Gasparri, bullismo e discriminazione ponderale. Quando le istituzioni insegnano l’hate speech

Pochi giorni fa, Maurizio Gasparri ha dato il via ad un diverbio su twitter attraverso un post in cui insultata il rapper Fedez. Senza entrare troppo nel merito delle motivazioni delle invettive, scaturite per un inno dell’artista al Movimento 5 Stelle, il Vicepresidente del Senato si è lanciato in una serie di tweet offensivi, più che per affrontarlo sul piano dei contenuti, per giudicare il suo aspetto fisico.

Il rapper è stato infatti definito un “coso dipinto” che “ispira pena” e che “si fa orrore e si nasconde a se stesso”. Non contento Gasparri ha continuato: “uno che tratta così il suo corpo chi sa come ha trattato il cervello, credo sia già una gioia non essere ridotti come lui”, probabilmente riferendosi ai numerosi tatuaggi di Fedez.

Maurizio Gasparri

 

I tweet di Gasparri già si commentano da soli, anche se risulta sempre più comune l’atteggiamento dei politici italiani di riversare frustrazione e puerili offese sui social network, soprattutto attraverso twitter.

Il peggio, purtroppo, doveva ancora arrivare.

Infatti, una fan di Fedez, una ragazzina di 13 anni, si è sentita di dire la sua sulle accuse anacronistiche portate aventi dal nostro Vicepresidente del Senato sull’aspetto fisico del rapper, attraverso un tweet che recitava: “caro @gasparripdl il “coso colorato” è una persona pulita e umile, a differenza tua che sei sporco e telo credi perché sei un deputato!!!”.

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E, forse proprio poiché si ritiene intoccabile, Gasparri non si è fatto attendere sfornando nuovamente insulti, questa volta indirizzati alla ragazzina e al suo aspetto fisico. Abbiamo così potuto leggere frasi, che qualcuno ha ironicamente fatto finta di scambiare per fake, quali “meno droga, più dieta, messa male”.

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Nonostante molt* abbiano richiesto delle scuse da parte del Vicepresidente del Senato nei confronti della ragazzina, egli non ha ritenuto vi siano validi motivi per porgerle. Commentando la disponibilità del rapper a sostenere le spese economiche di un’eventuale denuncia nei suoi confronti, dagli studi radiofonici del programma “Un giorno da pecora” ha minacciato di querelare la ragazzina, o i suoi genitori – in quanto minorenne – , mettendola sul piano di “chi ha cominciato prima”.

«Sono stato insultano e non vedo perché dovrei scusarmi. Dovrebbe leggere la cronologia, vedrà che sono stato insultato e ho risposto. Mi sembra una cosa normale». Queste le dichiarazioni rilasciate invece a “l’Espresso”.

E quando gli viene fatto notare che, pochi giorni fa, un ragazzino di quattordici anni è stato deriso per il suo aspetto fisico e poi seviziato da un gruppo di uomini che lo ha stuprato con un tubo ad aria compressa per via del suo peso, riducendolo in fin di vita, Gasparri risponde che “non c’entra nulla”, semplicemente “quello è un atto di violenza” e “non è paragonabile”, chiedendosi pure come mai vengano poste domande del genere.

Ed è proprio così che Maurizio Gasparri ci ricorda da vicino un qualsiasi bullo che si può incontrare tra i banchi di scuola. Perché, anche se lui non pare saperlo, il bullismo può essere agito sia attraverso aggressioni fisiche che insulti verbali e si basa proprio sull’asimmetria delle posizioni, essendo caratterizzato da uno squilibrio di potere tra chi lo compie e chi lo subisce. E non dimentichiamoci che si sta parlando di minacce da parte del Vicepresidente del Senato, un personaggio pubblico, un uomo sulla sessantina, ad una ragazzina di 13 che ha “osato” dire la sua sulle offese gratuite di Gasparri e quindi schernita perché “grassa”.

Sappiamo bene come il linguaggio sia importante e performativo all’interno della nostra società. Sostenere che il perpetrare di una cultura dell’intolleranza nei confronti di chi è “diverso da me” o dalla maggioranza delle persone – che sia per aspetto fisico, provenienza geografica, orientamento sessuale o ceto sociale – non è riconducibile agli atti di violenza che vengono commessi intenzionalmente a danni di terzi è una profonda lacuna, poiché attraverso le parole commentiamo e creiamo, allo stesso tempo, il mondo che ci circonda e possiamo decidere se perpetrare codici di tolleranza oppure di violenza.

Insulti verbali e minacce fisiche stanno infatti sullo stesso continuum del biasimo, della stigmatizzazione, dell’intolleranza e della violenza.

E’ per questo stesso meccanismo che se il linguaggio descrive un feroce atto di bullismo – quello del ragazzino di Napoli – come un “gioco finito male”, attraverso media mainstram e testate giornalistiche, ci si deve interrogare poi sulle conseguenze, perché è proprio di questa sovrapposizione di piani e della giustificazione che il bullismo si nutre.

Lo sa bene anche il papà della ragazzina, insegnante che lotta tutti i giorni contro il bullismo, cercando di insegnare ai suoi ragazzi a fare altrettanto, e dichiara che se Gasparri “è il primo a farlo – schernire in base all’aspetto fisico, ndr -, autorizza tutti a prendere in giro chi è sovrappeso».

Ed è così. Perché la logica del “Ma da Gasparri che cosa possiamo aspettarci?” di molti/e lettori/trici non è funzionale. Perché Maurizio Gasparri è un politico, come molti suoi colleghi che non perdono occasione di elargire insulti omofobi e razzisti attraverso i loro account social, è il Vicepresidente del Senato e non possiamo dimenticarcene come se non significasse nulla. Perché l’hate speech in Italia non è ancora riconosciuto, men che meno quello portato avanti dai nostri politici, e come abbiamo visto, ad esempio, la classe politica italiana è la più omofoba d’Europa e l’odio dimostrato dalle istituzioni nei confronti di quelle che vengono considerate delle minoranze influenza l’intera popolazione.

Ma a cosa può portare la stigmatizzazione perpetrata attraverso la violenza verbale? La ragazzina insultata da Gasparri era già stata vittima di atti di bullismo l’anno scorso: veniva derisa da alcuni compagni di scuola per il suo aspetto fisico e questo l’aveva portata a vivere in una condizione di isolamento. Furono gli insegnanti ad aiutarla a superare quella fase, mettendo in atto anche un lavoro collettivo per sensibilizzare i suoi compagni e spiegar loro che non dovevano schernirla.

Risulta però inutile il contrasto al bullismo da parte di insegnanti avvedut* e campagne ministeriali, che ci parlano – guarda un po’ – di bullismo verbale, conseguenze psicologiche e asimmetria della relazione, se sono le stesse istituzioni a insegnarci l’odio nei confronti di chi appare in un certo modo piuttosto che in un altro.

La discriminazione ponderale è basata sulla forma fisica di una persona, intesa anche in termini di peso, sia per eccesso che per difetto, ma molto più spesso per eccesso.

Sebbene in alcuni Paesi si stia cercando di contrastare il fenomeno con una legislazione idonea, così come succede per altre tipologie di discriminazione, il problema principale rimane la cultura che alimenta i pregiudizi nei confronti delle persone considerate sovrappeso, dalla pigrizia alla mancanza di interesse per la propria salute.

Ecco quindi che la stigmatizzazione viene giustificata con la colpevolizzazione della persona che non rientra in una determinata taglia.

E’ quello che è successo anche tra chi ha commentato la puntata de “Le Iene”, in cui è andata in onda un’intervista alla ragazzina seguita da un’altra, questa volta a Ferrara.

Senza entrare nel merito della discutibile scelta del personaggio intervistato, molti telespettatori si sono sentiti in diritto di ribadire che la questione deve essere considerata anche da un punto di vista medico e non soltanto estetico, temendo che possano passare messaggi pro-obesità.

Non si capisce perché, ogni volta, sia solo e soltanto la salute delle persone considerate obese a interessare l’opinione pubblica. Il fatto che raramente sentiamo biasimo nei confronti di altre situazioni, che nuocciono sì alla salute, fa presupporre che quella contro l’obesità sia piuttosto un’insofferenza sociale all’immagine di corpi considerati “non conformi”.

E allora, mentre si organizzano incontri per capire come combattere il bullismo a scuola e tutte le discriminazioni che lo alimentano, noi teniamoci i nostri Gasparri a insegnarci “dall’altro” l’hate speech e l’intolleranza.