La donna con l’occhio nero

18 Giugno 2013

A Sassari realizzano un video per una campagna contro la violenza sulle donne. Si ripete un clichè  consolidato. Consolidato anche nella sua inefficacia, ma ormai diventato quasi l’unico modo in cui viene narrata visivamente la violenza sulle donne.
Sto parlando della donna con l’occhio nero.

imageLa donna con l’occhio nero e le sue varianti, donna con il volto tumefatto, con le mani davanti al viso, con il volto insanguinato, in lacrime, rappresentano l’iconografia tipica delle campagne contro la violenza sulle donne.

Scrive Giovanna Cosenza a questo proposito “È talmente ovvio, che ormai dovrebbero saperlo tutti, eppure – evidentemente – gli operatori sociali, le associazioni, le istituzioni che si occupano di violenza contro le donne e i consulenti che realizzano per loro queste campagne non l’hanno ancora capito. Dunque lo ripeto: non si combatte la violenza con immagini che la esprimono. Né si fanno uscire le donne dal ruolo di vittime se si insiste a rappresentarle come vittime.” (Fonte qui)

Rappresentate come vittime. Quei volti tristi e quelle ferite danno un’idea di rassegnazione, di passività, di persone bisognose di protezione, di soggetti deboli.
Il “sesso debole”.  Queste immagini alimentano lo stereotipo della maggiore debolezza delle donne e della loro conseguente subordinazione all’uomo forte.

In una sorta di estetizzazione della violenza il make up realizza ferite e cicatrici, come se la violenza fosse solo quella che si vede, come se fosse interesse solo di chi la subisce, non di chi la mette in atto.

In questa campagna sarda le protagoniste, come dice la regista, son le “donne della porta accanto”, ma solitamente i soggetti delle campagne “dall’occhio nero” sono ragazze giovani, belle, a tratti quasi ammiccanti, oggetti indifesi.

Imperativo di bellezza che non viene meno quando si parla di violenza, che non viene meno quando si parla di morte, come ci hanno insegnato le immagini che accompagnano le notizie di femminicidi.

Telefono Rosa; Una delle opere finaliste della campagna di informazione europea promossa da UNRIC, organismo delle Nazioni Unite; Consiglio dei Ministri; Segreteriato italiano degli studenti di Medicina

Le donne che subiscono violenza sono vittime di quella violenza, ma non sono vittime in quanto donne, lo status di vittima non annulla tutto il resto, per questo motivo un’iconografia che perpetua lo stereotipo della donna debole, di conseguenza vittima o potenziale tale, è dannosa in quanto mette in atto una sorta di circolo vizioso, una spirale della violenza dalla quale non se ne viene fuori.
L’immagine della donna con l’occhio nero non sensibilizza contro la violenza, ma rimanda a un immaginario di violenza, rafforzandolo.
Come può una donna alla visione dell’immagine di un volto tumefatto o di un corpo nascosto in un angolino buio, sentirsi forte e pronta a reagire?

Quelle immagini ci dicono questo:

La donna con l’occhio nero non è capace di scegliere da sola. Non può decidere quando e se diventare madre. I medici obiettori sceglieranno per lei.

La donna con l’occhio nero non può indossare minigonne, scollature, non può uscire da sola la sera, potrebbe essere pericoloso, è per il suo bene, è debole, va tutelata.

La donna con l’occhio nero è una poveretta, è lì che aspetta che qualcuno vada a salvarla, un principe azzurro, un governo machista e la spirale di violenza riparte.

La donna con l’occhio nero è un’immagine funzionale a chi vuole privarci della nostra autodeterminazione e nello stesso tempo far finta di impegnarsi per noi promuovendo inutili provvedimenti contro il femminicidio, ma niente che lavori sulla prevenzione della violenza, niente che si impegni a garantire l’indipendenza, in primo luogo economica, delle donne.

Le donne non vogliono essere rappresentate sempre e solo come vittime, questo non le aiuta. Le campagne contro la violenza non dovrebbero rivolgersi solo a loro, ma anche a chi quella violenza la agisce, è principalmente a questi attori che dovrebbero parlare.

Forti e autodeterminate, come appaiono le donne in questa campagna delle Frangette estreme, dove in chiave ironica e non passiva, in quell’ambiente domestico che spesso è la loro prigione, le donne si prendono una piccola e grande rivincita.

Senza nome

Queste sono le campagne contro la violenza che ci piacciono, quelle in cui veniamo rappresentate come forti e combattive, quelle che il circolo della violenza cercano di spezzarlo, promuovendo la nostra autodeterminazione.