Tso e alimentazione obbligatoria. La proposta PD per i disturbi del comportamento alimentare

L’estate scorsa la deputata Pd Michela Marzano aveva avanzato una proposta di legge per l’introduzione di un nuovo reato penale: istigazione ai disturbi del comportamento alimentare. Sotto accusa erano i cosiddetti siti pro-ana e pro-mia rei di diffondere pratiche alimentari restrittitve molto pericolose.
In questo post avevo tentato di mettere in evidenza i limiti di una proposta che semplifica la complessa eziologia dei disturbi alimentari istituendo un legame deterministico tra certi siti e l’insorgere della patologia, il rischio che la legge andasse a punire proprio le persone malate, perchè sono loro il più delle volte a gestire i siti pro-ana, la totale assenza di proposte di investimenti per sopperire alla grave mancanza di strutture di cura e programmi preventivi.

Oggi è stata discussa alla Camera una nuova proposta di legge, presentata ancora una volta da una deputata Pd, Sara Moretto, che vorrebbe introdurre il TSO, trattamento sanitario obbligatorio, e alimentazione obbligatoria per le persone affette da gravi disturbi dell’alimentazione.

Ancora una volta la complessità della patologia, che interseca fattori socio-culturali, famigliari, personali, psicologici, e che quindi avrebbe bisogno di un approccio nella cura altrettanto articolato e personalizzato, viene sacrificata per la soluzione più veloce ed economica.

Il reato penale o il trattamento sanitario obbligatorio, la forza come paradigma universale per risolvere tutto.

Una proposta come quella della deputata Moretti può essere molto pericolosa.
La necessità di interventi, come il ricorso all’alimentazione obbligatoria, può esserci in alcune situaizoni, da valutare di volta in volta, e tra l’altro già applicabili senza bisogno di nuove leggi, ma non può diventare paradigma universale; la ospedalizzazione forzata, attraverso il tso, come buona prassi per la cura dei disturbi del comportamento alimentare disconosce le mille sfaccettature di queste complesse patologie, limitandosi a curare il corpo nella fase emergenziale, ma non prevedendo nulla che accompagni la persona, magari resa ancora più fragile da un trattamento subito contro la propria volontà, nel percorso di cura.

Nella proposta di legge della deputata Pd si legge infatti: ” Ogni regione, entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, individua nella dotazione di posti letto ospedalieri esistenti i posti letto dedicati al trattamento sanitario obbligatorio dei DCA avendo cura che siano dotati delle opportune misure di sicurezza per l’incolumità fisica degli utenti.”
Mi pare di capire si tratti di un intervento a costo zero.
Non viene investito un euro, non c’è alcun potenziamento degli scarsi spazi dedicati alla cura di questi disturbi, non è previsto nessun finanziamento per interventi preventivi, come assistenza psicologica gratuita presso consultori e usl, nessuna tipologia di sostegno per i famigliari. La proposta di legge prevede solo qualche letto nei reparti psichiatrici di diagnosi e cura dove effettuare alimentazione forzata, senza prendere minimamente in considerazione la presa in carico della paziente dopo il trattamento, che la maggiorparte delle usl non fornisce, fornisce in maniera dequalificata, fornisce per periodi di tempo molto limitati.

Come scrivevo qui la situazione attuale in Italia nella cura dei disturbi dell’alimentazione è questa:

Le aziende sanitarie locali, soprattutto quelle dei piccoli centri, non sempre hanno spazi appositi e personale adeguatamente formato; le strutture di ricovero sono poche e concentrate soprattutto nel Nord Italia; l’uso degli psicofarmaci massiccio e spesso esclusivo; le lungaggini burocratiche logoranti: file, certificati, colloqui, stupidi cavilli che non ti fanno rientrare in tale servizio perchè non hai l’età o non possiedi la residenza o non stai proprio così male. I famigliari hanno un sostegno nullo o insufficiente. Lo psichiatra è precario, chissà se gli rinnoveranno il contratto, la continuità della cura che non ti garantisce il servizio pubblico la cerchi nel privato, così, se la malattia non fa distizione di classe colpendo indistintamente tutt*, nella cura le differenze ci sono eccome.

Nessuna proposta di legge sui disturbi del comportamento alimentare può ritenersi valida se non prende in considerazione questa situazione e non investe nulla per sanarla, altre possono essere addirittura dannose.