Torno ad analizzare un articolo che parla di maternità, con un’importante precisazione.
Sono madre. Sono diventata mamma due volte e tutte e due le volte la mia gravidanza è stata desideratissima.
I miei figli non sono ancora così grandi da essermi dimenticata il modo in cui ho vissuto la loro attesa e dunque, nell’analizzare il pezzo linkato ho dentro di me consapevolezza ed esperienza diretta, anzi, due esperienze dirette.
L’articolo, di Silvia Vegetti Finzi, apparso su “La ventisettesima ora” blog “rosa” del Corriere è di oggi e si intitola “Non sappiamo più diventare madri”, un bellissimo inizio molto delicato ed empatico, atto a far sentire inadeguate le mamme di oggi e di ieri, le mamme in attesa e le donne che vorrebbero essere mamme.
In generale, il pezzo è abbastanza superficiale e ricco di generalizzazioni:
Viviamo una fase di sordità psichica rispetto al corpo che è anche una perdita d’identità, di integrità, di conoscenza di noi. Dobbiamo chiedere a un test di gravidanza esterno quello che dovremmo ben sapere da noi, senza aver bisogno né di un’informazione né di una conferma.
Il primo “sintomo” di una gravidanza è l’assenza del ciclo mestruale, normale nella grandissima parte delle gravidanze, ma possibile anche in altri casi. Così come sono possibili perdite di sangue simili a quelle mestruali anche in presenza di gravidanza. E’ possibile anche che una gravidanza avvenga per distrazione, perché si rompe un preservativo o perché ci si scorda la pillola, insomma… le variabili sono così tante che fare il test di gravidanza per avere la certezza di essere incinte, secondo me, più che indice di una perdita di consapevolezza e di conoscenza di noi, è un segno di maturità e responsabilità, o, per lo meno, un metodo certo ed affidabile di conoscere il proprio stato.
Personalmente, in entrambe le due gravidanze, ero consapevole fin dall’inizio di essere incinta, ma non per qualche strano, mistico, miracoloso messaggio del mio corpo, ma perché avevo un ritardo consistente nella comparsa delle mestruazioni e perché avevo avuto un rapporto sessuale non protetto durante i giorni fertili del ciclo. Se mi fosse capitata una gravidanza non programmata? Se il mio stato fosse stato frutto di una dimenticanza o di un incidente? In che modo avrei potuto sapere di essere incinta? In che modo avrei potuto avere la certezza del mio stato di gravidanza se non facendo un test?
Le donne dovrebbero sapere tutto della gravidanza e del parto. Invece tutto dev’essere appreso. Molti ginecologi dicono che le donne spesso fanno movimenti contrari all’efficienza dell’espulsione e del travaglio. C’è bisogno di un’ostetrica che stia vicino al corpo della donna per darle le indicazioni più appropriate su come fare.
La frase in neretto mi lascia abbastanza perplessa. Perché le donne dovrebbero sapere tutto della gravidanza? E come dovrebbero fare le donne a sapere tutto della gravidanza? Nelle scuole non si fa educazione sessuale, le ragazze e i ragazzi di oggi hanno ancora idee abbastanza confuse su quello che riguarda la sessualità, sui rischi che si corrono facendo del sesso non protetto. Le donne dovrebbero sapere tutto della gravidanza per scienza infusa? Perché posseggono un utero e delle ovaie? E allora, per estensione del concetto, noi tutti dovremmo essere dei cardiologi e conoscere ogni minimo particolare del funzionamento del cuore, visto che tutti lo abbiamo? Avere un corpo potenzialmente atto ad accogliere una gravidanza non ci rende necessariamente esperte in ogni aspetto della stessa. E, anche quando capita che una donna scelga di “ascoltare” il proprio corpo e i propri bisogni, ecco che il mercato e i media iniziano a bombardarla di consigli e suggerimenti su come comportarsi in gravidanza, su cosa fare e su cosa non fare, sullo sport da praticare e quello da non praticare, su come risultare belle e sexy anche in gravidanza, su come cancellare le smagliature, su cosa mangiare, come vestirsi… E quella donna, a meno che non abbia granitiche certezze e non sia piena di consapevolezza e/o di esperienza, inizia a dubitare di quello che sente e della legittimità di quello che lei pensa(va) essere giusto per lei, in quel periodo della sua vita. E poi ci sono donne curiose e donne meno curiose, donne che desiderano avere un dettagliato quadro di quello che avviene dentro di loro e donne che non sentono questo desiderio. Perché colpevolizzare le donne tout court senza porsi domande? Senza inquadrare le cose in un giusto contesto?
L’eccessiva medicalizzazione della gravidanza (e del parto) non è “colpa” della donna. Dietro ci stanno interessi economici dei medici e del mercato. Per forza capitano donne che, come dice l’autrice, “compiono movimenti contrari all’efficienza dell’espulsione e del travaglio e hanno bisogno di un’ostetrica che dica loro come fare”. La posizione “ginecologica” è innaturale, così come innaturale è l’immobilizzazione a letto della donna durante il parto e il travaglio. Ma sono misure che sono state introdotte dalla prassi ospedaliera, misure che hanno tolto gran parte dell’iniziativa e della libertà delle donne di trascorrere travaglio e parto nella modalità a loro più confacente e fisiologica.
La cosa più brutta è che Vegetti Finzi non solo colpevolizza le donne (non in grado di partorire in modo fisiologico) ma indica questo come una condizione generale delle donne.
Ancora una volta faccio appello alla mia esperienza e posso con sicurezza affermare che, lasciata libera di muovermi a mio piacere durante il travaglio e durante il parto, in tutte e due le occasioni, non solo non ho compiuto alcun movimento “sbagliato”, ma non ho neanche avuto bisogno di sentirmi dire niente.
Ma, anche se fosse stato il contrario… è una colpa? Devo iniziare la mia esperienza di madre sentendomi sbagliata perché ho avuto bisogno di qualche consiglio?
Voglio ricordare che partorire è un’esperienza intensa, fisicamente dolorosa e sconvolgente e che potenzialmente fa paura, anche se magari non per tutte è così. Si mettono in gioco sentimenti contrastanti, impulsi differenti. Le donne sono tutte diverse, per qualcuna diventa importante avere qualcuno di fiducia accanto che le sostenga, per altre no. Ma nessuna è migliore delle altre.
L’estraneità della donna rispetto al proprio corpo è aumentata con la modernità. Le bambine non giocano più con le bambole. La prima bambola oggi è la Barbie, una ragazza. Il famoso bambolotto che una volta le bambine si stringevano al petto con tutto il suo armamentario (il ciuccio, il lettino, una copertina) non esiste più. Oggi molte donne diventano madri senza aver mai stretto al petto un neonato, senza neanche mai averlo visto.
Tutte quelle sensazioni che un tempo nella vita di una donna erano quotidiane (il contatto pelle a pelle con il neonato, il suo profumo) non esistono più. Arriviamo all’esperienza fondamentale della gravidanza del tutto impreparate.
Mia figlia, leggendo quanto riportato, quando e se diventerà madre a sua volta, sarà una pessima madre. Non gioca con le bambole. Non ci ha mai giocato. Non le piacciono. Al massimo diventerà una veterinaria, dato che si porta in giro ovunque due tigri di peluche. Ha un fratello più grande, non l’ha mai visto quando era un neonato. E, anche se ha dei cugini più piccoli di lei, non ha mai potuto stringerli al petto quando erano neonati perché era a sua volta ancora molto piccola. Mi toccherà correre ai ripari e farle fare uno stage intensivo di maternità prima che arrivi del tutto impreparata all'”esperienza fondamentale” che è la gravidanza.
Io stessa non ricordo di aver avuto contatti ravvicinati con neonati prima di diventare madre a mia volta, eppure eccomi qui, sono mamma!
E quanta retorica! Quanta mistificazione in quell’attributo “fondamentale” riferito ad una gravidanza!
Innanzitutto, la gravidanza può un’esperienza fondamentale solo se si desiderano dei figli. Se non li si desiderano, invece che fondamentale, diventa un’esperienza potenzialmente difficile, dolorosa, persino da incubo, paurosa, della quale si faceva volentieri a meno.
Ma, già, le donne sono donne hanno un utero, la loro massima realizzazione come donne è diventare madri, come posso averlo dimenticato? Tutto quanto intorno a noi ci indica la maternità come connessa in modo automatico all’essere donna. Una donna senza figli è meno donna. E sono molti a pensare che una donna debba essere madre anche quando non lo vuole, cercando di ostacolare la sua autodeterminazione in materia di interruzione volontaria di gravidanza. Perché diventare madre è il nostro ruolo biologico, quello per il quale siamo state fatte e al quale non possiamo ribellarci, pena la perdita di femminilità.
Ciò che ci rende esseri umani non è la nostra biologia o la natura, ma la nostra capacità decisionale, il potere di incidere sulla nostra vita cambiandola, indirizzandola, guidandola in autonomia.
Identificare, per la donna, come punto fondamentale e imprescindibile, strettamente connesso con la sua stessa essenza, la maternità è un ridurre la persona a funzione biologica, a “natura”, uno sminuire e un delegittimare tutte le altre capacità, potenzialità, tensioni, tutti i progetti di una donna che non puntino alla maternità. E, per l’uomo, questa esaltazione del potenziale “ruolo” biologico di padre, naturale come il suo speculare femminile, non avviene, nel solito dualismo discriminatorio: donna=natura, uomo=cultura.
Servirebbe una educazione alla maternità anche perché non si è più sensibili al tema e spesso la dimensione intima e spirituale della gravidanza è inesistente.
Mi spaventa sentire le donne che hanno appena partorito dire: «Ho attraversato tutta la gravidanza come niente fosse». Quel «niente fosse» fa venire i brividi. Non solo perché durante la gravidanza il pensiero, la fantasia, l’immaginazione e il sogno preparano la futura relazione col figlio. Mi dispiace perché quella donna ha perso qualcosa di molto importante per la sua vita.
Dovremmo poter godere fino in fondo di questa esperienza che è anche spirituale.
Come dicevo, ho vissuto due gravidanze. La prima è stata molto intima e spirituale. Avevo un contatto immaginario con mio figlio ricchissimo. Uno sguardo perennemente rivolto a quello che mi figuravo stesse avvenendo dentro di me, una sorta di “dialogo di amorosi sensi” con lui, fin dal concepimento, un sorriso che illuminava ogni mio pensiero, sempre (tranne alla fine, nell’ultimo mese in cui, lo confesso, non sopportavo più il mio stato, il mio pancione e tutti i piccolissimi disturbi che comportava. Improvvisamente madre degenere?)
Alla fine invece diventa spesso un puro problema materiale: che cosa faccio, come mi organizzo, lo lascio al nido, lo lascio alla mia mamma.La gestione quotidiana prevarica su tutto. Dovremmo riacquistare spazi di ascolto e di relazione. Invece, subito dopo il parto, la stanza della puerpera viene invasa in modo rumoroso da fotografi, messaggini, fiori regali, selfie. C’è un frastuono che impedisce la cosa più importante, cioè il primo incontro della propria vita. Dovremmo proteggere le donne da questo assalto del rumore, dando loro un ambito di silenzio, di sacralità,proteggendo l’incontro della madre con il proprio figlio.
La mia seconda gravidanza, invece non ha avuto niente di spirituale. Nemmeno un’oncia di dimensione onirica. Ero, sì, preoccupata. Come farò con due bambini? Il primo era ancora molto piccolo. Riuscirò a cavarmela? Ad allattare il secondo (non ho saputo, fino al parto, che il mio secondo figlio era, in realtà, una bambina. Ero convintissima che fosse un altro maschietto) e intanto occuparmi del primo?
Perché le donne sono così preoccupate per il quotidiano durante la loro gravidanza? Cattive, cattive donne! Non ascoltare il vostro corpo! Non dialogate con il vostro bambino! Non lo rivestite di sogni e di immaginazioni!
E’ colpa vostra se non vi godete l’attesa…. certo non può essere colpa dei licenziamenti che si subiscono dopo la nascita del primo figlio. E non è nemmeno per via dell’immenso carico di lavoro famigliare e casalingo che ricade praticamente solo sulle vostre spalle, anche se i figli si fanno in due. E non è colpa delle discriminazioni nel mondo del lavoro, della retrocessione nelle mansioni, della carenza di reali sostegni per la famiglia. E nemmeno della mancanza di asili nido. E’ solo colpa vostra che non sapete più diventare madri.
Quanto alla dimensione sacra della maternità, ancora una volta si tratta di una mistificazione che non vale per tutte e che, oltretutto, non sempre si rivela un concetto positivo.
Tempo fa, Lipperini (sul suo diario di Facebook) diceva:
finché si inchiodano le donne alla sacralità del materno, non si fa un passo avanti che sia uno
Ed Enrica, in un suo vecchio post:
Mi spavento sempre un bel po’ quando trovo accostate le parole: femminile, sacro, maternità (…)
E’ l’utero a conferire al corpo delle donne sacralità e inviolabilità. In quanto donatrici di vita, “origine dell’umanità” le donne vanno amate, protette. (…)
Questo misticismo, quest’aurea di sacralità che circonda la maternità è una gabbia per le donne. L’immagine della donna portatrice di vita e garante della continuazione delle specie ha una grande forza simbolica. E sappiamo come i simboli agiscano prepotentemente nel plasmare verità, nell’orientare scelte, nel performare soggettività.
La natura ha concesso alla donna questo dono di mettere al mondo la vita. E quella donna che non lo sfrutta, butta al vento cotanto “potere”. Cattiva quella donna che ignora le potenzialità del suo utero!
In una bambina si vede già una potenziale madre. Un destino segnato. Ma perché il valore delle donne dovrebbe essere dipendente dalla capacità di procreare? Perché si separa ancora il “maschile” dal “femminile” dotando quest’ultimo di una potenza genitrice ancestrale capace di sopportare tutti i mali del mondo?
La maternità non ha niente di sacro, la maternità è una scelta
E infine, come poteva mancare la mistificazione per eccellenza del ruolo della madre?
La sola, unica persona in grado di fare il bene e il male, di segnare per sempre il destino del bambino che mette al mondo!
Che cosa accade in questo primo incontro? La madre, guardando il suo neonato, toccandolo, accogliendolo, gli dà un messaggio fondamentale. Vi siete mai chiesti perché tutti noi siamo sicuri di essere gli unici al mondo? Di essere sicuri che non c’è nessuno uguale a noi? Siamo miliardi sulla terra eppure siamo sicuri di essere unici, uguali solo a noi stessi, di non avere sosia, di non avere ombre. Della nostra unicità abbiamo un conforto di identità immediato. Chi ce lo dice che siamo unici, che siamo soli, che siamo incondizionatamente amati? La madre. E in quel momento accade proprio una fondazione di identità che poi si metterà a fuoco – come dire fotografi – per tutta la vita.
In quel momento è importantissimo che madre e figlio si guardino, si riconoscono.
Quando nasce una madre nasce un bambino e viceversa, quando nasce un bambino nasce una madre. Questa è la relazione fondamentale della nostra vita che deve essere protetta.
Senza questo riconoscimento noi non siamo niente.
Delegittimazione totale del ruolo paterno. Senza una madre che “riconosce” suo figlio, noi non siamo niente. La madre, solo lei ci dice che siamo incondizionatamente amati. Sempre e comunque. Granitico. Tanto granitico che mi sembrano ragionamenti dell’età della pietra.
Un pezzo, come dicevo, colpevolizzante e superficiale, che addossa alle donne “colpe”, che le fa sentire inadeguate, senza alcuna contestualizzazione, alcuna analisi approfondita, alcun interrogativo.
Mi si consenta una nota finale. Penso alle molte amiche madri adottive che ho e che non hanno vissuto l'”esperienza fondamentale” della gravidanza, né hanno potuto “riconoscere” i loro figli appena nati. Molte di loro, pur senza questa “sacralità” della maternità e pur senza questa esperienza sono madri, ma soprattutto donne, stupende lo stesso.
Per fortuna i commenti all’articolo sono tutti più o meno su questa linea.
Mi piacerebbe sapere cosa ne pensa Silvia Vegetti Finzi, se è madre. Come ha gestito lei il suo parto, la sua maternità. Che è una SCELTA ed è unica per ciascuna donna.
E colgo anche l’occasione per segnalarvi che il punto nascita dell’ospedale di Vipiteno, che è unico in Italia per la professionalità e l’avanguardia, che promuove l’autodeterminazione della DONNA durante il travaglio e il parto, che pone al centro dell’evento la mamma in quanto persona e il papà, in quanto CO-RESPONSABILE della famiglia, rischia di essere chiuso per una mera questione di numeri.
Questo è il rispetto di cui godono le donne, anche nel momento in cui, secondo questi mistici da 4 soldi, compirebbero “la missione” per cui esistono.
Decisamente, non è un paese per donne.