Rosa e azzurro: due generi di consumo

Articolo del 24 aprile 2014

È di questi giorni la notizia di una studentessa di liceo statunitense, Antonia Ayres-Brown, che in Connecticut cerca di far cambiare mentalità niente meno che all’imperoMc Donald’s, lottando contro la tipica differenziazione di genere nell’assegnazione dei regalini dell’Happy Meal.
Gioco da bambina: un mini pony dai colori pastello, in tutte le sfumature del rosa, glitterato e tenero. Gioco da bambino: robot guerrieri dall’aria truce e forte, colori più scuri, armi distruttive.

“Vuole un gioco da bambina o da bambino?” chiedono i banconisti del fast food.
Antonia si è chiesta il senso di questa domanda per la prima volta a undici anni. Ha mandato una lettera all’amministratore delegato Mc Donald’s rigirando a lui la domanda “chiederebbe mai ad un colloquio se il candidato vuole un lavoro da uomo o da donna?”.
La risposta del CEO ha eluso diplomaticamente il problema, sottolineando che a nessuno degli impiegati dell’azienda viene detto di porre così la domanda.

Antonia e suo padre, un professore di Yale, hanno allora girato una dozzina di Mc Donald’s dello Stato, rilevando che il 79% delle volte la domanda era posta invece proprio così: gioco da bambina o da bambino? Nel 2013 la studentessa ha realizzato uno studio più esteso: 30 giovani ragazzi e ragazze hanno ordinato un Happy Meal in differenti punti vendita, registrando che il 92,2% delle volte il personale, senza chiedere, semplicemente dava ad ogni persona il giocattolo che l’azienda aveva ideato per il genere a cui lo assegnava. Quando poi uno di loro avanzava la richiesta di avere l’altro gioco, quello per il genere opposto, il 42% delle volte questa veniva rifiutata.

Rosa e azzurro. La prima grande differenziazione, la prima limitazione imposta mercato, la prima manipolazione culturale.

Nel 2013 abbiamo realizzato un’inchiesta sulla produzione di giocattoli in Italia, Infanzia Made in Italy. Dall’analisi dei cataloghi di tutte le principali aziende italiane, emergevano alcuni tratti fondamentali della produzione.
I giocattoli sono nettamente divisi per genere. I giocattoli “da bambine” sono caratterizzati dal colore rosa, dalla forma smussata, da funzioni più semplici, quelli “da bambini” sono invece solitamente sulle tonalità dell’azzurro, più tecnici e dalle forme meno infantili.
Inoltre i giocattoli “neutri”, vale a dire non caratterizzati dal colore azzurro/rosa e che propongono attività non orientate per genere, hanno spesso un corrispettivo tutto al femminile, tradendo quindi in realtà l’idea che il femminile sia differente e che la normalità sia il maschio.
Un esempio su tutti, il Sapientino che, accanto alla versione base con un maschietto sorridente sulla scatola, ne ha una “per bambine”, che al pari della versione “animali” o “inglese” è una variante del gioco in sé, quindi affatto neutro.

Altro tratto comune della produzione per l’infanzia è l’assegnazione di ruoli e comportamenti sociali predeterminati in base al genere. Giochi per la cura della casa, della prole e del proprio aspetto per le bambine, giochi di logica, competizione e divertimento per i bambini.
Divertimento, questo campo sempre meno rilevante nel proporre invece alle bambine uno specchio parlante o un phon musicale come giocattoli.
La discriminazione non emerge certo solo nei confronti delle bambine, la netta distinzione di genere caratterizza anche l’ identità maschile, alimentata a forza di giochi fisici, aggressivi, di competitività e di contrapposizione della sua forza alla debolezza delle bambine da proteggere. E con il divieto netto di tutto ciò che renderebbe “effemminata” la sua formazione: come la dolcezza, la cura per sé e per gli altri, l’emulazione della paternità o dei lavori considerati femminili.

Veniamo spinti a giocare col mondo rosa o con quello azzurro, senza tenere conto di tutte le sfumature di colore che potrebbero interessarci. Siamo obbligati a riconoscerci, ancora prima di sviluppare il nostro orientamento sessuale, nel genere femminile o in quello maschile. Soprattutto negli stereotipi che accompagnano questa divisione binaria, separazione che fa più comodo al mercato che non al reale sviluppo delle identità.
Ha senso oggi lottare contro le differenziazioni di genere nella produzione per l’infanzia?

Verrebbe da dire di sì, solo però se questa battaglia riesce a inquadrarsi in una richiesta di maggiore libertà delle identità di genere stesso. Forse ha un po’ meno senso se la battaglia è condotta contro un colosso come Mc Donald’s al quale la parità di genere sembrerà un vezzo raggiungibile con facilità e con un tocco di pinkwashing ci farà scegliere tra pony e robot senza problemi, ma i pony e robot verranno comunque prodotti per due generi opposti e inconciliabili.

La verità è che la risposta alla domanda della studentessa statunitense al CEO sarebbe dovuta essere: non posso chiederlo perchè gioco a fare il politicamente corretto, ma certo, esistono lavori da donna e da uomo, di che vi stupite? Non vi abbiamo fatto giocare per anni a ricoprire ruoli diversi nella società? Le bambine a fare le mamme, modelle, estetiste e lavandaie, i bambini a fare gli ignegneri, i meccanici, gli operai e gli scienziati.
Se credete che chiedervi il permesso per discmininarvi possa farvi sentire meglio, possiamo chiedervi: preferisce il gioco da bambina o da bambino?