Omonazionalismo: la propaganda razzista si fa anche con i diritti lgbt

Qualche settimana fa l’immagine della soldata statunitense Sabryna Schlagetter che, di ritorno da una missione in Afghanistan, baciava sua moglie, ha fatto il giro del web.

Lei in tuta mimetica, sfondo con bandiera americana, un bacio passionale e pieno di trasporto, da copertina.

Omonazionalismo.pngDiciamoci la verità: il bacio in questione non appare proprio naturale e spontaneo… il set patriottico alle spalle, l’accenno di casquè, la riproposizione di un immaginario etero­bellico in cui il soldato di ritorno dalla guerra abbraccia con virile forza la sua dolce e fragile amata.

Questa foto sembra essere costruita su uno schema eteronormativo, dove la soldata “interpreta” l’uomo che va in guerra e la moglie, con il vestito e i capelli lunghi, è la donna che si lascia rapire nel bacio e nell’abbraccio.

Nonostante questa foto vada a cercare chi in una coppia lesbica fa la donna e chi fa l’uomo, non provandoci nemmeno a non applicare il binarismo maschio/femmina in ogni dove, è stata condivisa e apprezzata ­ -forse troppo acriticamente?­- non solo nella sua dimensione estetica patinata e rassicurante per il vecchio clichè, ma anche perché rappresenta la grande apertura dell’esercito statunitense agli/alle omosessuali.

Obama ha portato una ventata di novità e civiltà nell’esercito USA quando nel 2011 ha firmato il provvedimento abrogativo, votato dal Congresso, del “Don’t Ask, Don’t tell” ovvero l’ipocrita legge voluta da Clinton che permetteva a gay e lesbiche di indossare la mimetica ma a patto che tacessero sul proprio orientamento sessuale.

Da due anni però non c’è più bisogno di nascondersi, facendo coming out non si rischia di essere espulsi o allontanati, si potrà servire il proprio paese ed esportare democrazia tranquillamente.

Per i/le transessuali il segretario alla difesa degli Stati Uniti fa sapere che si stanno attrezzando, attualmente rimane il divieto. Una cosa alla volta, c’è chi si può con più facilità integrare nell’idea di Nazione, come il gay e la lesbica bianch*, classe media, e chi invece come transessuali, omosessuali migranti, queer, continua a rimanere ai margini perché più difficilmente normalizzabile e assimilabile a uno schema binario, che sia questo maschio/femmina o etero/gay o anche perché difficilmente identificabile come target a cui proporre il nuovo risotto da cuocere in microonde e il tavolino dell’Ikea, in sintesi non adatti per l’inclusione attraverso politiche neo-liberiste.

In un testo del 2007 la studiosa Jasbir K. Puar conia il termine omonazionalismo per identificare il nazionalismo omosessuale ovvero l’inclusione degli e delle omosessuali attraverso l’idea di Patria, di Nazione e la conseguente componente razzista, strutturale a ogni movimento nazionalista.

Puar lega la creazione di questo concetto agli Stati Uniti post 11 Settembre e alle conseguenti: “battaglia di civiltà”, da questi intrapresa per esportare democrazia, lotta al terrorismo e islamofobia.
La presidenza Obama ha visto l’acquisizione di numerosi diritti civili per gay e lesbiche: matrimoni, adozioni, inclusione dell’orientamento sessuale tra le aggravanti per reati d’odio, costruendo così l’identità statunitense di paese civile in contrapposizione a quella dei paesi incivili, in particolare quelli islamici.

I paesi di religione islamica vengono presentati, con una generalizzazione estrema, come barbari e retrogradi, perché non riconoscerebbero i diritti delle persone omosessuali. Questa lettura semplicistica permette e giustifica le operazioni imperialiste USA ed è in parte errata perché ignora i movimenti LGBT presenti nei paesi arabi di religione musulmana, dimentica che l’omofobia non esiste solo nei paesi islamici o in Russia, ma anche in Europa e in tutta l’Africa non solo in quella musulmana, ma anche in quella cristiana colonizzata dagli occidentali, ma soprattutto omette che anche negli USA le persone gay, lesbiche e trans subiscono ancora pesanti discriminazioni.

Sta succedendo oggi con i diritti LGBT quello che è successo in passato con i diritti delle donne, usati strumentalmente per giustificare azioni imperialiste e guerre colonialiste.

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