Radicali e transfemministe: cosa sta succedendo all’interno dei movimenti in Europa e perché la lotta deve essere transincludente

In queste ultime settimane si è riacceso in diversi paesi europei un annoso dibattito presente all’interno dei femminismi e dei movimenti arcobaleno che vede contrapposte le posizioni ideologiche delle cosiddette Radfem, o femministe radicali, e quelle delle transfemministe e de* transattivist*. Dai contestati tweet di J.K Rowling che riaprono un argomento molto dibattuto nel Regno Unito, passando per la posizione trans escludente delle femministe socialiste in Spagna, fino ad arrivare in Italia, con la discussa proposta di legge Zan-Scalfarotto sull’omotransfobia.

All’interno dei femminismi e dei movimenti LGBTQI+ europei non si parla d’altro. Ma andiamo con ordine. Cosa sta succedendo all’interno dei movimenti, quali sono le posizioni ideologiche di queste due correnti e perché sono così in contrasto tra loro?

Sul piano teorico-accademico, il dibattito nasce da diverse posizioni ideologiche sui concetti di sesso e genere. Le femministe radicali, rifacendosi a teorie di femministe della seconda ondata come Kate Millet o Andrea Dworkin, considerano il sesso un fatto biologico e binario (si è maschi se si ha il pene, femmine se si ha la vagina) e lo ritengono essere la ragione alla base dell’oppressione delle donne. Il genere invece è una costruzione socio-politico-culturale, frutto del sistema patriarcale, che relega le donne (con vagina) ad uno stato di subordinazione rispetto all’uomo, e per questo va abolito.

Dagli anni ’90 in poi, correnti femministe cominciano ad accogliere alcuni concetti delle neo-nate teorie queer (letteralmente “strambo”, termine usato inizialmente come dispregiativo nei confronti della comunità LGBT e successivamente rivendicato orgogliosamente dalla stessa): Judith Butler con il suo Gender Trouble (1990) è considerata una della prime teoriche femministe queer che propone l’idea del sesso come costruzione socio-politica (ma non ne nega l’esistenza come spesso viene affermato dalle femministe radicali) e lo considera come uno spettro non binario. Secondo le teorie queer quindi, non esistono solo le categorie maschio/femmina (attribuiteci alla nascita in base ai caratteri sessuali presenti) e ne è un’ulteriore prova l’esistenza delle persone intersessuali (tra lo 0,05 e l’1,7% della popolazione mondiale). Il genere, o meglio l’identità di genere, è il senso di appartenenza al genere maschile, femminile, a un altro genere (o a nessuno, o a entrambi) che può corrispondere al sesso biologico assegnato alla nascita in base ai genitali (persone cisgender) oppure può differirne (persone transgender).

Negli anni, le teorie queer e quelle transgender si sono intrecciate alle lotte di una parte del movimento femminista, quello intersezionale, dando vita a quello che oggi viene spesso definito transfemminismo. Da queste differenze ideologiche tra le due correnti, nasce e si presenta dunque il seguente problema: chi è il soggetto politico del femminismo? Per entrambe le correnti, la risposta è una: le donne. Ma chi sono le donne? Se per le transfemministe “donna” è chiunque si autodetermini come tale, per le radfem non ci sono dubbi: donna è chi nasce con utero e vagina, chi mestrua, chi partorisce. Le teorie queer vorrebbero “diluire” il concetto di donna e negare così tutte le pratiche misogine messe in atto dalle società patriarcali nei confronti delle donne cis (termine non particolarmente amato dalle radicali), come ad esempio la mutilazione genitale femminile o i matrimoni coatti nei confronti delle spose bambine. Di questa linea è la scrittrice inglese J.K Rowling che in un recente tweet ha criticato l’uso dell’espressione “persone che mestruano” (I’m sure there used to be a word for those people. Wumben? Wimpund? Woomud?), ribadendo apertamente le sue posizioni radicali e guadagnandosi l’etichetta di Terf (femminista radicale trans escludente), spesso considerata dalle stesse radfem un insulto ma che invece ben rappresenta il loro posizionamento ideologico.

Anche in Spagna in queste settimane il dibattito è accesissimo: Il vaso di Pandora è stato (ri)aperto dal PSOE, il Partito socialista del presidente Sánchez, attualmente al governo. Il mese scorso infatti è stato diffuso all’interno del PSOE un documento “contro le teorie che negano la realtà delle donne”, che afferma che il sesso è un fatto biologico e che l’oppressione e la discriminazione contro le donne si basano sulla realtà biologica delle stesse. Il documento, che si è diffuso rapidamente sui social e all’interno di partiti e collettivi, attacca senza mezzi termini l’attivismo queer, affermando che “offusca le donne come soggetto politico e giuridico e mette a rischio i diritti, le politiche di uguaglianza tra uomini e donne e le conquiste del movimento femminista”.

Ed infine in Italia, il dibattito si è riaperto con la recente proposta di legge Zan-Scalfarotto sull’omotransfobia, che prevede l’introduzione del reato d’odio anche in ragione a orientamento sessuale e identità di genere. Oltre alle polemiche – totalmente infondate – della CEI e della destra sovranista nazionale, la proposta di legge è stata oggetto di discussione anche all’interno degli stessi movimenti femministi (come Se Non Ora Quando) e LGBTIQ: Arcilesbica Nazionale, non nuova nel diffondere e ribadire posizioni transfobiche attraverso i suoi canali, chiede a gran voce l’eliminazione del termine “identità di genere” previsto dalla proposta di legge, a favore di quello di “transessualità”. “L’espressione identità di genere danneggia i diritti delle donne: è un fatto dimostrato, non un timore” si legge sulla pagina facebook ufficiale dell’associazione. Salvo poi affermare che “Sosteniamo la lotta alla transfobia ma senza ledere i diritti delle donne, che non sono sacrificabili”.

È questo il leitmotiv presente all’interno di molti movimenti femministi radicali europei: battersi apertamente contro i diritti delle persone trans, escluderle dalla lotta femminista, sentirsi minacciate dalla loro presenza all’interno del movimento, non voler riconoscere la loro identità a livello giuridico ma continuare ad affermare che si sostiene la lotta alla transfobia. Risulta davvero difficile crederci.

È una fobia pensare che l’autodeterminazione di genere e i concetti di identità di genere cancellino la figura della donna e le conquiste del movimento femminista; è una fobia pensare che ci sarà chi approfitterà per invadere gli spazi occupati da donne e continuare a perpetuare violenza machista; è una fobia, e una violenza, non voler considerare le donne trans soggetto politico del femminismo. Le donne trans vengono lette dalla società come donne, e soffrono, per molti aspetti, la stessa violenza delle donne cis. E a questa violenza si aggiunge quella che subiscono per essere trans. Tutte le donne sono soggetto politico del femminismo e le compagne trans, con la loro esistenza, non rappresentano in alcun modo una minaccia per il movimento femminista. Le due lotte non coincidono al cento per cento, è vero. Ma una non esclude l’altra, anzi, si rafforzano a vicenda. Se accettare il concetto di identità di genere non nega l’esistenza delle donne cis, non accettarlo invece nega sì l’esistenza e i diritti delle donne trans.

Bandiera della comunità transgender, Orgoglio Critico, Barcellona 2020

“Essere donna non è un privilegio” si sente in molti ambienti radfem, ed è vero, non lo è. Ma le donne non sono l’unica categoria oppressa ed è necessario considerare l’intersezionalità della lotta femminista e cedere all’evidenza che “essere donna” non è uguale per tutt*: esistono altri tipi di privilegio, come l’essere una donna bianca, una donna ricca, o europea. O eterosessuale. Oppure cis.

Continuare a usufruire del nostro privilegio in quanto cis, non riconoscerlo e non ammettere le donne trans alla lotta (o ammetterle solo a transizione completata) continua a perpetuare l’idea che essere donna equivalga ad avere un utero e una vagina, mentre, e concordiamo tutte, siamo molto più di questo.

Aborriamo e condanniamo la transfobia mascherata da femminismo che non deve essere, e non sarà mai, un luogo di esclusione. Combattiamo il patriarcato e la violenza machista fianco a fianco delle compagne trans, nostre alleate e sorelle, ascoltiamole e diamo loro voce, perché il futuro sarà transfemminista, o non sarà.