La moda è sempre più androgina, ma non è per forza una buona notizia

Armani. Collezione uomo autunno/inverno 2015/2016.

Lo stilista porta in passerella uomini e donne vestit* allo stesso modo. Giacche e pantaloni dal taglio maschile anche per lei.

Armani

Da Prada i modelli indossano leggerissime camicie strette al collo da enormi fiocchi e poi pizzi barocchi e trasparenze.

Prada

Il binarismo di genere quest’anno è fuori moda.

Sulle passerelle sembrano allentarsi i rigidi schemi del rosa e dell’azzurro, delle gonne e dei pantaloni, del lui e del lei e tutto si confonde.

Per gioco, per marketing, per vendere, per fare spettacolo, per esigenze di mercato, per stupire, per tante ragioni, non tutte condivisibili, la moda restituisce, nella sua eccentricità e nella sua finzione, un po’ di realtà, rappresentando la complessità e la fluidità dei generi, nascoste nel quotidiano dall’ansia tassonomica: è gay? È etero? È uomo? È donna?

La moda è sempre più queer, modelle che posano e sfilano per le linee d’abbigliamento maschili cominciano a essere frequenti. Elliott Sailors, dopo aver lavorato per anni come modella, in barba alla legge del mondo della moda che vuole le donne sempre giovani e concede invece agli uomini qualche ruga in più, si taglia i capelli e inizia a lavorare come modello.

Elliott

“Gli uomini non hanno bisogno di sembrare molto giovani, quindi adesso posso lavorare per molto tempo. Ho sfruttato una di quelle cose per cui stavo male da giovane, i tratti mascolini”.

Erika Linder nel 2014 era sia donna che uomo nella campagna del marchio d’abbigliamento Crocker.

Erica

Solo due esempi, ma l’approdo di modelle sulle passerelle maschili è sempre meno raro. Meno comuni sono gli uomini che lavorano nella moda femminile.

In una società confortata da rassicuranti e falsi binarismi, la confusione, la fluidità, la contaminazione sono benvenuti e si spera scendano anche dalle luccicanti passerelle e invadano il quotidiano.

La moda, uscendo da alcuni dei suoi rigidi schemi estetici, ha capito che il binarismo eteronormativo è out, che è ora di abbandonare rappresentazioni stereotipate del maschile e del femminile, anzi di abbandonare proprio i concetti di maschile e di femminile.

Almeno fino ad un certo punto. Perché Armani ai suoi modelli avrà pure concesso la matita nera sugli occhi, qualche borsetta e un colorato foulard, ma ha anche dichiarato che:

L’uomo non può vestirsi come una donna se non per piccole cose, per un foulard o un colore. Lui deve tenersi stretta la sua mascolinità, ha un limite invalicabile, ha bisogno di equilibrio, non deve cadere nel ridicolo: posso prendere un abito da uomo e con piccoli cambiamenti farlo indossare a una donna, ma non viceversa.

Per Armani la donna può indossare pantaloni dal taglio maschile, una giacca, magari rinunciare pure ai tacchi, ma lui non può prendere in prestito gli abiti di lei.

La donna indossando i panni da uomo si eleva, l’uomo nei vestiti da donna diventa ridicolo, si abbassa. Non è uno scambio alla pari perché il binarismo di genere presuppone anche la subordinazione di un genere all’altro e se un uomo si veste da donna perde il suo status privilegiato, perde la virilità, ovvero quella che gli dà accesso al suo status privilegiato.

L’ingresso di note queer nel mondo della moda potrebbe favorire rappresentazioni più varie e meno stereotipate, ma nello stesso tempo queste rischiano di rimanere imbrigliate nelle maglie del mercato e del profitto con il conseguente rischio di normalizzare, di porre limiti e confini, di stabilire quanto si può concedere e quanto deve continuare ad essere “strano”, “ridicolo”,”patologico”. Elementi potenzialmente rivoluzionari, come il superamento del binarismo eteronormativo, vengono edulcorati e concessi a piccole dosi controllate. I pantaloni per lei vanno bene, fanno tanto Marlene Dietrich, ma gonna e ballerine per lui rischiano di essere un po’ ridicoli.

L’uomo ha bisogno di equilibrio, dice Armani, io dico che questo equilibrio l’uomo può trovarlo su un tacco 12, liberandosi delle sovrastrutture sulla virilità e dell’obbligo di “non chiedere mai”.

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