Marciare… per tornare indietro?

Abbiamo voluto esserci, sabato 12 aprile, a Milano, per ribadire con la nostra presenza il nostro messaggio, quello per il quale avevamo preparato il nostro evento “Marciare… per tornare indietro?”, il nostro volantino e il nostro comunicato:vogliamo scegliere noi sui nostri corpi.

La giornata è iniziata alle 14, in Piazzale Cadorna quando piano piano i membri del Comitato di no-choice hanno iniziato a radunarsi e le camionette e le auto della polizia hanno fatto la loro comparsa.

Noi avevamo dato appuntamento in Piazzale Cadorna, per poi spostarci alle Colonne di San Lorenzo, dove il collettivo Ambrosia ed altre associazioni milanesi avevano organizzato un contro-presidio, in uno spazio adeguato a lanciare i nostri messaggi. Abbiamo scelto di unirci a loro innanzitutto perché nessuna di noi è milanese, dunque abbiamo preferitoappoggiare le realtà territoriali e poi per non disperdere le forze.Ambrosia, infatti, ha radunato diversi collettivi e quindi la presenza alle Colonne di San Lorenzo era abbastanza nutrita e per noi era importante che molte persone stessero a sentirci, che fossimo visibili, che il nostro messaggio arrivasse chiaro.

Appena i tristi figuri del Comitato hanno capito che le 4 o 5 persone che si erano raggruppate a pochi metri da loro erano delle pericolosissime femministe pro-morte, assassine e sociopatiche, uno di loro si è avvicinato in modo subdolo tentando di intervistarci, senza qualificarsi in nessun modo, senza dare il proprio nome, senza dire per quale rivista/quotidiano/giornale/testata e/o altro scrivessero. Ovviamente abbiamo rifiutato qualunque intervista.

Dopo di lui si sono avvicinati i poliziotti che, in modo abbastanza aggressivo, hanno tentato di mandarci via. Alcune  persone del nostro gruppo (che nel frattempo si era allargato) si sono trattenute, cercando di parlare con i poliziotti, la maggior parte di noi si è posizionata di fronte alla Stazione di Cadorna, in un punto semaforizzato, dal lato in cui le auto si fermavano al rosso, per essere ben visibili.

I nostri slogan parlavano di diritti, di scelta, di autodeterminazione, di cosa accadrebbe se l’aborto legale non esistesse più. Qualche passante si è fermato, interessato ai nostri volantini.

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Alle 15 abbiamo abbandonato piazzale Cadorna, anche se  la vista delle croci insanguinate, degli striscioni vergognosi e colpevolizzanti, i feticci e i simboli fanatici, macabri e morbosi facevano venire voglia di restare, per contrastarli direttamente, ma avevamo appuntamento alle Colonne e sapevamo che saremmo state respinte dalla poliziache ci aveva già assalito con modalità comunicative aggressive (un paio di poliziotti ci hanno minacciate e si avvicinavano a noi con malagrazia, senza rispetto per il nostro spazio e ci invitavano a retrocedere, sospingendoci con le mani).

Così, mentre alcune compagne di un altro collettivo hanno scelto di non venire e un paio di ragazze tra quelle che avevano risposto al nostro invito hanno preferito raggiungere le Colonne più tardi, ci siamo spostate per raggiungere la festa #moltopiudi194.

Qui trovate qualche foto e un paio di video del presidio.

Abbiamo attaccato i nostri cartelloni, messo a disposizione i nostri scritti e atteso l’inizio della festa.

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Abbiamo letto dinnanzi ad una piazza numerosa ed interessata il comunicato che qualche giorno prima avevamo preparato. Era presente anche un emittente televisiva regionale a riprendere l’evento.

Nel corso del nostro intervento abbiamo sottolineato il fatto che non è sufficiente difendere la Legge 194 dalle istanze di abrogazione, ma occorre fare di più. Occorre chiedere l’applicazione delle legge.

L’obiezione di coscienza, che in alcune regioni italiane raggiunge percentuali superiori al 90%, impedisce di fatto l’applicazione della legge 194 e per questo dovrebbe essere giuridicamente inquadrata come interruzione di servizio pubblico. E’ necessario chiedere l’eliminazione dell’obiezione di coscienza, perché convinzioni religiose personali e ambizioni carrieristiche non permettano più a medici, personale infermieristico, farmacisti, di esimersi dall’esercitare tutti i compiti di una professione che hanno scelto.

Le persone che hanno sfilato a Milano, sabato, hanno “dimenticato”, nella loro arroganza, che eliminare la possibilità di abortire nelle strutture pubbliche in tutta sicurezza, non significa “salvare la vita di un feto”. Significa rischiare la vita di una donna, significa discriminare: le donne abbienti, infatti potrebbero recarsi ad abortire all’estero, le donne povere, invece, finirebbero in condizioni sempre più precarie di salute, ricorrendo a metodi che si sperava fossero ormai nella storia, o, anche, secondo questi signori, in galera, ree di omicidio.

La maternità non si tutela rendendola obbligatoria, ma sostenendo l’occupazione femminile (in tutti i sensi), riservando fondi ai centri antiviolenza e ai consultori, facendo corretta educazione sessuale, parlando di contraccezione, redistribuendo il carico di lavoro famigliare e casalingo, non imponendo una gravidanza indesiderata.

Non vogliamo “piani di fertilità”, non vogliamo retoriche antiabortiste e angeli del focolare, non vogliamo essere asservite alla nostra biologia. Noi siamo molto di più, di un utero, di un’incubatrice. Basta sensi di colpa e spirito di sacrificio in nome di un’immagine del femminile che non ci appartiene. Nessuno può decidere se, come e quando diventare madre, se non una donna.

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Una nota finale sul Corteo di sabato. Sono talmente anacronistici, talmente morbosi e invasati, nominano tanto spesso Satana, ostentando oggetti macabri e croci insanguinate che mi auguro si squalifichino da soli.

Una delle cose peggiori, che davvero ci disgusta e della quale saremmo liete che la Federazione Nazionale dei Collegi IPASVI (l’ente di diritto pubblico che tutela e rappresenta la professione infermieristica) si occupasse, è vedere alcune persone sfilare per Milano col camice da infermiere. E’ un fatto violento e di gravissimo impatto su chi è disinformato.E, per lo stesso motivo, bene hanno fatto coloro che, il giorno prima, venerdì, hanno occupato la direzione sanitaria dell’ospedale Niguarda.

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Sperando che la sensibilizzazione delle persone al tema sia sempre maggiore, che la corretta informazione si diffonda sempre più e che una risata seppellisca davvero tutti coloro che vogliono farci ripiombare nel medioevo, teniamo alta l’attenzione e continuiamo ad impegnarci affinché il nostro diritto di scelta non venga mai più messo in discussione.

MARCIARE… PER TORNARE INDIETRO?

Il 12 Aprile sfileranno per le strade di Milano esponenti dei movimenti pro-life,
antiabortisti, ultra-cattolici, omofobi, realtà politiche di estrema destra.
Tutti insieme contro la salute delle donne, l’autodeterminazione dei corpi, la libertà di
scelta, l’aborto, l’eutanasia, la contraccezione, l’educazione sessuale.
Queste persone difendono quella che chiamano famiglia “tradizionale” e dicono di voler
tutelare la vita, ma per tutelare la vita chiedono l’abrogazione della legge 194, chiedono il
ritorno agli aborti clandestini, chiedono che le donne tornino a morire.
I ferri da calza, gli infusi di prezzemolo, le mammane oggi si chiamano Cytotec, un
farmaco per curare l’ulcera acquistabile su internet.
L’aborto clandestino non è solo nei ricordi delle nostre nonne, ma è
reale.
Per questo noi oggi non vogliamo fermarci alla difesa della legge 194,
non vogliamo scendere nelle piazze per chiedere di non tornare
indietro, noi vogliamo andare avanti.
Vogliamo l’eliminazione dell’obiezione di coscienza, perché convinzioni religiose personali
e ambizioni carrieristiche non permettano più a medici, personale infermieristico,
farmacisti, di esimersi dall’esercitare tutti i compiti di una professione che hanno scelto.
L’obiezione di coscienza, che in alcune regioni italiane raggiunge percentuali superiori al
90%, impedisce di fatto l’applicazione della legge 194 e per questo dovrebbe essere
giuridicamente inquadrata come interruzione di servizio pubblico.
Vogliamo difendere i consultori perché rimangano spazi liberi, pubblici e laici contro le
privatizzazioni e i finanziamenti ai gruppi cattolici oltranzisti.
Non vogliamo essere più costrette al colloquio con la volontaria pro-life, non vogliamo più
incontrare gente che prega davanti alle strutture pubbliche per redimere le nostre anime,
non vogliamo più essere chiamate assassine.
Chiediamo che sia favorito il ricorso all’aborto farmacologico e che l’accesso alla pillola
RU486 non preveda più l’obbligo di ricovero; usare una procedura più invasiva in luogo di
una meno invasiva lede il più elementare diritto alla salute.
Vogliamo che la maternità sia sempre una scelta e che la genitorialità sia condivisa e
responsabile.
Per questo chiediamo misure di welfare efficaci, diffusione di informazioni sulla
contraccezione e accesso facile e veloce ai contraccettivi anche d’emergenza, chiediamo
educazione sessuale, un’educazione che non sia normativa e normalizzante, ma che apra
agli infiniti modi di vivere la sessualità con gioia e consapevolezza, al di là di ogni
binarismo etero-normativo.
Vogliamo che l’aborto sia libero e gratuito, vogliamo scegliere noi sui
nostri corpi.