Tribunali civili: abbiamo un problema

In questo lungo post, avevamo cercato di illustrare la difficilissima situazione in cui versano le donne che denunciano una violenza da parte del partner, quando entrano nel girone infernale delle separazioni o dei procedimenti di affidamento che coinvolgono figli minori.

Sono moltissime le donne che iniziano da pochi anni, o mesi a denunciare pubblicamente le prassi dei Tribunali Civili che, pedissequamente e ovunque, vessano le donne/madri tenendole sulla graticola e male applicando una legge, la 54/2006, che disciplina la materia dell’affidamento di figli minori in caso si rompa l’unione dei genitori.

Nata per volere delle associazioni dei padri separati, questa legge sancisce il principio della cd bigenitorialità, intesa come diritto del bambino/a di mantenere rapporti con entrambi i genitori, anche dopo la loro separazione, principio astratto di per sé ragionevole, ma che si sta rivelando, in alcune categorie di procedimenti, una clava per quanto riguarda i diritti di donne e bambini, specialmente se si trovano in situazione di violenza domestica, in quanto, a quanto pare, il principio della bigenitorialità è diventato elefantiaco e ha finito per diventare un modo per ripristinare violentemente la patria potestà.  (Si veda l’immenso archivio del “Ricciocorno” in tema)

In poche parole: non importa che l’uomo dal quale ti sei separata sia un cattivo uomo (ti abbia picchiata, minacciata, ti abbia maltrattata… o lo abbia fatto davanti al figlio/a o anche direttamente al figlio/a), è pur sempre il padre di quel bambino/a e deve poter avere un rapporto con lui/lei. E se, per caso, il bambino o la bambina si rifiutasse, la colpa, con il perverso meccanismo dell'”alienazione genitoriale” e concetti simili, è della madre, rea di aver allontanato, manipolandolo, il bambino dal padre.

Sembra che la violenza contro le donne nei Tribunali Civili non trovi cittadinanza, non viene riconosciuta, nominata. I giudici di famiglia o dei Tribunali per i Minorenni applicano in maniera acritica la legge 54/2006, delegando a Consulenti Tecnici (CTU) la valutazione della capacità genitoriali di entrambi i genitori, posti sullo stesso piano, senza tener conto di eventuali querele per maltrattamenti o lesioni a carico e violando la Convenzione di Istanbul.

Entrare nel mondo delle CTU è entrare in una distopia che difficilmente si riesce ad immaginare e che spesso si configura come una forma di persecuzione, se non di vera e propria forma di tormento per le donne e i loro figli.

La pagina FB “MovimentiAMOci Vicenza” dà conto di come queste CTU spesso siano dei banali copia e incolla di CTU precedenti, perché i nomi dei professionisti sono sempre i medesimi e il sistema funziona secondo regole sue che si fatica a denunciare, ma che indicano chiaro un forte pregiudizio contro le donne che denunciano il compagno e che chiedono tutela per sé e per i figli.

Anche noi, nel nostro piccolo, vi abbiamo raccontato alcune di queste storie, ad esempio QUI

Una di queste riguarda Frida:

L’ex compagno di Frida, dopo aver saputo della sua gravidanza, ha cercato in tutti i modi di convincerla ad abortire, anche con minacce e, dopo che la donna ha partorito, si è completamente disinteressato della bambina, fino a quando la piccola non ha avuto 18 mesi. Allora l’uomo ha iniziato a pretendere di poter frequentare la bambina come se niente fosse. Alle cautele e alle perplessità che Frida ha sollevato, l’uomo ha risposto con persecuzioni, denunce, trascinando madre e bambina in una spirale di vessazioni dentro e fuori dai Tribunali. I Servizi Sociali, troppo spesso servi anche loro del sistema, hanno assunto la responsabilità sulla bambina, la costringono a penosi incontri forzati con il padre e i vari provvedimenti e decreti che si sono nel tempo susseguiti danno a Frida sempre meno speranza. Rischia di perdere la sua bambina, depauperata e oggetto di ritorsioni continue da parte delle Istituzioni e dell’ex, Frida ci chiede di condividere una petizione.

Da un’intervista con l’Avvocato di Frida:

“Quando la madre vuole un figlio e il padre no e fa di tutto per convincerla ad abortire, quel padre ha abortito dal punto di vista etico e giuridico, perché ha tagliato qualsiasi legame con il concepito, facendo un calcolo costo-benefici- ragiona il legale- La madre, invece, fa scelte sulla sua pelle”. È la donna “che sceglie di portare avanti la gravidanza senza un uomo accanto, sostenendo da sola il peso delle enormi conseguenze di questa scelta sul piano psicologico, economico, sociale e affettivo”. Ebbene, la legge consente “a questo padre che ha abbandonato materialmente e moralmente la donna durante la gravidanza” di “rientrare dalla finestra quando lui stesso è uscito dalla porta principale, rovinando la vita alla mamma prima e anche dopo la nascita della bambina”, tornando a farsi vivo nel “dettare condizioni” e nel “portare avanti un’azione violenta di mortificazione”. E questo anche “grazie alle Ctu (Consulenze tecniche d’ufficio, ndr)”, che, nel caso di Frida, “iniziano a parlare di adesione della bimba alla mamma” e diagnosticano un “conflitto di lealtà (costrutto ascrivibile alla sindrome dell’alienazione parentale, ndr) a soli 18 mesi della bambina”, età in cui è “ovvio che ci sia un’adesione all’unico genitore di riferimento”.

Il problema è “una legge molto ipocrita”, che permette “di ricorrere al giudice e fa riconoscere figli a padri – a volte anche gentaglia – dopo anni, contro il consenso di madri che quei figli li hanno voluti, cresciuti e accuditi”. Ma le “azioni distruttrici” dell’ex di Frida “sono continuate anche dopo la nascita della bambina”, continua, e, ben prima che in tribunale si espletasse l’iter di riconoscimento, “gli è stato concesso il diritto di visita”.

Tutto questo nonostante l’uomo abbia continuato nelle sue vessazioni contro Frida che racconta (i fatti si riferiscono al 2020):

 “Quest’estate ho presentato l’ultima denuncia per atti persecutori e violazione di domicilio- racconta la donna- Aggressività e appostamenti sotto casa erano diventati la normalità, mi mandava la Polizia in casa ogni tre giorni, esigendo di incontrare la bambina che non voleva vederlo. Questi comportamenti l’hanno ulteriormente terrorizzata”. Una quotidianità diventata nel tempo impossibile, tanto che la donna ha dovuto cambiare le sue abitudini di vita. “A un certo punto sono cominciati gli appostamenti anche sotto casa dei miei familiari, mio fratello e mia cognata lo hanno denunciato”.

Ed è appunto riguardo la situazione descritta dal legale, che Frida e chi la sta seguendo, hanno creato una petizione che volentieri diffondiamo e che chiediamo di sottoscrivere.

Eccola:

PETIZIONE PER FRIDA: MODIFICA ARTICOLO 250 CC

Esiste un vuoto legislativo per cui un padre che ha manifestato la volontà di far interrompere la gravidanza alla compagna e ha tentato di condizionare in tal senso la volontà della donna può ritornare sui suoi passi e chiedere IN QUALSIASI MOMENTO il riconoscimento del figlio. In questa voragine cadono donne e bambini ai quali viene distrutta la vita da uomini che rivedono la loro posizione solo perché hanno oggettivato i figli e vorrebbero imporsi con prepotenza e violenza nella loro vita.
La donna che sceglie, come suo diritto, l’aborto ha delle conseguenze irreversibili. Per quale motivo una donna che porta avanti la gravidanza, nonostante l’abbandono morale e materiale dell’ex partner, non deve essere tutelata? Se per una donna l’aborto è una scelta irreversibile perché per l’uomo non può esserlo?
L’articolo che disciplina queste situazioni è il 250 c.c. che al terzo comma recita testualmente: “Il riconoscimento del figlio che non ha compiuto i quattordici anni non può avvenire senza il consenso dell’altro genitore che abbia già effettuato il riconoscimento.”
Di fatto la libertà del genitore che desidera riconoscere il figlio in un momento successivo viene compressa e (apparentemente) condizionata al consenso del genitore che, per primo, si sia assunto la responsabilità morale e giuridica della filiazione.
Il comma successivo, tuttavia, limita il potere interdittivo del primo genitore se, posto al vaglio del Giudice, il riconoscimento del secondo genitore sia corrispondente all’interesse del minore: “Il consenso non può essere rifiutato se risponde all’interesse del figlio. Il genitore che vuole riconoscere il figlio, qualora il consenso dell’altro genitore sia rifiutato, ricorre al giudice competente, che fissa un termine per la notifica del ricorso all’altro genitore”.
Il Legislatore trascura il ruolo e le responsabilità del padre preoccupandosi solo di regolarne i diritti al momento in cui il figlio viene alla luce.
Un padre che abbia apertamente con fatti e parole espresso il desiderio di sopprimere la vita di suo figlio andando contro la volontà della madre gestante, cercando in vario modo di condizionarla, manipolarla e convincerla ad abortire, non ha esercitato un diritto che, per ovvie ragioni, appartiene solo ed esclusivamente alla donna, quello cioè di interrompere la gravidanza, ma, al contrario, ha cercato di coartare la volontà della donna non solo facendole mancare l’appoggio morale e materiale del quale necessita, ma addirittura a volte minacciandola e ricattandola.
Tale comportamento però non assume giuridicamente alcun peso e, in via del tutto autonoma e automatica, rimane indiscusso il diritto del padre, previo controllo del Giudice, di riconoscere il figlio.
Si tratta di una forma di discriminazione di genere, retaggio di una cultura giuridica fortemente improntata a tutelare il potere maschile, ma che, ancora oggi, su alcuni temi sensibili come questo, segna il passo e necessita un adeguamento ai valori costituzionalmente garantiti.
Una madre che ha partorito da sola e da sola ha cresciuto il figlio ha tutti gli elementi per capire quale sia il suo interesse. È la madre la tutrice e non riteniamo possa essere invece un giudice calato dall’alto o una CTU (Consulenza Tecnica d’Ufficio) a decidere sulla sorte di quel figlio che un padre non voleva far nascere e che magari ha trascurato se non ignorato per anni!
Per colmare tale vuoto legislativo, basterebbe aggiungere un comma all’articolo 250 che dia valore alla maternità e tuteli donne e bambini da padri cosiddetti “indegni”.
Chiediamo pertanto il sostegno di tutti per la modifica dell’articolo 250 c.c. con l’aggiunta del seguente comma:

“Il padre del concepito che si sia espresso per l’interruzione della gravidanza e che abbia cercato di condizionare in tal senso la scelta della futura madre o che, intenzionalmente, l’abbia moralmente e materialmente abbandonata non può, in alcun modo, senza il necessario consenso della madre, riconoscere il figlio o ricorrere al giudice.”