Prostituzione: è possibile costruire per tutte la libertà di scelta?

In questi giorni si è fatto un gran parlare di prostituzione. Per qualche ora, infatti, si è ventilata l’ipotesi di aprire un distretto a luci rosse a Roma, nel quartiere Eur. Con un’operazione cosiddetta di “zoning” ( letteralmente, “azzonamento“)  il Comune di Roma proponeva di accentrare le 90 donne che si prostituiscono su circa 18 strade del quartiere in un’unica via, in nome del decoro del quartiere – la via è lontana dalle abitazioni –  ma anche con lo scopo di “abbattere il racket della prostituzione“. Le prostitute sarebbero state infatti regolarmente censite, con l’aiuto di operatori sociali e rappresentanti della Asl di zona. Tutto questo in un mondo ideale popolato dagli amministratori di Roma, evidentemente ignari di tutte quelle leggi che cozzano con questa proposta.

Il Prefetto Giuseppe Pecoraro non ha esitato infatti a ricordare al Sindaco Marino che incapperebbero nel reato di favoreggiamento della prostituzione e che i clienti – seppur “autorizzati” sulla via a luci rosse a pagare per il sesso – sarebbero comunque passabili di sanzione per la legge Merlin ancora in vigore.

Sostanzialmente per attuare la proposta del Comune di Roma servirebbe una giurisprudenza diversa in fatto di prostituzione, materia più che delicata e controversa nel Paese in cui sul palco del festival di San Remo sale la famiglia più numerosa d’Italia, manco fossimo ancora ai tempi del Duce.

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La famiglia Anania sul palco dell’Ariston a San Remo

 

E al tempo del Duce c’erano le famiglie numerose che ricevevano pubblici encomi e c’erano le prostitute, nelle case chiuse, che un po’ somigliano alle vie a luci rosse. Almeno per quel che riguarda la retorica del decoro.
Tra il 1923 e il 1926 in Italia si intensificò infatti l’azione della polizia contro le prostitute, che “rendevano oscene le strade italiane” e che costrinse le donne a entrare a servizio delle case chiuse di Stato. Le prostitute non potevano adescare uomini dalla finestra, organizzare feste o servire alcolici, preservando apparentemente la moralità di tutti quegli uomini che erano loro clienti. Erano confinate nelle case chiuse, sotto stretta vigilanza della polizia, così che la Nazione non corresse più il rischio di assecondare il degrado della maternità che queste donne perpetravano con il loro mestiere.

sora gemmaLe prostitute infatti, libere di condurre una vita tanto sregolata, era come si facessero beffe delle donne madri e spose in quanto “schiave di mariti e figli”. Dunque contemporaneamente anche la sessualità delle donne di casa, delle madri, diveniva oggetto di legiferazione e nel 1926 il controllo della nascite diventava proibito e i contraccettivi di ogni tipo e l’aborto illegali.

Esattamente come durante il fascismo, in Italia la sessualità delle donne, siano esse madri o prostitute, è centrale non tanto nel dibattito, quanto nell’immaginario collettivo.
Dunque la proposta di un distretto a luci rosse a Roma è l’occasione per parlare di prostitute, fanno bene, fanno male, sono vittime, sono puttane, molto meno di sfruttamento della prostituzione o di professioni del sesso, tanto quando parlare di maternità vuol dire esibire i propri figli come dono di Dio e parlare di parto e mai di stato sociale ( pardon, welfare! ) o reddito.

Sulla prostituzione si alza un dibattito animato, soprattutto in ambito femminista. L’ aspetto più interessante della proposta di Roma è che sembrerebbe discussa in primo luogo con le sex workers, d’accordo con l’iniziativa.
Lo “zoning” permetterebbe loro maggiore sicurezza, possibilità di controllarsi l’una con l’altra e potenzialmente di lupanareidentificare eventuali sfruttatori. Volendo dunque ascoltare le richieste e le necessità di lavoratrici più che precarie la via a luci rosse in qualche modo tampona la situazione di estremo pericolo e disagio che le prostitute vivono ogni giorno.

Il dibattito come al solito però si estremizza  tra chi sostiene in toto la proposta e la prostituzione senza se e senza ma, e chi invece vede la prostituzione esclusivamente come forma di violenza di genere.
Opinioni più articolate non sono ben accette nel mondo manicheo del femminismo contemporaneo.

La prostituzione è un tema molto complesso e pur rimanendo attente e ricettive a questo tipo di proposte innovative, si può anche problematizzare la questione oltre il semplice sostegno alle lavoratrici del sesso. Senza sostituirsi ad altre donne nelle loro scelte, in maniera paternalistica, senza decidere sul corpo delle altre ma analizzando un fenomeno per le sue componenti anche contraddittorie.

sex worker
Ho scelto il lavoro che fa per le mie esigenze. Campagna per i diritti delle lavoratrici del sesso.

La prostituzione è stata ed è per molte donne una via di emancipazione. In quanto lavoro, reddito, sussistenza. Eppure anche intorno alla libera scelta della prostituzione il dibattito femminista spesso si esaurisce in un’esaltazione tout court dell’autodeterminazione femminile, come se in quanto tale la scelta di una donna debba essere non rispettata, ma supportata, sostenuta, assunta come propria. Eppure, c‘è anche chi critica il sistema prostituzionale, anche quello libero, senza per questo essere bigotta, senza essere contro l’autodeterminazione. Magari, semplicemente chiedendosi quanto una scelta di sussistenza possa essere considerata libera.

Fermo restando che si opera una scelta quando si ha un’alternativa, altrimenti dove sarebbe la libertà?

Le fondamentaliste dell’autodeterminazione sono le prime a sembrare di doversi imporre di accettare la prostituzione, perché se davvero la percepissero come un’occupazione come un’altra, la criticherebbero e la analizzerebbero per tutti i difetti che ha questa occupazione dal punto di vista socio-economico e di genere, senza pensare che basti fare tana libera tutte urlando “autodeterminazione!”.

Le prostitute non vendono il loro corpo, vendono una prestazione sessuale. Il loro è un lavoro manuale e contemporaneamente intellettuale perché riguarda la sfera del desiderio e del piacere. Negare la possibilità di prostituirsi è un atteggiamento miope tanto quello di ridurre il fenomeno prostituzionale a una questione di vittime e carnefici.

Alcune donne decidono di prostituirsi, altre, la maggioranza, sono le cosiddette “vittime di tratta”.
Spesso Henri_de_Toulouse-Lautrec_017vengono volontariamente in Italia, ma poi rispondono ad un’organizzazione criminale che trae profitto dalle loro prestazione e non permette loro sostanzialmente di abbandonare la prostituzione qualora lo desiderino.
Secondo il Rapporto mondiale  sugli abusi sessuali pubblicato dalla Fondation Scelles nel 2013, la maggior parte delle donne che nel mondo si prostituisce si trova alle dipendenze di uno sfruttatore.
Come sostiene Oria Gargano, fondatrice di  BeFree, Cooperativa Sociale contro tratta, violenze e discriminazioni “queste donne non sono prostitute, ma “prostituite”.

Una posizione femminista non abolizionista non può evitare di parlare di questo fenomeno tanto ampio, non può dimenticare di parlare di schiavitù di genere e di contestualizzare dunque la prostituzione in un contesto di sfruttamento patriarcale di respiro più che globale. Altrimenti si perde in un atteggiamento libertario tanto parziale da non avere alcuna credibilità.

Si potrebbe, ad esempio, prendere spunto da questa proposta romana per riaprire un dibattito costruttivo, senza fanatismi, sulla prostituzione. Si potrebbe valutare il superamento della legge Merlin ormai incapace di essere utile sull’attualità del fenomeno e chiederci con onestà intellettuale cos’è che muove oggi il sistema prostituzionale, quello delle vittime di tratta come quello delle ragazzine dei quartieri bene romani che animavano le pagine dei giornali mesi fa.
Se il femminismo riuscirà a riconoscere che all’origine del sistema prostituzionale c’è una radice di sfruttamento e di diseguaglianza patriarcale tra i generi, allora sarà possibile immaginare insieme un mondo diverso per le prostituzione, con differenti approcci sia essa una libera scelta o meno.

Proviamo a costruire insieme opportunità di lavoro, di vita, di benessere per tutte le donne, per assicurarci una vera libertà di scelta.

Parliamo di lavoro, di diritti, di stato sociale e di genere, parliamo di prostituzione invece che di prostitute.
E forse smetteremo di appellarci a sterili slogan.

 

Alcuni degli interventi più interssanti di questi giorni sul tema

Sono schiave, i ghetti non servono a liberarle

#SexWorking zona rossa a Roma. Si oppongono preti, abolizionisti e destrorsi!

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Un contesto prostituzionale allargato: l’ipocrisia dei quartieri a luci rosse

La prostituzione è una forma di violenza

 

 

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3 Risposte a “Prostituzione: è possibile costruire per tutte la libertà di scelta?”

  1. Bell’articolo. Mi sembra l’impostazione lucida che dovrebbero avere tutti quelli che si accingono ad entrare sul dibattito su quest’argomento. In questi giorni ho letto articoli dove la prostituzione è vista come sinonimo di violenza di genere degli uomini contro le donne. Sono convinta che una posizione così netta semplifica una realtà variegata (esistono prostituti maschi, clienti donne, persone che si prostituiscono per scelta e che lo trovano gradevole) e che nasca da spinte emotive e non da un’analisi razionale del fenomeno.

    1. Sì, sono d’accordo. Intervenire “di pancia” nel dibattito, da una parte o dall’altra, è sterile. Nè il fatto che la prostituzione non sia la mia scelta deve farmi ragionare di prostituzione in senso negativo. Il personale non è SEMPRE politico, a volte il politico pretende di più che partire da sè.

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