Linguaggio “di genere”: Serena Dandini, Radio2, Lilin e Graziella Priulla

Giovedì scorso, il 6 novembre, durante un programma radiofonico del pomeriggio di Radio2, “#staiSerena” con Serena Dandini, ho avuto modo di scoprire una giovane artista piemontese che non conoscevo: Lilin (nome d’arte di Chiara Pulitanò).

Il nome d’arte, da solo, è già particolare. Si tratta della dinastia di Lilith, la “vera” “prima donna”, cacciata da Adamo perché non era abbastanza ubbidiente. Un simbolo, in un certo senso, di ribellione al patriarcato e alle sue leggi.

La cantante ha presentato al pubblico della radio un suo nuovo singolo: “Claude&Marlene”. Durante l’intervista della conduttrice, Lilin spiega come mai abbia usato con rabbia, nella canzone, l’espressione “Omicidio d’amore”

Ho scelto queste due parole perché per me “massacrata, marito, omicidio, amore” sono parole che non dovrebbero mai essere connesse e stride ed è una cosa che colpisce dentro in modo veramente forte

Il testo della canzone esce da ogni tipo di retorica, già presentando la relazione tra Claude e Marlene, i due protagonisti, come clandestina: Marlene infatti, è sposata (con un altro). E non solo. Marlene viene dipinta come una donna che raramente ama davvero, ma che “si nutre di cuori e di tristi languori”. Quindi niente patetismi, niente “donna angelicata”, “santa”, “donna devota al proprio uomo”.

Claude ora sa che Marlene è maritata e Claude la punirà, lama e dolore, omicidio d’amore

canta Lilin. E in questa frase sottolinea proprio la logica del possesso che sta alla base del femminicidio: “Ti punisco perché non sei solo mia, come io vorrei. Perché non ti comporti come una donna dovrebbe fare”.

Anche il video della canzone è significativo: uomini col volto coperto di nero che escono da un lago per uccidere alcune donne che vogliono danzare libere.

Questo pezzo vuole narrare l’uccisione della libertà e dell’amore di una donna, perché fluido e incontrollabile

spiega la giovane artista che, sul finale del video, emerge dalle acque del lago per guardare a viso aperto, senza paura, gli uomini violenti che così vengono sconfitti. L’amore di una donna, la sua fedeltà non possono e non devono essere “controllati” da nessuno. Quando un uomo sente che ha “perso il controllo” sull’amore della donna che ha accanto, ecco che possono scattare episodi di violenza, talvolta anche estremi, come il femminicidio.

Parlare di femminicidio non è mai facile, sottolinea Dandini nel presentare il pezzo:

Una ragazza così giovane che vuole parlare di un tema così forte come il femminicidio mi ha colpito, anche perché è difficile parlare di questo argomento senza entrare nella retorica, nei luoghi comuni, o anche nello sfruttamento di moda del “filone”, perché purtroppo c’è anche questo

L’intervista continua sottolineando come i femminicidi non siano mai frutto di un “raptus” o della passione, ma di una scelta deliberata

Serena Dandini invita la stampa:

a non parlare mai più di “gesto folle”, “delitto passionale” “omicidio d’amore”, perché non sono omicidi d’amore, non sono degli omicidi passionali. Tagliate fuori queste parole, perché le parole hanno un peso e possono far male quanto uno schiaffo

E’ folle, per Dandini, far passare il concetto che se un uomo uccide una donna lo faccia per l’amore e la stampa deve “farci caso” e Lilin sottolinea che si tratta di una scelta.

La breve intervista si conclude con un appello ai giornalisti e alle giornaliste:

Vi prego, dite le cose come stanno: sono omicidi premeditati

Non è la prima volta che, durante #staiSerena emergono tematiche legate al linguaggio “di genere”, cioè a tutto quello che concerne la “narrazione” del femminile.

Una decina di giorni prima, il 27 ottobre, ospite della trasmissione è Graziella Priulla, autrice del libro “Parole tossiche – cronache di ordinario sessismo” edito da Settenove

“Noi siamo le parole che usiamo” si dice, durante la trasmissione.

Tutto nasce, spiega Priulla

sentendo le cronache parlamentari. Mi sono resa conto che era da lì che proveniva la maggior parte delle parole peggiori che avevo sentito, sia nei confronti degli avversari politici, sia, soprattutto, nei confronti di donne che avessero delle cariche politiche

E ne cita una:

Un onorevole che argomentava la sua contrarietà alle quote rosa ha sostenuto la seguente tesi: “le donne non ci devono scassare la minchia”

C’è una ragione per cui ogni espressione triviale è stata sdoganata (soprattutto in Italia)? Si domanda la sociologa Priulla.

Tra le varie ragioni, ne emerge una: sminuire, nel caso il linguaggio di questo tipo sia indirizzato alle donne, la loro carriera e le donne stesse, rese degne di essere vilipese.

In conclusione, Serena Dandini cita altri due libri di Settenove, indirizzati all’infanzia, perché proprio da lì occorre partire per debellare la cultura sessista e piena di stereotipi in cui viviamo:

“C’è qualcosa di più noioso che essere una principessa rosa?” e “Ettore, l’uomo straordinariamente forte”

E’ bello e importante che si inizi a parlare correttamente nei media del linguaggio con il quale definiamo le donne e le loro storie, anche quelle più violente, come nel caso del femminicidio perché  “esiste un rapporto circolare per cui parole, pensiero e azione si rafforzano a vicenda”. E “le parole definiscono il contesto in cui viviamo e rivestono un ruolo decisivo nella costruzione delle soggettività individuali e dell’identità collettiva, contribuendo a creare le fondamenta sulle quali erigere situazioni di disparità e di prevaricazione nella vita quotidiana.” (Cit. dal sito di Settenove).