La Convenzione di Istanbul compie 10 anni. Festeggiamo? No.

L’11 maggio 2011 veniva firmata la Convenzione di Istanbul diventata legge per lo Stato italiano nell’agosto di qualche anno dopo.

La vogliamo celebrare, prendendo spunto da questo articolo, a firma della Senatrice Valeria Valente, Presidente della Commissione d’inchiesta sul Femminicidio in Senato.

Vogliamo dire subito che non siamo molto convinte che le parole e il lavoro della politica (anche della Senatrice Valente, dunque) saranno seguite da azioni vere e concrete, perché da sempre assistiamo ad una roboante propaganda su questo tema che non porta a nessun cambiamento sostanziale di paradigma. Gli esempi di come le parole delle politiche e dei politici siano quasi sempre parole di propaganda li abbiamo sotto gli occhi praticamente ogni giorno, ma ci piace ricordare che, dopo la presentazione al Senato del (defunto?) ddl Pillon avvenuta nell’estate del 2018, la prima presa di posizione politica da parte anche della Senatrice Valente, è avvenuta solo nel febbraio del 2019, dopo che migliaia di donne si erano già mobilitate, dopo che le Associazioni femminili e femministe avevano già scritto decine di contestazioni, protestato in molte sedi, sollevato dubbi e perplessità per il grave attentato che quella sciagurata proposta di legge avrebbe portato nella protezione delle donne vittime di violenza, ma anche di tutte coloro che non la subivano.

Quando il tema è diventato “caldo” e potenziale fonte di captatio benevolentiae, allora la nostra cara politica ha fatto suo il tema, ma solo a parole, purtroppo, perché, nel cassetto o no il ddl Pillon, nei Tribunali civili e penali per le donne che si separano, dopo ver denunciato violenza o averla in qualche modo subita, la musica non è cambiata per niente. Ma su questo torneremo più avanti.

L’articolo citato, prende in esame le famose 4 P previste nella Convenzione: prevenzione, protezione e sostegno delle vittime, perseguimento dei colpevoli, politiche integrate.

La Senatrice Valente dice che l’Italia si è concentrata sul terzo punto e, a tal proposito, cita la legge sul cd “codice rosso”, dei cui effetti positivi noi non siamo molto convinte, perché scritta senza prevedere alcuna copertura di bilancio in nessuno dei suoi punti chiavi, in primis la formazione di tutti gli attori coinvolti quando una donna sporge querela.

Cito:

Ma il fronte su cui siamo più indietro è di sicuro quello della prevenzione, unito a quello della necessità di prevedere politiche integrate. La violenza contro le donne, dice la Convenzione, si combatte perseguendo la parità di genere, coltivando l’autonomia e l’autodeterminazione. Quindi sono due a mio avviso le chiavi di volta: il lavoro e la cultura.

Sull’occupazione femminile molto ci aspettiamo dal Recovery Fund, che abbiamo vincolato a un’azione trasversale di immissione nel mondo del lavoro delle competenze e dei talenti delle donne e delle ragazze, soprattutto al Sud, ma non solo, e in tutti i settori. Serve poi una vera e propria rivoluzione culturale, la promozione di un nuovo e comune sentire, di un nuovo e condiviso modo di leggere la violenza maschile contro le donne. Un canale prezioso e insostituibile può e deve essere l’Università, principale agenzia educativa del nostro sistema.

Come abbiamo indicato nella Conferenza nazionale che si è tenuta in Senato il 10 maggio con la rete accademica delle Università in rete contro la violenza sulle donne (Unire), occorre formare magistrati, avvocati, medici, ma anche insegnanti, comunicatori, assistenti sociali, psicologi per arrivare a riconoscere la violenza, a fermarla, e ad evitare che le donne siano, come troppo spesso ancora accade, incolpate finanche della violenza che subiscono, mentre  si tende a giustificare o sottovalutare il comportamento dell’uomo violento.

Tutto il sistema universitario, a partire da sperimentazioni progetti e buone prassi già diffuse, che ci sono state magistralmente raccontate in Senato alla presenza di ben quattro ministre di questo governo, può fare un ulteriore salto di qualità rendendo questo sforzo sistemico e strutturale pur nel pieno rispetto dell’autonomia didattica a esso riconosciuta.

Sono tutte belle parole, certo, ma, perdonateci, non riusciamo ad avere fiducia. Non ci vediamo niente più che pura propaganda.

Dice bene la Senatrice, quando afferma che si deve intervenire su lavoro e cultura, ma, in dieci anni, cosa è stato fatto?

Se guardiamo solo l’ultimo biennio, aggravato dalla pandemia, ci sembra proprio che il lavoro femminile sia fra gli ultimi dei pensieri dei nostri politici. Numerosissimi sono stati gli studi e le statistiche cha abbiamo anche pubblicato sulla nostra pagina FB che dimostrano quanto la pandemia abbia danneggiato soprattutto le donne e la loro situazione economica a lavorativa. Se si agisce in qualche modo, lo si fa solo con una logica emergenziale, senza mai cambiare profondamente le strutture che rendono difficoltosi l’ingresso e il permanere delle donne nel mercato del lavoro.

Un nodo cruciale è ovviamente la scuola. Dimenticata per tutta la pandemia, nessun intervento strutturale è stato messo in piedi per garantire una frequenza in sicurezza per nessuna fascia di età. Tra didattica a distanza al 50% per le superiori, didattica integrata per i bambini più piccoli, focolai, quarantene, lezioni svolte a finestre aperte in pieno inverno, studenti obbligati a stare al banco tutto il tempo scolastico, azzerata la socialità di bambini e adolescenti, le famiglie italiane, ma soprattutto le donne, cui viene ancora oggi deputata la stragrande maggioranza dei compiti relativi alla crescita e all’educazione dei figli, sono in enorme difficoltà.

Ma vogliamo parlare della Conferenza tenuta al Senato il 10 maggio? ll video che abbiamo linkato è lungo, ma l’abbiamo seguito tutto. Belle, bellissime, pompose parole. Bellissime. Ma, e adesso spieghiamo perché, abbiamo avuto l’orticaria quasi tutto il tempo.

Due sono i punti sui quali vogliamo focalizzarci:

  • la presenza della rete UnIRE
  • il  discorso della Ministra Cartabia.

Invitiamo chi ci legge a cliccare il link che riguarda il network UnIRE per capire meglio di cosa si tratta, ma citiamo dal sito:

UN.I.RE (UNiversità In REte contro la violenza di genere) nasce come network composto da nove università (Cattolica del Sacro Cuore di Milano, Calabria, Foggia, Milano Statale, Padova, Trento, Trieste, Osservatorio Interuniversitario sul Genere, Parità e Opportunità  di Roma Tre, Fondazione Ca’ Granda-Policlinico di Milano), con Milano-Bicocca come capofila, e coordinato dalla Prof. Marina Calloni. Il network si rivolgerà a tutte le università italiane e alle reti universitarie europee già esistenti.

Obiettivo del progetto è l’attuazione della “Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e contrasto alla violenza contro le donne e la violenza domestica” nelle parti dedicate alla formazione, alla ricerca, alla raccolta dati e alla sensibilizzazione della società verso una cultura del rispetto delle identità di genere.

Tempo fa, abbiamo partecipato ad una Giornata di studio intitolata “Il mondo rosa e il mondo azzurro: dagli stereotipi alla violenza di genere”  c/o Dipartimento di psicologia – facoltà di psicologia. Università Cattolica – Milano (evento on line per la pandemia), e tra le relatrici c’era anche la Professoressa Calloni, di UnIRE.

Ci spiace moltissimo doverlo dire, ma, dopo pochi mesi la nostra partecipazione a quella Giornata di Studi, abbiamo scoperto che l’Università Cattolica del Sacro Cuore (che fa parte del network UnIRE) ha stretto una convenzione per stage e tirocini di laureandi/e e laureati/e, con un’Associazione milanese i cui membri e fondatori negano esista la violenza contro le donne come espressione di una differenza di potere tra donne e uomini, negano che esista una matrice culturale e storica della violenza maschile contro le donne, sostengono che non vi sia una specificità di questo tipo di violenza, mettono sullo stesso piano ogni forma di violenza, e soprattutto, sono sostenitori della fandonia giuridica della alienazione parentale.

Abbiamo subito scritto alla Rete e alle varie sedi dell’Università Cattolica, ma la risposta è stata deludente, laddove una risposta ci sia stata.

Buongiorno.

La sua richiesta non è rivolta al destinatario corretto, perchè il progetto UNIRE è guidato dall’Università di Milano-Bicocca.
L’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano è partner tramite il Dipartimento di Psicologia e nella fattispecie nelle persone della Prof. Pxxxxx e la Dr.ssa Syyyyyyy. Dopo la cessazione dall’incarico della Prof. Pxxxxx, stiamo verificando se ci siano ancora le condizioni per proseguire la partnership, ovvero se si siano docenti interessati al tema della lotta alla violenza di genere.
Cordiali saluti
D.B.
Coordinamento Progetto UNIRE
Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale – Università degli Studi di Milano-Bicocca
E quindi, le parole della Senatrice Valente, sia in quel convegno al Senato, sia nel pezzo dell’Huffington Post linkato all’inizio, per noi non hanno alcun valore o significato.
Marina Calloni
E vogliamo parlare del fatto che, UnIRE o meno, nelle Università italiane si continuano a formare psicologi e psicologhe forensi che poi dichiarano una guerra feroce contro le madri che si separano e cercano di proteggere i figli, tenendoli lontani dall’ex partner violento, con la  bufala scientifica della alienazione parentale?
E qui veniamo al discorso della Ministra Cartabia, titolare del dicastero della Giustizia che, tra le tante parole pronunciate, ha auspicato un maggior coordinamento tra Tribunali Civili e Penali riconoscendo che, ebbene sì, abbiamo un problema, E questo grandissimo problema si chiama “pregiudizio antifemminile”, “pregiudizio contro le donne”, contro le madri, si chiama “patria potestà”, si chiama “nazismo” e lo diciamo a ragion veduta, perché, proprio ieri (finalmente!), con una sentenza che speriamo faccia storia, precedente, fondamento per ogni tipo di giudizio di ogni ordine e grado (anche presso il Tribunale per i Minorenni), la Corte di Cassazione ha emesso un’ordinanza in cui afferma che la PAS è come una teoria nazista.
Stavolta la Cassazione, con un’ordinanza, si pronuncia per annullare un decreto della Corte d’Appello di Venezia del dicembre 2019 che stabiliva l’affido superesclusivo al papà di Ruth (il nome è di fantasia, ndr), la bimba tolta a soli 6 anni da Patricia (il nome è di fantasia, ndr) sulla base di un primo provvedimento del Tribunale di Treviso che ricalcava le conclusioni della seconda Ctu (Consulente tecnico d’ufficio, ndr), accusando la donna di essere una ‘madre malevola’. Un’ordinanza, la 13217 del 2021, che, per l’avvocato Antonio Voltaggio, legale di Patricia, “è un colpo quasi mortale alla pas, che viene paragonata a una teoria nazista”.
E i CTU vengono formati nelle Università. (UnIRE dove sei? Ministero dell’Istruzione dove sei? Senatrice Valente, dove sei? Ministra Cartabia dove sei?)

Ma la Cassazione (…) “va ancora oltre, definendo la pronuncia della Corte veneziana ‘espressione di una inammissibile valutazione di ‘tatertyp’ ovvero configurando una sorta di ‘colpa d’autore’ connessa alla postulata sindrome’. Questo punto dell’ordinanza (…)porta un serio e originale contributo sulla riflessione dei danni provocati dal postulato della pas. Infatti la ‘tatertyp’ (‘tipo di reo’) è un termine giuridico tedesco, che fa riferimento a una teoria nata in Germania nel 1940, in pieno periodo nazista, basata sull’idea che si può essere soggetti a punizione non tanto per il fatto commesso quanto piuttosto per il modo d’essere della persona. Dunque, nel caso specifico, la madre è stata stigmatizzata dalla Corte veneziana non in quanto ‘madre inadeguata’, ma per il suo carattere e per un pregiudizio sulle donne che trova il suo fondamento nella sindrome della pas, che ritiene le madri alienanti e cattive genitrici”.

La madre, per essere ancora più chiari, non ha potuto vedere la figlia per mesi e mesi, senza aver commesso alcun reato, ma solo per il fatto di essere stata una donna poco remissiva nei confronti dei ctu e del sistema giudiziario (…) Per finire, secondo la Cassazione, la Corte veneziana ‘ha palesemente trascurato le conseguenze sulla minore del c.d. super-affido al padre in ordine alla conseguente rilevante attenuazione dei rapporti con la madre in un momento così delicato per lo sviluppo fisio-psichico della bambina’”.

E quindi noi, no, non festeggiamo un bel niente.

Nessuna commemorazione per i dieci anni della Convenzione di Istanbul, perché è evidente che è sconosciuta a Deputati, Senatori, Ministri, Giudici, Avvocati, Psicologi.

Un accorato appello alla Senatrice Valente, che in quanto Presidente della Commissione d’Inchiesta sul femminicidio, ha il potere di farlo e alla Ministra Cartabia, affinché ci mostrino davvero che le loro non sono solo parole di propaganda: mandate un’Ispezione urgente in tutti i Tribunali in cui si decidono le sorti di bambini e madri vittime di violenza, perché la situazione è grave, gravissima, la Convenzione di Istanbul viene calpestata, ignorata e la donne vittime di violenza e i loro figli subisono violenza anche dalle Istituzioni.

A Pisa

A Roma (Laura, Ginevra, Giada)

Ad Assisi

A Venezia (Frida)

A Cuneo (Alma)

E moltissime altre donne, troppe, decisamente, come dice questo ottimo articolo.

Laura Massaro