STIPENDIO ALLE CASALINGHE: PALLIATIVI, VIOLENZA DI GENERE E MARITI DAL REDDITO ALTO

Post del 18 marzo 2014

 

Salario alle casalinghe: argomento vecchio, nuove proposte.
L’ultima viene da Giulia Bongiorno, nota per essere stata parte del collegio di difesa di Giulio Andreotti, eletta nelle file del PDL e poi fondatrice insieme a Michelle Hunziker di Doppia Difesa , una onlus per l’assistenza alle vittime di violenza di genere.

Renzi sta preparando le misure contro la disoccupazione e la Bongiorno propone: per restituire dignità sociale al lavoro dei 5 milioni di casalinghe italiane ( e a quella esigua minoranza di uomini casalinghi ), serve riconoscere loro un salario perchè queste donne non siano cittadine di serie B.

Inoltre, sostiene sempre Bongiorno, una retribuzione fissa alle donne di casa procurerebbe loro quella autonomia economica che ora manca loro e che impedisce dunque di ribellarsi a situazioni di violenza domestica.

desperate housewives

La proposta di uno stipendio alle casalinghe apre un dibattito intenso.
Prima di tutto, bisogna considerare i presupposti del nostro Paese: secondo i dati relativi all’anno 2011 dell’ufficio statistico Ue, il tasso di occupazione delle donne senza figli tra i 25 e i 54 anni è pari al 63,9%mentre il tasso di occupazione delle donne totali scende al 46,7%.
Inoltre, secondo una statistica dell’Istat dello stesso anno, il 76% del lavoro domestico è svolto dalle donne.Rispetto al 2003, gli uomini italiani hanno prolungato di soli 9 minuti al giorno la loro disponibilità al lavoro dentro casa con la famiglia. Le donne lavoratrici invece rimangono costanti intorno alle 5 ore.

Questo già dimostra quanto limitato sia parlare di casalinghe vs. lavoratrici: le donne, tutte, sono obbligate a lavorare a casa, a prendersi quasi totale carico delle responsabilità domestiche e familiari.
Per tutte le donne con un doppio lavoro, fuori e dentro casa, ci sarà una doppia retribuzione? Ovviamente no.

Per le donne che lavorano è garantita l’autonomia dal nucleo familiare? Nemmeno.
Non è così semplice fare una distinzione tra chi lavora e chi no in un Paese con un tasso di disoccupazione giovanile e femminile altissimo e con una cultura patriarcale della famiglia e della maternità intrisa di morale cattolica.
Il lavoro è ancora uno spazio di libertà femminile, non è un diritto acquisito, ma una conquista giornaliera: lo dimostra il gap salariale tra uomini e donne, la scarsa occupazione femminile in settori di responsabilità, la continua discriminazione, le dimissioni in bianco.
Il lavoro femminile è ancora un optional perchè le donne risentono doppiamente della crisi economica:fuori e dentro casa.
La crisi mette a rischio il lavoro, ma anche asili nido, welfare e  sostegno familiare.
Chi è che deve sopperire a queste mancanze? Le donne, lavoratrici o meno.

casalinga2

Chi sono le casalinghe italiane? Sono donne che per scelta o per necessità lavorano dentro casa.
Sono quelle donne che non hanno trovato o hanno perso il lavoro o quelle che non lo hanno mai cercato o magari lo hanno lasciato alla nascita di un figlio.
E poi tutte quelle che hanno trovato la realizzazione del proprio ruolo sociale tra le quattro mura domestiche.
Seppure nel totale rispetto delle scelte individuali, viene da chiedersi: perchè  le donne obbligate a rimanere a casa dovrebbero percepire un salario in quanto casalinghe e non, invece, riconoscersi come disoccupate, inoccupate, e chiedere diritti e reddito in base a questa condizione collettiva?

Dare un assegno a milioni di donne c perchè possano restare a casa a badare al focolare e alla prole è un modo per relegarle a un luogo “biologico” senza dover più risolvere il problema della disoccupazione e dei diritti.
Un buon modo per lo Stato di dire alle donne: “Non trovate lavoro? Non è un problema, vi diamo un salario per gestire la casa”. E invece no, il problema c’è e va risolto parlando di lavoro, non facendo finta che la soluzione sia virare verso la dimensione domestica.

Se invece essere casalinga è una scelta, viene da chiedersi provocatoriamente se non sia lo stesso lavoro domestico a ripagare il nucleo familiare del tempo di chi invece lavora ( nella stragrande maggioranza l’uomo ).

L’argomentazione fondamentale di chi propone il reddito alle casalinghe però è, come detto, la concessione  di un’indipendenza economica che dia loro la possibilità di uscire dalla violenza domestica.
Può darsi si tratti di un intento nobile, sebbene l’idea che a subire violenza domestica siano solo donne dipendenti dal marito e inermi sia comunque un falso. Sono tantissime le donne vittime di femminicidio che lavorano e che per la crisi e per la cultura patriarcale dominante in Italia, non si sentono comunque libere di uscire dalle spirali violente.
Perché, oltre al fatto che probabilmente questi soldi non sarebbero nemmeno sufficienti ad una donna per rifarsi una casa, una vita e occuparsi anche del sostentamento dei figli lontano da un marito violento, non è solo uno stipendio che consente di uscire da meccanismi di dipendenza psicologica, di vittimizzazione, svilimento, violenza fisica e sessuale che dipendono molto di più dalla cultura inculcata a donne e uomini che non da quanto guadagnano.

C’è poi un paradosso inquietante nelle rivendicazioni di Bongiorno:

casalinghe

casalinghe2

Lo stipendio alle casalinghe lo pagherebbero i mariti con un buon reddito, oppure lo Stato.
Oppure. L’uomo di casa come istituzione alternativa addirittura a quella statale. Sempre ordinante, assistenziale, l’esatto contrario di quello che da anni auspichiamo: un cambiamento radicale della cultura italiana verso la divisione dei lavori domestici, la genitorialità condivisa, l’autonomia vera delle donne dal ruolo tradizionale.

Si evidenzia, inoltre, un paradosso: la donna dovrebbe uscire dalla violenza facendosi mantenere dallo stesso marito violento a cui si vorrebbe ribellare? Oppure trovandosi in una situazione in cui il consorte possa sentirsi legittimato a pretendere che sua moglie abbia ramazzato a dovere e gli serva la cena calda, in quanto percipiente uno stipendio?

Non si esce dalla violenza e dalla condizione di sottomissione in cui ci si trova legittimando un ruolo patriarcale e di subordinazione, poiché i soldi sono necessari ma non sufficienti se ad una donna non vengono dati gli strumenti adeguati per autodeterminarsi ma solo un palliativo che la tiene in una condizione di impasse.

Che tipo di autonomia può essere per le donne casalinghe quella che viene dal reddito alto dei propri mariti?

Retribuire il lavoro delle casalinghe, per di più con queste modalità patriarcali, sembra un modo per scaricare lo Stato dalle responsabilità di affrontare il problema del lavoro femminile e ricondurlo invece alla casa, alla famiglia.
E’ un processo dai risvolti pericolosi: vogliamo davvero essere incentivate a rimanere dentro casa?

Certo, Bongiorno chiarisce che la proposta è valida anche per uomini casalinghi e per incentivare la divisione del lavoro domestico. Eppure, quando poi pensa alle forme di retribuzione, non immagina che un uomo sia pagato da una moglie con un alto reddito.

casalinga

Retribuire il lavoro domestico non tiene in considerazione la realtà dei fatti per cui in Italia a svolgerlo sono comunque le donne, anche lavoratrici, e che nemmeno queste posseggono una reale autonomia economica o di diritto.
Si veda solo il costante attacco alla legge 194, portato avanti negli anni proprio anche dal partito con cui è stata eletta Bongiorno: limitare la possibilità di scelta delle donne e costringerle ad accettare il ruolo di madre è anche quella una limitazione dell’autonomia femminile, sempre comunque dipendente dal nucleo familiare.

Le donne non dovrebbero trovarsi nella condizione di dover sostituite il welfare di un Paese e assolvere a questa mancanza ma dovrebbero essere messe nella condizione di poter scegliere davvero. Sentiamo tutti i giorni il solito ritornello dei soldi che in Italia non bastano mai. Ma se si riuscisse a tirarne fuori almeno un po’ crediamo piuttosto che dovrebbero essere investiti nel welfare, per sostenere l’emancipazione di entrambi i generi, la genitorialità condivisa e la collaborazione nella cura di casa e famiglia.

Laura e Alessia

2 Risposte a “STIPENDIO ALLE CASALINGHE: PALLIATIVI, VIOLENZA DI GENERE E MARITI DAL REDDITO ALTO”

  1. lo stipendio alle casalinghe é un INSULTO nei confronti di tutte le donne e gli uomini che fanno un lavoro vero!!!!

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