La nostra pancia: prova costume, moda sostenibile e bodyshaming

L’estate sta arrivando e con lei la “prova costume che riviste, cosmetici, negozi di costumi e palestre ci ricordano di dover sopportare.

Qualche settimana fa nella metropolitana di Londra sono apparsi dei cartelloni pubblicitari di Protein World – alimenti per sportivi – che, mostrando una ragazza in bikini taglia 0 tette e culo sodi, chiedeva:

“sei pronta per la prova costume?”

Il corpo da spiaggia è quello di solito che indossiamo anche in inverno, eppure tutti ci chiedono di modificarlo e di farlo apparire quanto più simile a quello dei canoni estetici dominanti, oggi più che nelle altre stagioni.
Perché l’estate è la stagione dove l’edonismo e il giudizio sul corpo delle donne trovano terreno più fertile, svestite come siamo, o vorremmo poter essere, sulle spiagge sovraffollate di inguini depilati.

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Le londinesi hanno reagito agli enormi cartelloni gialli rispondendo puntualmente alla domanda.

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La campagna di Protein World, al pari di tante altre che si rivolgono direttamente alle donne circa il loro aspetto fisico, fa leva sul bodyshaming, ovvero umiliare il corpo altrui, manipolando psicologicamente la percezione che se ne ha. Così si ingenera e si sostiene la mancanza di autostima e l’eccessivo interesse delle donne verso il proprio aspetto fisico che, a differenza di ciò che accade al maschile, rimane in ogni caso valutabile e di per sé significativo sul merito e l’esistenza della donna stessa. Che sia perché una donna troppo “bella” non sia considerata qualificata per ruoli di potere o di responsabilità, o perché una troppo “brutta” non possa essere un oggetto sessuale appetibile e dunque debba insistere per meritare attenzioni o rispetto.

Insomma, belle o brutte, le donne in quanto tali sono giudicate da uno sguardo maschile che stabilisce chi è qualificata per fare cosa in base alle famose dicotomie santa/puttana, madre/oggetto sessuale, bella/intelligente.

E così anche alla più colta e alla più emancipata delle donne del 2015 capita di guardarsi allo specchio e dare un giudizio su di sé in base a come le calza un vestito aderente. 

Laura Martínez Hortal, ha fondato e dirige Gansos Salvajes, “Revista de Moda sostenible con contenidos inteligentes y enfoque ecológico. Hecha por y para mujeres reales.”.

Lei e la sua redazione si ripropongono un linguaggio e delle rappresentazioni differenti nella moda, anch’essa intesa come sostenibile e mai slegata da contenuti culturali che vadano anche oltre i 10 consigli per scegliere gli shorts perfetti. Ad esempio, la percezione che le donne hanno di sé e del proprio corpo, sommerse come sono da messaggi e fotografie artificiose e dannose per la costruzione di un’immagine femminile libera da stereotipi e frustrazioni. Di seguito, una traduzione di un suo recente articolo, dal titolo “La mia pancia ed io”.
Qui la versione originale in spagnolo.

“Quando mi avvicino al mio armadio devo scegliere cosa indossare in funzione del fatto che io sia gonfia o di dove vado a mangiare quel giorno e se mi gonfierà.
Quando compro dei vestiti devo tenere in considerazione che le magliette siano abbastanza ampie per questa zona, che non abbiano stampe o fiori troppo vistosi, che abbiamo la larghezza necessaria per non tirarsi su.

Ho un corpo ben proporzionato però la mia pancia… ah! Costituisce l’ultimo bastione nella mia lotta per accettarmi. L’ultimo complesso adolescenziale.

Non ho mai seguito alcune mode, come quella di mostrare l’ombelico o la vita alta, perché la natura si è impegnata nel dotarmi di una palla – un globo – dentro il mio ventre. E non devo mostrarla per non ferire la sensibilità degli altri.

La relazione con questa è cambiata un po’ quando ho cominciato a lavorare in pubblicità e dovevo usare il filtro di Photoshop per cancellare la pancia alle modelle professioniste. Perché sembra che nemmeno le dee della bellezza della nostra era possano permettersela.

Da alcuni anni ho scoperto dalle parole di Monica Felipe-Larralde che quello che nasconde il nostro ventre è quello che ci rende delle donne, biologicamente parlando, dentro c’è una gran parte di quello che ci distingue dagli uomini. Sotto il nostro ombelico conserviamo la nostra capacità di avere le mestruazioni e di avere una gravidanza.
Inoltre è il maggior centro di potere del corpo, secondo la medicina cinese.

D’altra parte in questa parte del corpo rimangono le tracce dei parti cesarei e delle gravidanze. E nella società che viviamo si può accettare solo un tipo di donna, quella che non ha segni del tempo sulla sua pelle.

Non so se esiste un complotto cosciente o incosciente, se è solo un tabù sessuale che portiamo sulle spalle o se è la neurosi di una società che per accettare il prossimo e sentirsi sicura ha bisogno che siamo tutti uguali.
Quello che però so è che ho deciso che quest’estate smetterò di occultare la mia pancia e inizierò ad amarla.
A rispettare me stessa e il mio corpo, che sono io. A desiderarmi completa nel punto in cui sono.
E anche se continuerò a desiderare di perdere grasso in questa zone, anche se continuerò a desiderare di mangiare meglio per non gonfiarmi e anche se non mi arrischierò con alcune mode, le sorriderò, la accarezzerò con tenerezza, le mostrerò il mio rispetto davanti allo specchio e non permetterò che un pregiudizio sociale rovini la mia relazione con me stessa. Forse dal mio amore per me stessa sarà molto più facile scegliere abitudini salutari e alimenti che portino vitalità al mio corpo.

 

E io continuerò a mostrare donne come sono davvero, senza ritoccarle, senza variare taglie, età e tipologia di corpo.
Se volete sapere come facciamo i reportage di moda potete leggerlo qui .

Di seguito un documentario di una decina di minuti realizzato da  Mónica Felipe-Larralde che mi ha regalato la possibilità di fare pace con questa parte del mio corpo.”