La montagna ha partorito un topolino

Ben oltre un anno fa, la Commissione d’inchiesta sul femminicidio e sulla violenza di genere al Senato acquisiva quasi 600 fascicoli processuali per far luce sulla violenza agita dalle Istituzioni contro le donne che denunciano violenza e che si trovano, in sede di processo civile di separazione e/o presso i Tribunali dei Minori a subire uno stravolgimento della loro posizione, visto che spesso vengono trasformate da vittime in carnefici, accusate di essere madri ostative, simbiotiche, alienanti, malevole, laddove i figli minorenni che, magari hanno assistito alla violenza agita dal padre verso la madre o ne sono stati vittime dirette o, semplicemente, hanno vissuto in un clima sempre teso e non sereno, rifiutano di vedere e frequentare il padre.

Di questi fatti, ci siamo qualche volta occupate anche noi, in diversi post, tra cui questo, nel quale parlavamo dei 10 anni della Convenzione di Istanbul e di come, in quell’occasione, la stessa Commissione di inchiesta sul femminicidio ci fosse sembrata una sequela quasi inutile di belle parole e basta.

Di fatto, per le madri che lottano per l’affidamento dei loro figli dopo aver denunciato fatti di violenza diretta o indiretta, continuano a subire ingiustizie e i loro figli ad essere prelevati con la forza per essere allontanati da loro, rinchiusi in case famiglie (o consegnati come pacchi postali al padre) e “resettati”, ovvero sottoposti a lavaggi del cervello per convincerli ad amare quel padre di cui loro hanno paura o che, semplicemente, non vogliono frequentare.

A giugno, è accaduto a Pisa, ma non solo. Anche ad Assisi.

A Cuneo, 2 dei 4 fratelli portati via alla madre e separati in comunità e famiglie differenti, continuano ad essere lontani dalla loro famiglia.

E “famosi” per chi si occupa di questi temi, per la loro rilevanza sui social, ci sono anche i casi di Laura Massaro, Giada Giunti, Michela di Baressa, Frida… e purtoppo moltissimi altri (vedi qui, qui, qui, qui)

I fascicoli che la Commissione doveva analizzare, non si sa come e quando, sono diventati 1500 e il silenzio su questi fascicoli si è fatto pesante, fino a che è stato annunciato che oggi, alle 12 in Senato sarebbe stato presentato il lavoro svolto dalla stessa Commissione su questi benedetti fascicoli.

Purtroppo, la delusione si è tosto impossessata di noi.

La montagna ha partorito un topolino, o almeno così ci sembra.

Innanzitutto nel report presentato in Commissione non si parla per niente dei 1500 fascicoli. Si fa riferimento ad uno studio condotto sulle Procure, sui Tribunali, sui Tribunali di Sorveglianza e sugli Psicologi che operano all’interno dei Tribunali.

Lo potete trovare QUI.

E’ certamente un report interessante, ma riguarda il triennio 2016-2018, non si occupa dei fascicoli raccolti e si limita a denunciare la scarsissima preparazione sui temi della violenza contro le donne in tutte le sue sfaccettature, in tutti i luoghi deputati ad occuparsene. Leggendo il report emerge che la situazione peggiore, quanto a impreparazione, stigmatizzazioni, pregiudizi, la si trova nei Tribunali e nell’opera degli psicologi forensi che, non dimentichiamolo, sono coloro cui i giudici affidano le consulenze di ufficio che vengono troppo spesso disposte e accolte in modo acritico dai giudici e che utilizzano il concetto di Alienazione Parentale (e tutte le sue sfaccettature) già bocciato più di una volta in Cassazione e mai riconosciuto come valido dalla comunità scientifica, a causa del quale, le donne perdono i propri figli.

Ma veniamo alla presentazione di stamattina, molto partecipata e che vedeva la presenza – importantissima – di Maria Monteleone, magistrata e consulente della Commissione, Linda Laura Sabbadini, direttrice centrale Istat, del presidente del Csm David Ermini; di Pietro Curzio, primo presidente della Corte di Cassazione, di Giovanni Salvi, procuratore generale della Corte di Cassazione; di Maria Masi, presidente del Consiglio nazionale forense; di David Lazzari, presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine degli psicologi.

La giudice Maria Monteleone durante la presentazione dei lavori della Commissione ha denunciato “la totale invisibilità della violenza contro le donne nei tribunali civili” quale “segno di arretratezza e di sottovalutazione del fenomeno”. I dati raccolti dalla Commissione, riferiti al triennio 2016-2018, sono sconfortanti. Il 95% dei tribunali civili non sono stati in grado di quantificare i casi di violenza domestica emersi nelle cause di separazione giudiziale e nei provvedimenti riguardo i figli e nelle Ctu.

Monteleone ha pronunciato parole forti e molto condivisibili, parlando di cultura e di pericolosità degli uomini maltrattanti che andrebbero assimilati ai mafiosi, perché non è certamente il carcere che fa loro cambiare mentalità, avendo assimilato nel profondo una visione della donna difficile da scardinare. Ha inoltre sottolineato che ogni riforma o intervento legislativo a costo zero, come il cd “Codice Rosso” non hanno alcun reale impatto sulla vita delle persone coinvolte che dovrebbero trarne beneficio, come avevamo affermato anche noi.

Da ognuno dei relatori e delle relatrici è emersa, gravissima, una mancanza di comunicazione del settore penale e civile (e/o minorile) cosa che lascia sconcertati. Come si può pensare che quanto avviene in sede di accertamento penale non debba essere conosciuto in sede civile, specialmente laddove si discuta di affidamento di minori?

Più o meno alle stesse conclusioni è arrivata anche D.I.Re, la rete dei Centri Antiviolenza che ha diffuso una inchiesta condotta dalle proprie avvocate.

Citiamo:

La violenza non viene sostanzialmente riconosciuta dai tribunali civili e per i minorenni:

  • nelle decisioni adottate dai tribunali civili e per i minorenni nei casi seguiti dalle avvocate D.i.Re, la Convenzione di Istanbul non è mai citata come riferimento normativo;
  • in tutti i procedimenti giudiziari presso i tribunali civili e per i minorenni le avvocate hanno depositato documentazione comprovante la violenza subita dalla donna e la violenza assistita dai minori (allegazioni): denunce (94,4%), referti (100%), misure cautelari emesse in sede penale (98,1%), decreti di rinvio a giudizio (96,3%), sentenze di condanna (88,9%), relazioni del Centri Antiviolenza (63%);
  • quasi il 78% delle avvocate dichiara che le allegazioni vengono poste a fondamento dei provvedimenti giudiziari e/o delle sentenze nei casi da loro seguiti. Ciononostante il 42% delle avvocate riferisce che la violenza viene riconosciuta solo in minima parte.

(…)

Ancora più grave la situazione quando si guarda alle decisioni in merito ai/lle minori che possono aver assistito alla violenza o aver subito violenza essi stessi: dalla ricerca emerge chiaramente che “ancora oggi per i Tribunali l’obiettivo principale è salvaguardare e conservare ‘il rapporto con la prole’, ovvero il legame genitore-figlio/a, indipendentemente dalla presenza di condotte violente nei confronti della madre. La convinzione radicata è che un uomo maltrattante possa essere un buon genitore”, scrivono Carrano e Biaggioni.

  • Anche a fronte della documentazione depositata dalle avvocate (allegazioni) in merito alle violenze subite e/o assistite, solo il 22% delle avvocate dichiara che gli incontri protetti tra il padre maltrattante e i/le figli/e vengono organizzati in modo da tutelare la madre.
  • Né il Tribunale per i minorenni né il Tribunale ordinario utilizzano strumenti per la valutazione del rischio: l’unica esperienza positiva in tal senso è citata dal centro antiviolenza Mascherona di Genova.
  • Nell’ 88,9% dei casi presso il Tribunale ordinario e nel 51,9% dei casi presso il Tribunale per i minorenni, è stato disposto l’affidamento condiviso tra i genitori anche in presenza di denunce, referti, misure cautelari emesse in sede penale, decreti di rinvio a giudizio, sentenze di condanna e relazioni del centri antiviolenza.
  • Nel 70,4% dei casi presso il Tribunale ordinario e addirittura nel 90,7% dei casi presso il Tribunale per i Minorenni, è stato disposto l’affidamento ai servizi sociali, anche se nella quasi totalità dei casi è stato contestualmente predisposto il collocamento presso la madre.

“Il presupposto per disporre l’affidamento a terzi è l’inidoneità di entrambe le figure genitoriali a prendersi cura in maniera adeguata dei figli. Allo stesso tempo i giudici ritengono che sia la donna maltrattata il genitore ‘idoneo’ a prendersi materialmente cura degli stessi. Questa situazione è conseguenza diretta della confusione tra violenza e conflitto, uno degli ostacoli principali di accesso alla giustizia da parte delle donne che subiscono violenza”, scrivono le curatrici.

La ricerca conferma il ruolo preponderante delle relazioni dei servizi sociali sulla genitorialità, disposte nel 75 per cento dei casi seguiti dalle avvocate presso il Tribunale per i minorenni, e delle CTU che invece vengono disposte nel 75,9 per cento dei casi presso il Tribunale civile per i quali le avvocate hanno fornito documentazione comprovante la violenza domestica e la violenza assistita.

L’inchiesta ha approfondito il funzionamento delle CTU:

  • Nell’83% dei casi i quesiti ai quali le CTU sono chiamate a rispondere sono standardizzati e non definiti in base al caso preso in esame, e ben nel 94% dei casi non sono poste domande in merito alla violenza subito e/o assistita. Si tratta cioè di quesiti che ancora una volta indagano quello che i magistrati ritengono essere un conflitto tra i genitori e non una situazione di violenza.
  • Il 74,1% delle avvocate dichiara che l’alienazione parentale (PAS) o altri comportamenti manipolatori da parte della madre sono citati nelle relazioni delle CTU.
  • Le CTU e le CTP (consulenze tecniche di parte, spesso necessarie proprio per difendersi dalle CTU) muovono un ingente flusso di denaro: nel 75 per cento dei casi tali perizie arrivano a costare fino a 5.000 euro.
  • Inoltre le avvocate confermano che le sentenze sono scritte di fatto dalle CTU: nella totalità dei casi il/la giudice, acquisita la relazione del/la CTU, assume nel proprio provvedimento (definitivo o interlocutorio) i suggerimenti proposti dal/la CTU, senza sottoporre la relazione peritale ad alcun giudizio critico.

La Convenzione di Istanbul vieta anche la mediazione obbligatoria nei casi di separazione e affidamento che coinvolgono donne che hanno subito violenza. Eppure:

  • quasi il 65% delle avvocate dichiara che nei casi considerati ai fini della rilevazione, il Tribunale ordinario invita i genitori alla mediazione familiare, una percentuale inferiore si registra nei Tribunale per i minorenni (35,2%).
  • Una percentuale ancora più alta di invito alla mediazione familiare si registra da parte del servizio sociale (70%).
  • Infine quasi il 60% delle avvocate dichiara che sia il Tribunale ordinario che i servizi sociali invitano i genitori a intraprendere un percorso di sostegno alla genitorialità, mentre il 40% delle avvocate dichiara che tale indicazione viene data dal Tribunale per i minorenni.

Bene. Vi possiamo assicurare che di tutte queste cose le donne che subiscono violenza erano già perfettamente consapevoli.

E quindi, bene, benissimo che sia emersa a livello pubblico e istituzionale tutta questa problematica, ma in oltre un anno di lavori, non si poteva osare un pochino di più e presentare almeno una piccola bozza, un’idea, un progetto di legge, un qualcosa, insomma, di risolutivo, di pratico?

Le donne, le madri, aspettano giustizia e non parole, report e numeri che conoscono già benissimo, direttamente sulla loro pelle e su quella dei propri figli.

Bisogna iniziare ad ascoltarle. Esse si sono riunite in piccoli gruppi che, per una maratona di svariati giorni, si trova sotto le prefetture di diverse città. E hanno delle richieste puntuali che la politica deve ascoltare e fare proprie, altrimenti saremo invasi da topolini partoriti da montagne, di cui, francamente, possiamo anche fare a meno.

CHIEDIAMO
1. Che cessino immediatamente i prelevamenti forzati dei bambini e le deportazioni presso case famiglia o presso persone (perlopiù padri) verso cui i bambini esprimono paura, disprezzo o semplicemente desiderano frequentare con altre modalità. Queste azioni sono degne solo di una dittatura sudamericana e vanno contro qualunque principio costituzionale di diritto alla salute e alla dignità personale, contro ogni convenzione e legge internazionale per la tutela e protezione dell’infanzia.
In particolare alla Ministra dell’Interno, responsabile della sicurezza dei cittadini e del rispetto dei diritti umani come competenza specifica del suo Dicastero, chiediamo di attivarsi con urgenza per verificare la legittimità delle procedure dei prelevamenti che quasi quotidianamente vengono messi in atto, senza neppure verificare quali rischi sussistano per la salute dei minori, in evidente conflitto con la loro manifesta volontà ed il loro diritto ad un ambiente sicuro, salubre ed affettivamente ricco, senza neppure in molti casi il conforto minimo del parere e dell’assistenza di figure mediche specializzate. Le chiediamo che intervenga a chiarire quali sono i limiti costituzionali e di mandato professionale dell’operato delle FF.OO. in prelevamenti forzati che implicano anche l’abbattimento delle porte di ingresso di proprietà private, in assenza di accertati rischi per la vita e la salute dei minori prelevati ma anzi mettendo attivamente a rischio quella sicurezza e quella salute.
2. Che rientrino presso le madri tutti i bambini che sono stati sottratti contro la loro volontà ed in nome di una non riscontrabile sindrome o comportamento “alienante” e tutti i suoi derivati, per i motivi ben definiti dall’ultima, ma non unica, sentenza della Corte di Cassazione n. 13217/2021.
3. Che venga abrogato il primo comma dell’art. 1 della legge 54 del 2006

La Commissione di Inchiesta sul Femminicidio avrebbe dovuto per lo meno ipotizzare di poter portare avanti queste richieste.

Attendiamo ancora una volta, a dire la verità mica tanto fiduciose.