Ti chiamano puttana? E’ un’offesa all’onore di tuo padre!

post del 24 settembre 2013

Possono sporgere denuncia e chiedere un risarcimento quei genitori che si sentano offesi da chi attacca “l’onorabilità” delle proprie figlie.

Anni ’50? 2013.

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La Cassazione ha infatti confermato con questa motivazione la condanna a un uomo che aveva insultato un conoscente dando a lui del “cornuto” e alla figlia ( nemmeno presente ) della “puttana“.
La ragazza non ha presentato alcuna denuncia, ma il padre non ci ha pensato due volte, ferito nell’orgoglio.

Ed ecco che la Cassazione sentenzia che:

Quanto alla veste di persona offesa in capo al padre, è di palese evidenza che il contesto della frase rivolta a quest’ultimo fosse ingiuriosa

proprio nei suoi confronti, avendo l’imputato inteso colpire direttamente la parte civile nei suoi affetti familiari e costituendo il riferimento alla figlia proprio lo strumento per ledere l’onorabilità del padre”

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Se qualcuno dà della puttana a una donna, il padre di lei può essere risarcito perchè in fondo “l’onorabilità” della figlia è la sua, la sessualità della figlia è la sua, la figlia è sua. Poco importa se la donna in questione non si interessa della vicenda, il risarcimento va al padre, perchè diventa offeso per procura.

Esiste un equivalente per un figlio maschio? Chiaramente no. Perchè “puttana” ha una sua semantica che attraversa e supera la prostituta cui in teoria si riferisce, racconta di donne fuori controllo, fuori dagli schemi, che non obbediscono, che inficiano l’autorità, l’onorabilità paterna.

Puttane e onore ( perduto, infranto, tradito ) vanno spesso a braccetto nelle retoriche italiche.

Un po’ perchè si è tanto malati di Troiofobia che davvero in pochi si rendono conto di cosa oggi voglia dire dare della puttana a una donna, di quanto chi usa questo insulto dovrebbe essere ridicoleggiato e isolato, invece che denunciato alle autorità.
“Puttana” è sempre stato usato dal patriarcato per diminuire il valore morale di una donna, valutata in base alla sua verginità.

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Oggi che i valori di giudizio sembrano cambiati, chiamare una donna “puttana” non è più strettamente legato alla sua sfera più intima: vuol dire insignirla di un ruolo sociale fuori controllo, ritenerla non addomesticabile, che questo voglia dire giudicarla in base alla sua vita sessuale o ai vestiti  o alla carriera che ha scelto o a quanto successo ha.
E di conseguenza nasce la fobia delle troie, la paura delle puttane, che non stanno ferme nelle etichette binarie che il patriarcato vorrebbe affibiare loro.

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Insomma puttana è un’etichetta patriarcale, ma definisce anche un’evasiona dalle categorie patriarcali.

 

Scrivevamo qui, dopo la Slutwalk romana

Troia. Puttana. Zoccola. Mignotta. Cagna.

E ogni volta che ce lo sentiamo dire è stato perchè avevamo infranto qualche regola imposta da altri, dal sistema, dal patriarcato, dall’autorità.

Siamo puttane tutte le volte che ci vestiamo come vogliamo e magari non è quello che si aspettavano. Quando prendiamo parola a voce troppo alta. Quando ci organizziamo e magari vinciamo anche. Quando non abbiamo bisogno di amore o ne abbiamo bisogno nel modo che diciamo noi. Quando decidiamo come gestire noi, il nostro tempo, lo spazio. E, ovviamente, quando veniamo molestate, violentate, aggredite.

Tutti questi ragionamenti sono ignorati da una senteza che interpreta “puttana” non solo come un insulto più grave di altri ( magari rivolti a uomini ) ma che lo ricollega non tanto all’offesa della donna ingiuriata, quanto all’onorabilità sua e quindi del padre.

 

L’onore. Anche questa è una parola che agli italiani piace tanto. Dai balconi di Piazza Venezia, agli stadi, passando anche per la bocca di qualche pseudofemminista che la trasforma in “dignità“, solo perchè l’onore, in fondo, è maschio.

E infatti le onte delle figlie, ricadono sui padri.

Prendiamo M., una studentessa di medicina che studia e vive a Roma, dove condivide un appartamento con un’altra ragazza, S.
Qualche giorno fa, M. decide di lasciare l’appartamento, a chiamare il padrone di casa non è lei, ma suo padre.
La motivazione? La coinquilina S. ha un fidanzato e questo passa spesso la notte a casa loro, usando bagno e cucina.
Problema di utenze? No. E’ che M. è fidanzata ufficialmente al paese e ne va della “onorabilità” sua e del matrimonio.

2013. Dalla sentenza di Cassazione, alle motivazioni del padre di M., giungendo tristemente alle motivazioni date da molti degli autori degli ultimi femminicidi c’è l’onore, l’onorabilità delle donne che ricade sugli uomini che le possiedono.

Sarà per questo poi che la TIM propone uno spot, uno degli ultimi, in cui il mostro nero della convivenza sono “i maschi”. Sarà che la pubblicità, di nuovo, interpreta ( e vende, mercificandolo come “di moda” ) uno stereotipo relazionale più radicato di quel che potremmo pensare.

Le brave ragazze non vivono con i maschi, vogliono solo donne intorno perchè così preserveranno l’onore ( proprio o dei padri? ).
I “maschi” in quanto tali sono portatori di un quoziente di promiscuità e come tale vanno evitati.
La pensa così il padre di M. ancora prima di vedere lo spot, con cui sicuramente si troverà d’accordo.
La pensa così anche M. stessa, nonostante studi medicina, la cosa più importante è non minacciare il matrimonio paesano.

L’onore è un sentimento di valutazione della reputazione, dell’identità morale di un individuo.
Per quel che riguarda le donne è sempre stato riferito al rispetto di alcune regole comportamentali legate alla sessualità.

Invocando l’onore delle donne, sono stati giustificati ed autorizzati matrimoni riparatori, ritorsioni, omicidi e femminicidi.

E no, non è la stessa onta che essere chiamate “puttane” ( offesa da cui dovremmo semplicemente svincolarci ) o avere un maschietto che gira per casa.

Evitando di usare retoriche e giustificazioni patriarcali come “l’onorabilità” delle figlie, probabilmente si intaccherebbe un piccolo pezzetto in più del patriarcato stesso.