non abbiamo più scuse.

Mi rivolgo ai Centri Antiviolenza che spero finalmente decidano di agire per la tutela ANCHE in sede civile e di affidamento dei minori, non soltanto producendo video come questo:

Ma anche e soprattutto iniziando a metterci la faccia, supportando le mamme che denunciano questi terribili abusi, che sono una vera e propria forma di violenza istituzionale, iniziando a informarsi, a studiare, a capire come muoversi in un sistema fatto di denaro, potere, abuso dello stesso, collusioni, favoritismi e immensi giri di denaro.

Auguro che le donne che prestano la loro opera nei prezioni centri antiviolenza inizino a cercare riferimenti in rete se indirizzano le loro assistite a qualche professionista esterno. A valutare le loro collaborazioni: basta una ricerca sul web, per capire se la tal psicologa, o avvocata o assistente sociale è una sostenitrice dell’alienazione parentale (o come vogliamo chiamarla) o meno.

Ascoltiamole almeno noi queste mamme.

Qui un paio di eventi utili, di cui il primo ha il link sotto la foto:

https://www.facebook.com/events/3430774443701913