Scene da un matrimonio colonialista

Il fotografo australiano Jonas Peterson ha immortalato con il suo obiettivo il “sì” di coppie che non si sono sposate nei loro paesi, ma in giro per il mondo.
Per ogni coppia uno scenario da favola, dalla Grecia, all’Indonesia, al Kenya, ed è proprio sulle foto scattate dal fotografo in Kenya che mi piacerebbe proporre una riflessione a partire da questo post trovato sul blog AfricaIsACountry.
Nel post in questione le fotografie scattate da Peterson vengono lette come una rappresentazione stereotipata e colonialista del Kenya e dell’Africa in generale.

“Some places stay with you forever”  scrive il fotografo per introdurre le foto del matrimonio in Kenya.
La coppia ritratta è composta da Sebastian e Nina, quest’ultima fotografa naturalista e presidente dell’associaizone Phantera per la difesa del gatto selvatico, con esperienze di lavoro nel Maasai Mara, ovvero la riserva faunistica nel Kenya sudoccidentale dove sono state scattate le foto.

A parte l’abito bianco, nelle foto del matrimonio di Nina e Sebastian possiamo trovare tutto ciò che “fa tanto Africa”: il leone, le acacie, le zebre, gli elefanti, i gioielli “tribali” e naturalmente i guerrieri maasai.
I maasai vengono usati al pari dell’elefante e dell’acacia come oggetti di scena, come suppellettili etniche per vivacizzare le foto di matrimonio di una ricca coppia bianca.

Nel precedentemente citato post di AfricaIsAContry si evidenzia l’assurdità di alcune composizioni fotografiche:

Romantico bacio con sfondo di cielo, che non promette bene, e inspiegabile presenza del guerriero maasai con altrettanto inspiegabile, vista la mancanza di imminenti pericoli, dotazione di lancia.

slide_386370_4637256_freePasserella tra fila di maasai della coppia, più bambino, bianca e di bianco vestita, perline e colorati bastoni per aggiungere qualche tocco “etnico” agli occidentali abiti nuziali

slide_386370_4637248_freeContrapposizione bianchi/neri. I bianchi assistono alla cerimonia seduti. I neri in disparte e in piedi. Immancabile presenza della suggestiva e solitaria acacia.

030-masai-mara-wedding-by-jonas-peterson-(pp_w800_h533)Seguono foto del ricevimento nuziale, che pare non prevedesse più la presenza dei maasai.
Poteva andarci peggio, potevano fargli indossare ridicoli abiti da camerieri e un fez come copricapo e farli servire ai tavoli, come è successo al matrimonio di Dave e Chantal in Sud Africa.
La coppia, tanto nostalgica dei bei tempi andati, ricreò, per il proprio matrimonio, suggestive ambientazioni colonialiste, con tanto di suppellettili, oggetti d’epoca, cappelli, fucili, pistole, valigie e simpatiche pose.

dc_africawedding_055In maniera più esplicita nel matrimonio di Dave e Chantal, più subdola e nascosta dietro l’apprezzamento per le culture altre, nel matrimonio di Nina a Sebastian, queste immagini veicolano una rappresentazione svilente e subalterna dei neri.

I maasai, nelle foto del matrimonio in Kenya, sono quasi un capriccio della coppia bianca, un artificio estetico per rendere le foto più suggestive, più “africane”, secondo quell’idea di Africa selvaggia, brulla, nativamente incivile ma parzialmente civilizzata dall’uomo e dalla donna bianchi.
Il maasai, che fa da oggetto etnico per l’album fotografico dei giovani sposi, è il “buon selvaggio”, rabbonito ed educato, sta al suo posto, subalterno e silente.

Dalla colonizzazione armata alla colonizzazione di immaginari, attraverso rappresentazioni che celebrano la superiorità dei bianchi sui neri nascosta dietro la curiosità, l’apprezzamento del “folklore”, l’indossare la collana di perline colorate, rimandendo però semrpe sul piedistallo dei propri privilegi.

Il sogno colonialista è in vendita presso le migliori agenzie di viaggio.
Sono infatti sempre più numerose le agenzie che propongono suggestivi matrimoni in Kenya, “l’emozione del sì nell’Africa nera” con pacchetti tutto incluso, pure foto con il guerriero maasai con la lancia, a prezzi abbordabili, perchè l’emozione del sì nell’Africa nera paraponziponzipò non si neghi a nessun*.
Un’alternativa potrebbe essere questa caratteristica “bidonville” di lusso in sud Africa, parrebbe un ossimoro, ma invece è l’ultima frontiera del marketing, giocare ad essere poveri, con il wi-fi però.

Perchè foto come quelle di Peterson sono dannose? Perchè veicolano immaginari colonizzati, perchè riducono l’Africa, il Kenya, i Maasai a stereotipi: la tigre, l’elefante, il “buon selvaggio”, l’Africa sexy e selvaggia, visioni limitate, visioni orientaliste, visioni dell'”altro” rispetto ai bianchi che rimangono la regola.
Capricciosi bianchi ricchi che per il giorno del loro matrimonio vogliono giocare con la loro idea di Africa.

6 Risposte a “Scene da un matrimonio colonialista”

  1. Una cosa che vorrei sapere a riguardo: quei Masai sono stati indotti a loro insaputa a posare in quelle foto oppure sono stati regolarmente assunti e pagati per recitare come comparse folcloristiche? Se è vera la seconda ipotesi, allora è una loro libera scelta e credo che non si debba discutere, hanno deciso di commercializzare certi aspetti il loro retaggio culturale e ricavarci di che vivere. Cose del genere si vedono tutti gli anni anche in quei terribili e pacchiani “luau” hawaiani ad uso e consumo dei turisti yankee ed europei. Diamo ai popoli interessati il diritto e l’onere di reputare le loro scelte giuste o sbagliate in completa autonomia senza che siamo noi a stabilirlo.

    1. Io immagino siano stati pagati, ma non si intendeva discutere sul giusto o sbagliato comportamento di chichessia, ma del tipo di immaginario che foto come queste veicolano

      1. E qui si tocca un campo differente, ovvero quello delle valutazioni soggettive. Per alcuni queste foto riflettono il significato rappresentato dall’articolo ma chi ci assicura che le intenzioni del fotografo e degli sposi in questione fosse quello di avvicinarsi con rispetto ed ammirazione alla cultura masai? Cosa c’è di male nel riprenderli nei loro abiti tradizionali? Al di la del gusto estetico soggettivo, intendo. La logica degli stereotipi, del buon selvaggio è qualcosa che si potrebbe applicare indifferentemente o meno a tante altre realtà.

        1. Errata corrige: “NON fosse quello di avvicinarsi con rispetto ed ammirazione alla cultura masai”

        2. Ma probabilmente gli sposi, almeno la coppia Nina/Sebastian, perchè l’altra ha esplicitamente richiesto una ambientazione di età coloniale, avevano tutte le buone intenzioni del mondo, la sposa ha lavorato in quei territori, quindi sicuramente ci sarà tanta ammirazione, ma ciò non toglie che il risultato è razzista. Non so se hai letto il post citato nell’articolo, nel caso ti invito a farlo, in cui spiega perchè nonostante tutte le buone intenzioni il ricultato non è positivo, l’immaginario che ne viene fuori è fortemente colonizzato, tra l’altro la mia riflessione parte da quel post, che si trova in un blog in cui scrivono principalmente persone di origine africana, quindi la loro opinione in questo caso è più autorevole della mia, io mi faccio solo portavoce delle critiche da loro mosse. http://africasacountry.com/god-not-again-white-people-and-out-of-africa-wedding-in-masaai-mara/

          1. Interessante lettura. Se la critica su questo argomento viene dagli stessi africani allora va accolta con ogni attenzione.

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