Qualche consiglio per mostrare le tette. Senza la scusa della scienza.

“Dove non può la ragione, possono le puppe”.

Uno slogan chiarissimo: oggi per fare arrivare un messaggio servono di più un paio di tette che non tutto il carisma della miglior oratrice.

Così, animata dal nobile scopo dell’informazione scientifica, una donna apre un tmblr dal nome Tette per la Scienza in cui si avvicendano le foto di tette giovani e sode di contorno a sintetici cartelli di “divulgazione scientifica” che lanciano messaggi sugli OGM, il cambiamento climatico, la classificazione di Plutone, l’astrofisica.

La leader delle tette scientifiche è Lara, paleontologa 30enne, che per lavoro si occupa di webmarketing e che proprio grazie alla sua professione ha scoperto addirittura che le tette diventano facilmente virali, dunque estremamente utili alla comunicazione pubblicitaria, in questo caso legata all’alibi della divulgazione scientifica.

Vale la pena sottolineare l’originalità della trovata di Lara e colleghe, considerabili l’avanguardia della comunicazione mediatica.

A chi mai era venuto in mente di usare un paio di tette per vendere qualcosa?

velluto

Perchè sempre di “vendere” si parla.
La frottola della divulgazione scientifica lasciamola al tumblr e al suo successo, che è il vero prodotto in questione.
Di Plutone e degli OGM potremmo onestamente rimandare a un’interlocutrice meno manipolatoria nei confronti della nostra attenzione e dunque più credibile.

Credibile? Ma come, una donna non è credibile solo perchè ti parla dell’età dell’universo mostrandoti le tette?
Una donna deve per forza essere in tailleur per poterti insegnare geologia?
E l’autodeterminazione allora dove la mettiamo?

Ecco, a rischio di sembrare contro l’autodeterminazione delle tette scienziate, verrebbe da rispondere che sì, forse per parlare di scienza non si dovrebbe avere bisogno di mostrare il seno. Che non c’è SEMPRE bisogno di mostrarlo, ecco.
Che no, magari il tailleur è superato, ma che l’essere donna non c’entra: anche un uomo che mi parlasse di geopolitica con un cartello accanto a pene e testicoli sarebbe un bizzarro accostamento.
Ma soprattutto che l’autodeterminazione possiamo continuare a considerarla una categoria seria, precisa, che non deve essere supportata sempre e comunque da tutte le detentrici di vagina, ma considerata come un insieme di scelte di donne che si può scegliere anche di criticare.

Da un’intervista a Lara trovata sul web, sappiamo che

Tette per la Scienza nasce per caso, l’ho già spiegato altre volte, in realtà non si tratta di un progetto stabilito a tavolino con chissà quali pensieri dietro, semplicemente l’idea di avere un mio spazio dove parlare di temi di questo genere che comunque mi stanno a cuore, mi interessano […] quasi per caso mi è venuta l’idea di coniugare l’informazione scientifica con un contenuto di questo tipo che potesse essere esteticamente gradevole e fungere da veicolo per queste informazioni e ho deciso di aprire il blog.

[…] Nel giro di pochi giorni questa cosa è letteralmente esplosa, lasciandomi ovviamente abbastanza stupita. Mi piacerebbe trovare un modo per continuare a trovare un modo di questa strada però offrendo sempre qualcosa di interessante,qualcosa che possa fornire un valore aggiunto.

E chissà se il valore aggiunto alle tette è la scienza o viceversa.

Di recente avevamo trattato di altre egregie artiste della comunicazione, le ragazze di #fatevedereletette.
In quell’occasione, la motivazione per farsi fotografare le tette era sensibilizzare le donne alla prevenzione al tumore al seno.
Durante la campagna elettorale per le Europee invece ricorderete la trovata della mitica Bacchiddu, che per far parlare della Lista Tsipras aveva deciso di usare le sue chiappe in barca.
Anche in quel caso ogni critica era stata dribblata con la scusa dell’intento nobile della foto, ma poi soprattutto appellandosi all'”autodeterminazione delle donne”, che ormai è diventata la formula magica per dire che non è più consentito non condividere le scelte di una donna.

In comune le tre esperienze mediatiche hanno di aver compiuto una scelta originalissima: usare le tette o il culo per diventare “virali”, ma soprattutto aver “giustificato” l’esposizione dei corpi per delle ragioni più alte, scientifiche o politiche.

Da queste e altre simili campagne mediatiche, verrebbe da trarre alcune conclusioni.

1. Perchè non mostrare semplicemente le tette? 
Perchè non fotografarsi le tette, metterle su internet, farsi guardare, ammirare, commentare, senza la pretesa di star facendo divulgazione scientifica? A cosa serve nascondersi dietro la scusa del cancro al seno o quella dell’istruzione scientifica?
Serve a non farsi dare della troia per il semplice fatto di aver voluto mostrare le tette, perchè si ritiene sia bello, divertente, edificante, eccitante.
La verità è che ci daranno comunque delle troie.
Almeno rivendichiamoci il diritto di mostrare le tette. Solo perchè ci va.
Senza metterci di mezzo cause benefiche e sensibilizzazioni.
Perchè in ogni caso l’esibizionismo è palese, è fisiologico a questo tipo di rappresentazioni da cui, guarda caso, sono escluse tette flosce, vecchie, asimmetriche. Semplicemente perchè chi partecipa a questo tipo di “giochi” è chi pensa di poterselo permettere, chi risponde a un canone di gioventù-bellezza-tonicità.
Tant’è che la creatrice di Tette per la Scienza parla di aver voluto coniugare “l’informazione scientifica con un contenuto che potesse essere esteticamente gradevole”.

Ma una bella chiamata all’esposizione delle tette, di tutti i tipi, per il solo piacere di liberarsi di un pudore che evidentemente non appartiene a chi partecipa a questo tipo di campagne, non sarebbe più inclusivo, utile, ma soprattutto… onesto?

2. Le tette sono roba vecchia, anche per il marketing.
Lo scandalo, il virale, dura poco ormai, circondati come siamo da un esercito di tette bellicose pronte a dirci di continuo cosa comprare, dove andare in vacanza, come voler diventare. 
Per non cadere sempre nell’uso del corpo femminile come veicolo di promozione di un prodotto. la comunicazione pubblicitaria potrebbe fare degli sforzi maggiori.
La comunicazione scientifica invece dovrebbe imporsi di non cadere in questa retorica tettofila,
ma di trovare nuovi modi, anche accattivanti, anche “giovani” di parlare alle masse.
Con la serietà, la competenza e la possibilità di coinvolgimento del pubblico che non ha bisogno di un paio di tette, per quanto gradevoli siano.

3. Non siamo il veicolo di niente e nessuno.
Infine, diciamoci la verità. Usare sempre il corpo di una donna per veicolare un messaggio che ne sfrutta il potenziale attrattivo, che sia una pubblicità o un blog di “divulgazione scientifica”, è sempre svilente.
Ci riduce a cose, abbellimenti di un concetto più ampio, più importante di noi, che siamo i culi e le bocche e le tette che mostrano il prodotto, che lo baciano, lo rendono appetibile, lo rendono sexy.

Non si tratta di non mostrare le tette. Qui i pudori e i pruriti non c’entrano.
Ma davvero non abbiamo davvero nessun motivo migliore per spogliarci che non promuovere un prodotto?
Nessun motivo che ci veda protagoniste, ad esempio, un motivo che renda i nostri corpi attivi e partecipi e sbalorditivi?

Qualche suggerimento. C’è il teatro

silvia gallerano
Silvia Gallerano

c’è l’arte performativa

annie sprinkle
Annie Sprinkle
© 2010 Scott Rudd www.scottruddphotography.com scott.rudd@gmail.com
“Imponderabilia” di Marina Abramovic

c’è la poesia

aldamerini
Alda Merini

c’è la musica

amanda palmer
Amanda Palmer

 

c’è il ballo

burlesque
ballerine di burlesque

c’è l’erotismo

betti page
Bettie Page

e persino il porno

erika lust
Erika Lust con due attrici sul set di uno dei suoi film

Ma se si continua a decidere di mettere i propri corpi, le proprie tette, a servizio solo di una comunicazione ” di marketing “, pubblicitaria, qualsiasi sia il prodotto che reclamizza o promuove, allora ammettiamo che si è deciso di lasciare i propri corpi schiavi. Passivi. Inermi.