Io sto con la sposa: un film che supera i confini della clandestinità

Io sto con la sposa è un film documentario di tre autori emergenti, Antonio Augugliaro  ( anche montatore ), Gabriele Del Grande ( anche giornalista ) e Khaled Soliman Al Nassiry ( anche poeta ). Questo trio italosirianopalestinese firma la storia di un viaggio e lo fa mettendosi “in gioco” in prima persona.

io-sto-con-la-sposaIl documentario racconta di cinque persone, cinque profughi palestinesi e siriani, che, in fuga dalla guerra, arrivano sulle coste di Lampedusa. Da lì vorrebbero arrivare tutti in Svezia, la meta della maggior parte dei migranti che toccano le nostre coste, per chiedere lo stato di rifugiato politico, per chiedere asilo, per ricominciare. Ma per loro è impossibile.

Non basta un viaggio lungo una vita, in mare alto, vedendo morire gli amici più cari, non basta essere alla mercè degli scafisti che li prosciugano dei loro averi e poi li abbandonano in mare, non basta nemmeno essere scambiati per morti e gettati per ore insieme ai cadeveri finchè, ancora mezzi assiderati, si riesce a muovere una mano, a dire siamo vivi.
Non basta tutto ciò: quello che li aspetta in Italia sono i tentennamenti dei soccorsi ( è competenza italiana o di Malta? E intanto altri affondano. ) e poi l’obbligo di dare le impronte, anche a suon di botte. Perchè funziona così, in Europa, le frontiere si abbattono solo per i progetti Erasmus, ma la libera circolazione degli individui è un privilegio solo di alcuni.

In Italia ottenere lo stato di rifugiato politico è un miraggio, se non un miracolo.
La maggior parte dei profughi vuole andare verso Nord, raggiungere la penisola Scandinava, la Svezia in particolare, dove invece è più facile ottenerlo. Per farlo normalmente bisogna di nuovo che si affidino all’illegalità, al traffico di esseri umani: contrabbandieri di vite che per un migliaio di euro a testa, possono portarti oltre il confine, fino in Svezia. Si corre il rischio che ti lascino in un mare di guai sulle Alpi austriache, che tu non hai mai visto e non sapresti mai distinguere dalla Svezia, ma non hai alternativa. Il loro passaporto, come recitano i titoli del film, nelle nostre ambascate è carta straccia.
Così i tre autori decidono di intervenire. Conosciute queste cinque persone, un padre e il suo giovanissimo figlio rapper da Gaza, un ragazzo che ha visto morire in mare gli amici più cari, una coppia anziana che si era giurata di non andare mai via dalla Siria, decidono di non poterle abbandonare a un destino di reato di clandestinità e assenza di diritti.

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Decidono di mettere in scena un finto matrimonio coinvolgendo un’amica palestinese arrivata da pochi mesi in Italia; lei si travestirà da sposa e una decina di amici italiani e siriani, compresi gli autori, faranno gli invitati. Sperano così mascherati di sembrare un allegro corteo matrimoniale, di dare meno nell’occhio, di sembrare senza pensieri, senza pericoli.
Attraverseranno così mezza Europa, da Milano a Malmo, in un viaggio di  soli quattro giorni, ma ben tremila chilometri.

Il documentario racconta la fuga verso la libertà, verso il diritto di esistere, attraverso Italia, Francia, Germania, Danimarca, infine Svezia. In ognuno di questi Paesi qualcuno accoglie e sostiene i cinque migranti e i loro complici, raccontandoci un’Europa che può essere anche molto più includente  e ospitale di come le leggi sull’immigrazione vogliono farla apparire.

Io sto con la sposa è un documentario capace di scuotere chi guarda e chiedere, violentemente, da che parte vuoi stare?
Perchè astenersi è una precisa scelta: vuol dire far finta che quste cinque persone, come tutte le altre migliaia, non abbiano il diritto di vivere lontani dalla guerra, non abbiano diritto all’asilo, debbano affidarsi di continuo a trafficanti di esseri umani.

I tre autori decidono nettamente da che parte stare, legati in modo diverso e profondo alla Siria, alla Palestina o al semplice concetto di autodeterminazione, corrono un rischio enorme per portare i nuovi amici a destinazione: in Italia per aver aiutato cinque clandestini a superare i confini si rischiano anche 15 anni di carcere. Li rischiano anche i trafficanti, ma quelli raramente vengono fermati.
Il cardiopalma di dover superare le frontiere che solo virtualmente non esistono più, tutti vestiti a festa, come ad un matrimonio, come alla celebrazione della libertà, perchè, come dice uno degli autori, Del Grande: il tentativo era quello di cambiare l’estetica della frontiera per cambiarne profondamente il significato.

E per farlo usano la leggerezza di tutta la vita che si sprigiona quando sei circondato dalla morte: canzoni, danze, persino il rap pieno di rabbia di un piccolo uomo che non sa se mai tornerà a casa. Anche se il mondo ha lo stesso sole, la stessa luna per tutti, non tutti hanno lo stesso diritto di ammirarli serenamente.

sposa3Nelle loro ricerche, i tre registi hanno trovato una storia che somiglia in qualche modo alla loro.
Una famiglia ebrea che durante il fascismo inscenò un matrimonio sulle rive del lago di Como per poi fuggire, di notte, oltre il confine.
Non è cambiato poi molto, per uscire dall’Italia ancora oggi qualcuno ha bisogno di mascherarsi da sposa e correre oltre la frontiera.

Io sto con la sposa è stato realizzato grazie a una campagna di crowfunding su Indiegogo unica in Italia per portata e risultato: 2.617 finanziatori dal basso hanno donato complessivamente più di 98.000 euro per la realizzazione del film.

Un evento per il cinema italiano, per niente abituato a raccolte fondi così proficue, per niente abituato a essere prodotto dal basso, libero e indipendente, come solo poteva essere per raccontare questa storia.