La liberazione di Silvia Romano tra misoginia, paternalismo e il solito giornalismo vergognoso

Dopo più di due mesi di notizie terribili scandite da inquietanti bollettini con la conta quotidiana di vittime, dopo scene a cui mai avremmo pensato di assistere, salme trasportate su mezzi militari, realtà distopiche caratterizzate da distanziamenti, continui ammonimenti urlati da: altoparlanti, forze dell’ordine e spot istituzionali, da mascherine e guanti, quarantene, restrizioni, angosce e tristezza, finalmente una ventata di positività ha travolto il nostro paese: Silvia Romano è finalmente stata liberata.

Partita come cooperante per prestare servizio e seguire un progetto della onlus Africa Milele,  Silvia Romano era Stata rapita 18 mesi fa in Kenya, nel villaggio di Chakama, a 80 chilometri da Malindi

“Sono stata forte” ha ammesso lei stessa. Nessuno di noi può lontanamente immaginare cosa significhi essere tenuta in ostaggio per un anno e mezzo dagli jihadisti di Al Shabaab, uno dei gruppi terroristici più efferati.

Sono bastati una manciata di minuti di gioia per la notizia della sua liberazione per riportarci al nostro tipico livello di belve inferocite con la bava alla bocca gocciolante odio e becero sessismo

C’era da aspettarselo, purtroppo. Chi ha buona memoria ricorderà Greta e Vanessa le due cooperanti rapite nel 2014 ad Aleppo e tutto quello che si scatenò su di loro, durante la loro prigionia ed in particolar modo quando furono liberate

 

Questi sono solo alcuni dei “complimenti” riservati alle due ragazze. Un’altra pagina della storia italiana che avremmo voluto cancellare, seppellire e che purtroppo abbiamo istantaneamente collegato alla notizia della liberazione di Silvia. E il timore che quell’ondata di odio tornasse nuovamente ovviamente non si è fatto attendere.

Ça va sans dire, la stampa non ha perso un solo secondo per scavare nella sua vita durante la prigionia, a cercare disperatamente qualche notizia succulenta da offrire al pubblico ludibrio, magari condita con qualche bel titolone, così, giusto per gettare un po’ di benzina sul fuoco, quel fuoco di odio e miseria che purtroppo alcuni giornali sanno bene come tenere in vita e alimentare

E mentre veicolavano notizie il più delle volte senza fondamenta e mai verificate, i click aumentavano notevolmente

Presunti matrimoni con carcerieri, prontamente smentiti dalla stessa cooperante.

Presunte cifre che avremmo pagato per liberarla. Come scrivono da Il Post:

I giornali danno per certo che l’Italia abbia pagato un riscatto, ma la cifra non è nota.  Ammonterebbe, scrivono oggi, a 1,5 o 2 milioni di euro, e non a 4 milioni come si diceva ieri. La Stampa precisa che è probabile «che altre quote siano state versate – nel corso della lunga detenzione della giovane – ad intermediari che hanno facilitato i contatti con i suoi sequestratori. Questo almeno è quanto trapelato dai servizi segreti somali.

 

Critiche su come fosse vestita, definendo il suo vestiario come “abiti islamici” quando in realtà si trattava di comunissimi abiti somali*. E cosa avrebbe dovuto indossare una donna rimasta prigioniera per 18 mesi esattamente in quella zona? Cosa avrebbe dovuto fare, farsi un giro in qualche maison di alta moda prima di atterrare in Italia?

Ma in un paese bigotto, reazionario, islamofobo, razzista e maschilista, sempre secondo la logica “+ odio = + click” far passare il suo vestiario come chiaro messaggio religioso e come sbeffeggio verso l’Italia tornava utile per creare sotto le varie notizie delle polemiche infinite.

Poi abbiamo avuto la tesi circa la sua presunta gravidanza, tesi avanzata poiché la ragazza, durante l’arrivo, avrebbe appoggiato una mano sulla pancia.

Insomma, in una paese malato di complottismo, di gravi disturbi psichiatrici e ossessioni, talmente tanto che qualsiasi elemento può diventare la prova inconfutabile dell’ultima tesi di qualche squilibrato, ci si erge anche a grandi psichiatri e conoscitori di sindromi altrui.

Sì, perché nel giro di poche ore, da esperti infettivologi e virologi specializzati in cura al plasma, sono diventati esperti negoziatori di rapimenti internazionali prima e psichiatri ferratissimi in Sindrome di Stoccolma dopo. Va da sé che non abbiano la minima conoscenza né le competenze per poterne neanche solo lontanamente disquisire, né avevano minimamente idea dell’esistenza della Sindrome di Stoccolma prima che qualche leghista sovranista da strapazzo non ne parlasse sulla sua bacheca spacciandola come analisi “che nessuno vi racconta”

Fiumi di editoriali circa la sua conversione religiosa, una scelta intima, personale o dettata dalla prigionia, ma che non dovrebbe riguardare nessuno di noi e su cui non avremmo dovuto spendere una sola parola

Potevamo poi farci mancare le prima pagine di Libero e il Giornale?

 

Che ingrata questa Silvia. Convertirsi all’Islam. Ed è anche sorridente e felice.

Poteva dircelo prima, così non l’avremmo liberata. Perché questo è fondamentalmente ciò che accade ad ogni donna. Meritevoli di rispetto e di aiuto solo se rispondono perfettamente a certi modelli, altrimenti via, rimani lì ché in fondo te la sei cercata.

Si sono sprecati i commenti con i soliti “viziatella”, “troia”, “amante dei talebani”, gli immancabili insulti misogini che fanno leva sulla sessualità della povera malcapitata con i soliti ridicoli giochetti di parole con doppi sensi imbarazzanti riferendosi alle misure di africani e arabi. Si direbbe che fascisti e sovranisti abbiano una singolare predilizione per questo argomento.

Ovviamente i deplorevoli commenti circa la condotta sessuale delle donne sono il chiaro segnale del livello di misoginia di una società, ma al di là di questo scontato dettaglio ciò che più ho trovato sconcertante sono i commenti di quelli che fingono di non essere come questi con la bava alla bocca. Quelli che fingono di essere più civili e umani, ma con toni paternalistici e patetici ti dicono “io non l’avrei fatta partire” o “così giovane e inesperta non ce l’avrei mandata”, riferendosi questa volta al Governo o al padre, qualche altra a un presunto marito.

Come se fosse un pacco e non un essere senziente.

Guarda caso le donne sono sempre troppo poco esperte e competenti per fare qualcosa —argomento preferito dai detrattori delle quote rosa, ad esempio. Ma Silvia Romano non è affatto una dilettante allo sbaraglio poiché questa esperienza per lei non era certamente la prima.

Quella di vedere le donne come oggetto di proprietà dello Stato, del padre prima e del marito poi,  fanciulle sempre bisognose del maschio maturo di turno o del valoroso soldato che le protegga, che cos’è questa se non la peggiore forma di maschilismo?

Qualsiasi donna si sottragga dall’immaginario collettivo del dover essere donna, qualsiasi si dimostri coraggiosa, porti avanti battaglie umanitarie anche a costo della propria vita, invece di essere apprezzata viene derisa, umiliata e perseguitata. Peggio ancora se queste donne lottano per ciò che gli estremisti di destra vorrebbero annientare: immigrati, consapevolezze su ambiente, capitalismo, parità di genere e diritti lgbtqi+. E’ quello che sta accadendo a Silvia Romano in queste ore, purtroppo, tanto che la Procura di Milano ha aperto un’inchiesta

Ed è esattamente quello che è successo negli ultimi mesi a giovani donne come Greta Thunberg e Carola Rackete.

La verità è solo una, le donne vanno tenute in casa ad aderire unicamente a due ruoli: oggetti sessuali o madri e mogli devote. E ovviamente le due figure non devono mai coincidere. Perché la dicotomia santa o puttana non l’abbiamo mai davvero lasciata alle spalle.

Sono undici le donne ammazzate durante il lockdown. Prese a botte, aggredite a coltellate, finite nel mirino di pistole e altre armi. Uccise nei peggiori dei modi, da uomini italiani, coloro che in queste ore dettano lezioni di emancipazione a Silvia Romano e alla sua scelta di convertirsi all’Islam, sottolineando il maschilismo e l’arretratezza dei musulmani. Avete sentito qualcuno di questi “eroi” e di questi giornalisti di destra spendere una sola parola per una di queste donne  e per gli uomini che le hanno ammazzate evitando “raptus di follia o gelosia” e continue alibi verso quest’ultimi?

 

 

*P.s. Più di qualcuno ci ha segnalato questo post in cui una donna somala precisava che l’abito indossato da Silvia Romano non fosse una tipica veste somala, ma simbolo di coercizione.