L’ex marito la picchia per 24 anni, lei denuncia e si separa. Troppo tardi secondo i giudici, la colpa diventa sua, colpa di aver subito violenza per tanti, troppi, anni.
Ho letto questa mattina questa notizia e faccio fatica ad articolare parole che non siano di pura rabbia, che non arrivino dalla “pancia” che avverte quasi fisicamente il senso di ingiustizia di questa storia.
Per 24 anni una donna subisce violenze e minacce dal marito, l’uomo la manda più di una volta al pronto soccorso, lei conserva tutti i referti medici, questi però non serviranno a niente quando la donna denuncerà il marito, anzi pardossalmente dimostreranno che le violenze duravano da anni, cosa che, secondo i giudici del tribunale di Genova, stabilirebbe la “connivenza” della donna. Lei avrebbe “tollerato” le violenze non denunciandole prima, di conseguenza la donna non sarebbe credibile, secondo i giudici, quindi nessuna colpa da addebitare all’uomo che la picchiava.
Con una disinvoltura spiazzante la vittima viene trasformata nel carnefice di se stessa.
Il tribunale infatti non nega che la donna abbia subito violenza:
I giudici le hanno creduto: è vero che «è stata costretta a lasciare la casa coniugale per le continue percosse e minacce subite dal marito»; è vero che «da anni spesso il marito arrivava a casa ubriaco, insultava e percuoteva la moglie»; ed è vero che «dopo anni di accessi al pronto soccorso la convivenza non poteva protrarsi oltre»
Ma secondo i giudici la causa della rottura del matrimonio non sta nelle violenze subite, perchè se fossero state queste la separazione sarebbe avvenuta prima. Insomma questi giudici, tra cui due donne, hanno detto sostanzialmente: hai tollerato, vuol dire che ti stava bene, se adesso ti vuoi separare sarà per un capriccio, perchè vuoi rovinare la sacra unione, isomma per qualsiasi altro motivo, no perchè ti hanno picchiata per 24 anni.
Dopo questa sentenza immagino che saranno tantissime le donne che si fideranno della giustizia e correranno a denunciare.
I commenti alla notizia dimostrano che la sentenza del tribunale di Genova è perfettamente in linea con l’opinone pubblica, quest’ultima formatasi all’interno di una cultura maschilista fatta di linguaggio e immaginari sessisti e di condizioni materiali che ribadiscono la subordinazione, anche economica, delle donne.
A raggiungere questo “risultato” hanno aiutato anche campagne di comunicazione sociale contro la violenza di genere, completamente sbagliate, fatte probabilmente da chi dei complessi meccanismi della violenza contro le donne non ne capisce niente, rivolti sempre a chi la violenza la subisce e raramente a chi la esercita, colpevolizzanti per quelle donne che non saprebbero riconoscere la violenza, che non saprebbero reagire.
Probabilmente quella donna picchiata per 24 anni non si è “svegliata”, non ha “imparato a riconoscere la violenza”.
Come se fosse facile riconoscere la violenza quando cresci in un contesto in cui ti insegnano che le donne devono essere gentili e compiacenti sempre e in ogni caso, come se fosse facile riconoscere la violenza quando ti insegnano che se è geloso e non vuole farti indossare la minigonna è perchè ti ama tanto, come se fosse facile riconoscere la violenza quando ti dicono che servirlo e riverirlo è quello per cui sei nata e sei non lo fai bene lui ha tutto il diritto di fartelo capire nei modi che ritiene più opportuni.
Riconoscere la violenza è un percorso difficile, per tutte le donne, anche per quelle che sembrano maggiormente consapevoli, ed uscirne lo è altrettanto. Facile dire denuncia, ma le donne lo sanno che denunciando si espongono a maggiori rischi, lo sanno che le Istituzioni che dicono loro di denunciare poi non garantiscono nessuna tutela. Le minacce, la paura della solitudine, la paura di subire vittimizzazione secondaria, di essere colpevolizzate, non credute, la paura di perdere i figli, la mancanza di reddito e lavoro quindi la dipendenza economica dall’uomo violento. Sono tante e tutte giustificate le paure che spingono le donne a nascondere la violenza subita.
In una gerarchia dei reati quelli contro le donne occupano il gradino più basso. Se manifesti contro i fascisti meriti la carcerazione preventiva, se riduci una donna in coma ottieni uno sconto di pena. Se rompi una vetrina ti daranno 15 anni di carcere, se picchi una donna nulla, di conseguenza mi stanno dicendo che una donna vale meno di una vetrina.
Dopo la senteza del Tribunale di Genova le donne avranno una paura in più, perchè sostanzialmente quei giudici hanno detto che la vita di una donna non vale niente.