“Pelle bianca, sandali da francescano e aspetto da hipster”

Oltre alle varie strumentalizzazioni politiche, razziste e xenofobe sulla terribile vicenda della giovane Pamela, il giornalismo ha contribuito largamente ad alimentare sentimenti di odio razziale e forcaioli.
In queste ore sono state tantissime le persone che ci hanno segnalato uno sconcertante articolo del Corriere su questa triste vicenda. Un articolo che abbiamo fatto molta fatica a leggere per i dettagli offensivi, inutili e voyeuristici.

Il Corriere torna sulla vicenda della giovane e lo fa raccontando il punto di vista di colui che si è, praticamente, approfittato di lei e della sua vulnerabilità.

La storia di quest’uomo che intravede una ragazza con un trolley su una strada provinciale e si ferma con intenzioni che nulla hanno a che fare con sentimenti quali l’empatia o la solidarietà. La storia di un uomo adulto che si approfitta, per qualche decina di euro, di questa giovane ragazza e della sua fragilità per ottenere una prestazione sessuale.

Questa storia viene narrata dal Corriere come quella di un poveruomo con i sandali da francescano, il fisico affilato, le sembianze da hipster e —altro dettaglio deplorevole e da non tralasciare— la pelle bianca. Un uomo che soffre per il triste epilogo di Pamela

In primo piano, quindi, non c’è la sofferenza e la rabbia per la tragica morte di una giovanissima fatta a pezzi, depositata in due trolley e gettata via come vecchi oggetti, ma il rimorso di colui che si è approfittato della sua vulnerabilità.

Quando il Corriere decide di spostare l’attenzione su Pamela lo fa così:
Le responsabilità di lui vengono totalmente azzerate. Lui passa in secondo piano adesso, perché lei ha deciso e lui, poveruomo con i sandali da francescano, semplicemente ci sta.
I dettagli inutili sull’aspetto fisico dell’uomo
o la coperta su cui sarebbe avvenuto il rapporto sessuale
Questo lirismo, questo modo di romanzare un avvenimento terribile e doloroso non sono che l’ennesima pagina imbarazzante del giornalismo italiano.
Storie di donne narrate dal punto di vista del carnefice  che sulla stampa diventa puntualmente: “depresso” “innamorato” “che non accettava la separazione” “accecato dalla gelosia” “colto da un raptus” “pentito”.
Succede ogni volta, e lo documentiamo ormai da anni, in ogni storia di femminicidio, di violenza sessuale o fatti analoghi, la vittima passa in secondo piano e si dà ampio spazio al colpevole  —o uno di essi. Puntualmente i giornali infarciscono articoli e titoloni di dettagli inutili che come unico scopo hanno quello di spingere l’opinione pubblica ad un moto di pietà verso l’autore della violenza o del femminicidio o, come in questo caso, di colui che ha approfittato della sofferenza e della vulnerabilità di una giovanissima donna
E adesso chissà che peso grande ha sul cuore, questo 45enne con la tuta rossa da meccanico e i sandali da francescano” esordiscono dal Corriere.
È una storia squallida, che ci parla di disperazione e di chi se ne approfitta. Che ci parla, questa davvero, di sicurezza delle strade, lungo le quali le donne, le ragazze, non possono camminare senza essere preda di qualcuno – soprattutto se sono vulnerabili, per qualsiasi motivo. Se sono in difficoltà, se sono ricattabili, se sono disperate, se sono isolate. Ma non solo, ovviamente. È solo, se possibile, ancora più odioso quando questo accade a una persona in difficoltà, a una persona che dovrebbe toccare le corde dell’umanità di tutti. E che invece, come nel caso di Pamela, è davvero una vittima solo quando serve a uno scopo. Quando c’è chi ha interesse a usare la violenza fatta alle vittime per la propria propaganda oscena e altrettanto violenta.
Quando, invece, sulla stampa, in primo piano ci sono le vittime è solo per sottolineare il loro aspetto fisico —allegando a corredo decine di foto di vita privata sciacallando sulla tragedia— o le loro abitudini, quasi a sottintendere che, in fondo, se non si fosse vestita in quel modo, se non avesse bevuto, se non fosse uscita di sera, se non avesse reagito o se lo avesse fatto, insomma: “se l’è cercata”.
Lo ribadiamo ormai da anni, il modo di narrare la violenza di genere contribuisce ad alimentare retaggi e stereotipi dannosi. È sconcertante constatare con quanto pressapochismo, mediocrità e incompetenza, nel 2018, si faccia giornalismo e si parli di violenza sulle donne.
Narrare dei sandali e della pelle bianca di quest’uomo è dovere di cronaca? Lo chiediamo al Corriere, con la speranza di ricevere almeno una volta una risposta: quale sarebbe l’utilità di articoli come questo?