Se i risultati sono questi, andiamo male!

Lo scorso 4 dicembre, GQ Italia ha messo on line un articolo/intervista ad un uomo maltrattante che racconta la sua storia, dopo aver frequentato un CAM (Centro Ascolto Uomini Maltrattanti) che, come dice lui e come riporta il magazine, ne ha fatto “Un uomo nuovo”, grazie a (cito) “un percorso di recupero, fatto di consapevolezza e di grandissimo lavoro su se stesso“.

Purtroppo, a leggere l’intervista, io non ho visto né consapevolezza, né altro.

Alla domanda: “Maltrattava la sua compagna. Come si manifestava la violenza? In cosa consisteva?”, questa è la risposta:

La violenza era causata da grandissime pressioni e stress a livello di coppia, quindi problemi economici e di relazione. 

Non sono nemmeno due righe e già mi metto le mani nei capelli. “La violenza era causata da pressioni e stress a livello di coppia” significa aver preso consapevolezza? Di cosa? La violenza maschile contro le donne è causata da un uomo che ha scelto di abbracciare una subcultura che gli ha insegnato che la donna “è roba sua” e che egli ha il diritto di “correggerla” se non si comporta in un certo modo, una cultura che denigra, svilisce le donne, che le relega a mera “funzione” in favore dei desideri dell’uomo, che vede le donne sottomesse al volere dell’uomo (di casa o no).

Da “un uomo nuovo” mi aspetto qualcosa di profondamente diverso.

E poi, quel riferimento al “livello di coppia” significa forse che parte della responsabilità ricade anche sulla testa della donna?

I problemi economici, infine, possono, sì, essere causa di una reiterazione della violenza, possono considerarsi fattori di rischio, dell’escalation di un comportamento violento, ma non ne sono la causa.

Ero sempre fuori casa per lavoro e non riuscivo a sopportare il fatto di non trovare la cena pronta al rientro e il disordine in casa. Dalla nascita della bambina sono emersi ulteriori problemi. Il carico di responsabilità, il passaggio che abbiamo dovuto fare, dall’essere due ragazzi che si frequentavano a due genitori, è stato un forte cambiamento. In un attimo dall’essere un ragazzo sono diventato padre. Fino a quel momento non pensavo al sovraccarico di responsabilità. Passo dopo passo dovevo capire come organizzare la vita in modo diverso. Il mio lavoro mi portava a essere lontano da casa. Mi sentivo assente per la famiglia. Lei mi colpevolizzava. Era uno dei tasselli che creava il disagio tra noi, che portava alla colluttazione prima verbalmente poi fisicamente».

Il nostro “uomo nuovo” riconosce di non essere stato in grado di sopportare il fatto di non trovare la casa in ordine e la cena pronta, come un qualunque patriarca di 100 anni fa, ma non è in grado di fare il passo successivo e di ammettere di non avere avuto questo diritto e che, comunque, nessuna casa in disordine o nessuna cena non pronta giustifica comportamenti violenti, né li causa.

Poverino, non si aspettava che la nascita della figlia lo avrebbe portato ad avere maggiori responsabilità, che anche la compagna fosse stata costretta ad assumersi gravami maggiori non ce lo dice, eppure noi sappiamo che sicuramente è così e chissà perché a lei non è venuto in mente di agire violenza nei confronti di questo “uomo nuovo”, anche se stressata, gravida di responsabilità, per giunta lasciata sola (ce lo dice lui!).

Lei si lamentava per il fatto che lui fosse poco presente e questa lamentela portava alla violenza. Alla faccia della consapevolezza! Proprio non riesce a capire, l’uomo nuovo che no, non sono le lamentele che insultano e picchiano. 

Quando in una coppia esiste la violenza, quello che è in disequilibrio è il potere. Non si tratta di liti, di conflitti. La violenza presuppone che i due personaggi coinvolti non siano sullo stesso piano, che i due non siano coinvolti nello stesso modo e con le stesse responsabilità in quella dinamica.

L’uomo nuovo non lo sa. Non l’ha capito. Non ne ha preso consapevolezza:

Mi sono messo sempre sulla difensiva, spesso mi sentivo attaccato, mi diceva che c’erano da fare le visite alla bambina, mi accusava di non esserci mai e io mi difendevo. Non riuscivo a trovare quel tempo da poter dedicare alla bimba, non potevo rinunciare al lavoro perché era l’unico stipendio in casa e lei non lo capiva. Molte volte le dicevo “Tu non capisci niente”, “Sei una cretina”, “Sei una stupida”. Io non capivo il senso del suo disagio e lei il senso del mio lavoro. Alzavo la voce. Era stress emotivo che ributtavo su di lei verbalmente.

Secondo lui, le dinamiche sono in parità: lui non capiva lei e lei non capiva lui, sicché lui si stressava e si rivaleva su di lei.

Non sentivo riconosciuto da lei il mio ruolo, il mio impegno soprattutto come lavoratore

Oh poverino, non si sentiva riconosciuto. Chissà come se sentiva riconosciuta lei con un uomo che agiva così:

La violenza fisica è scattata quando lei mi ha detto: “Non ti amo più”. Non ci potevo credere. Ho fermato la macchina, le ho tirato un pizzicotto e l’ho scaricata dall’auto. Lei era incinta. Le dissi “Scendi!”. Lei voleva essere riaccompagnata a casa, così ho aperto lo sportello e l’ho spinta fuori dall’auto. Era pomeriggio, verso le 17, me ne andai.

Se era vicina le davo la spinta, la spingevo sul letto. 

Non ci vedo niente di diverso da quanto narrato in genere sui quotidiani, quando si raccontano episodi di violenza di un uomo contro una donna: c’è solo il punto di vista dell’uomo, c’è la condivisione delle responsabilità, c’è la colpevolizzazione della vittima.

Ma, siccome “spes ultima dea”, mi piace pensare che questo uomo possa diventare davvero “nuovo”, perché, verso la fine dell’intervista, egli afferma:

Mi sono reso conto dei problemi che avevo, al tempo negavo di averne e davo sempre la colpa a lei. Ho iniziato ad assumermi la responsabilità, imparando a gestire i miei momenti di crisi, approcciandomi alle discussioni in modo più pacato. Prima reagivo con impeto. Ho capito che posso fermarmi, cercare un dialogo. Prima non lo vedevo.

Speriamo che sia vero.

 

 

 

 

 

 

Una risposta a “Se i risultati sono questi, andiamo male!”

  1. Sono assolutamente d’accordo!! Nell’articolo sembra quasi colpevolizzare la donna, o comunque manda il messaggio che lui ha imparato a controllare la violenza, non che lei abbia smesso di ‘meritarla’ solo perchè si lamenta con lui. Come si fa a chiamarlo percorso di riabilitazione non si sa, visto che lui è ancora evidentemente incapace di spostare la prospettiva da se stesso ed empatizzare con sua moglie…

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