Fatevi una risata. La comicità cacca-pipì vi seppellirà

L’8marzo,  “Giornata internazionale della donna” , su twitter circolava  l’hashtag #Noncontacomefemminicidio.

Come scrivono da Squer

Per quanto sia necessario liberare la discussione di tutti i giorni da ogni tabù legato alla possibilità di scherzare, o meno, su un certo tipo di argomento, perché è lì che spesso si rintracciano davvero i pregiudizi e le chiusure mentali, è però altrettanto vero che la libertà di espressione deve essere accompagnata da due fattori indispensabili: la presenza di senso e responsabilità in ciò che viene detto. Non si tratta di approcciare all’umorismo con buonismo, tutt’altro. Anzi, si può ben rendere la cosa citando proprio uno dei maggiori, forse il più bravo uomo di satira in Italia (anche se ora fuori dalle luci dalla ribalta): Daniele Luttazzi.
Il quale, da vero cultore della materia, in uno dei suoi tanti scritti spiegò: “La satira è nobile perché il suo bersaglio (il potere e le sue declinazioni oppressive) merita di essere attaccato. È questo principio a rendere disgustoso e fascistoide, invece [..] il dileggio verso chi ha subito un torto [..] Il potere usa il ridicolo, il dileggio e lo sfottò per aumentare il conformismo generale.

In questo caso chi era il “potere” da attaccare? Questo genere di comicità fa in qualche modo riflettere? Mette in cattiva luce chi il torto l’ha inflitto e non chi l’ha subito?

No, oseremmo dire, esattamente il contrario. Questa comicità non solo non mette in discussione quella cultura che spinge un uomo ad uccidere una donna ma la banalizza talmente tanto quasi da rendere il tutto un gioco, un gesto innocuo.

noncontafemminicidio

Da quando si è formato il nuovo governo Renzi l’attenzione non si è spostata sulle proposte e sulle promesse fatte dalla nuova formazione, sulle emergenze da affrontare quanto prima, non si sono fatte analisi politiche costruttive ma l’attenzione si è incentrata quasi unicamente sull’avvenenza fisica di una delle ministre : Maria Elena Boschi.

I giornali hanno ripreso:  il suo fondoschiena -mentre piegata era intenta a firmare- da tutte le angolature, i piedi, i  capelli, gli occhi e l’abbigliamento. In queste settimane, più che mai,  la stampa italiana ha dato il peggio di sè,  dimostrando più che mai di essere fondamentalmente voyeuristica.

Ma la cosa che più ci ha lasciato perplesse è la comicità mediocre e sessista che si è andata a scatenare su Boschi.

Le danze sono state aperte da uno degli inviati de “Le Iene”, Enrico Lucci, che intervistando la neo ministra ha dato luogo ad un dialogo basato unicamente su pesanti e volgari commenti circa il suo aspetto estetico con allusioni e doppi sensi a sfondo sessuale

boschi-lucci

Riportiamo dal sito di Gad Lerner

Enrico Lucci: “A Maria E’, sei una figa strepitosa!“.

Maria Elena Boschi: “Oggi… dai. Oggi lasciami…”.

Lucci: “Ma perché ti hanno messa proprio ai rapporti con il Parlamento?“.

Boschi: “Buongiorno…”.

Lucci: “… ai rapporti con i membri del Parlamento? Come pensi di cavartela?”.

Boschi(gentilmente): “Adesso basta…”.

Lucci: “Ci hai ragione! Oggi è una cosa…”.

Boschi“… sei esagerato”.

Lucci (guardandole i fianchi): “… una cosa esagerata! La sua forza attrattiva… Però te posso fa’ i miei complimenti?”

  1. “Grazie”.

Lucci:  “Sei una stra-fi-ga!”.

La domanda ora è : Lucci si comporta nella stessa identica maniera anche con altri personaggi?

Conosciamo perfettamente lo stile di Enrico Lucci e le sue interviste sopra le righe, ma in questa intervista la diretta interessata non veniva sbeffeggiata per delle esternazioni poco piacevoli, per la sua incompetenza, per qualche gaffe in particolare ma solo e unicamente per il suo aspetto fisico, il tutto condito con squallidi doppi sensi.

Altra comicità che poco abbiamo gradito è stata la tanto discussa imitazione di Virginia Raffaele.

Musichetta che ricorda tanto i vecchi film erotici anni ’70, inquadrature ossessive sulla scollatura e sulle scarpe,  sguardo ammiccante, andamento buffo-seducente, capelli svolazzanti, smorfie con bocca esageratamente pronunciata e semiaperta. Particolare da non trascurare è che, questa imitazione, ricorda immediatamente quella che ha reso famosa Virginia Raffaele ovvero quella di Belen.

Cosa hanno in comune le due donne? Praticamente nulla, dall’aspetto fisico fino a quello comportamentale e infatti l’imitazione vuole soltanto riportare ad un’immagine di donna frivola, piacente, oca, vuota,  incompetente, il tutto rimanda all’idea che non avendo competenze e argomenti, in quanto belloccia e gatta morta, abbia sfruttato unicamente la sua avvenenza fisica -a quanto pare sua unica dote- per ottenere quella carica.

Le donne, quando sono oggetto di comicità, vengono sempre ricondotte alla sfera della sessualità. Sei carina, allora l’hai data a tutti. Non sei carina, sei “inchiavabile” , però almeno puoi dormire sonni tranquilli perché “tanto chi ti stupra?”. Così facendo si mettono le donne al loro posto.

Si è parlato tanto, in queste ultime settimane, di satira, umorismo, comicità, ironia.

E a noi è venuta in mente una frase di uno scrittore americano, Elwyn B. White: “Analizzare l’umorismo è come dissezionare una rana. Interessa a poche persone e la rana muore.”

È interessante questa frase, perché permette di cogliere due aspetti importanti sull’umorismo: la difficoltà di parlare di ciò che ci fa ridere e la sua diretta conseguenza, ovvero l’intoccabilità. Sull’umorismo non si discute. Non si tocca.

C’è solo un problema: l’intoccabilità non è mai una bella cosa.

È vero, è difficile analizzare l’umorismo. Alcuni (non troppi) lo hanno fatto. Bergson, Pirandello, Platone, per citarne alcuni. Le definizioni di cosa sia l’umorismo, la satira, l’ironia sono talmente tante e dai contorni così labili, da aver perduto, o quasi, la loro portata definitoria. Spesso tali definizioni si confondono tra loro. Noi scambiamo l’ironia con la satira, l’umorismo con la comicità, e così via.

E per questo motivo, per la loro ineffabilità, tendiamo a volte a definirli “in negativo”. Quando una cosa non ci fa ridere, perché magari urta la nostra sensibilità oppure la troviamo offensiva, tendiamo a dire “questa non è satira”, “questo non è umorismo”, come se fosse chiaro a tutti cosa realmente sia la satira o l’umorismo. In realtà è vero il contrario.

Si può provare a tracciare delle deboli linee definitorie. Per esempio, se teniamo confinata l’ironia in ambito letterario, possiamo definirla come una figura retorica con cui si dice una cosa ma è evidente che si pensa il contrario di essa e ciò provoca un effetto comico.

La comicità, ad esempio, la potremmo definire con le parole di Pirandello: “l’avvertimento del contrario”, ovvero la percezione che una data situazione è il contrario di come dovrebbe essere e questo provoca in noi il riso.

Forse il concetto di satira è, tra tutti, quello – apparentemente – più definibile, perché ha un contesto (quello sociale e soprattutto politico) e soprattutto ha un fine: la critica dissacrante a determinati aspetti della società. E per fare questo si serve dell’umorismo, dell’ironia, della comicità e del sarcasmo.

“La satira è nata per mettere il re in mutande” (Dario Fo).

“La satira è nobile perché il suo bersaglio (il potere e le sue declinazioni oppressive) merita di essere attaccato.” (Daniele Luttazzi)

Tuttavia, rimangono dei dubbi. Chi ci dice quali sono “i poteri forti”? Quali sono i soggetti “meritevoli” di essere bersaglio di satira? Il governo e i partiti di maggioranza? Solo?

Come abbiamo detto sopra, spesso se una determinata satira non ci piace tendiamo a dire “questa non è satira”. Tuttavia, in tal modo, si afferma implicitamente che la satira è intoccabile. La satira non si tocca (ovvero tutto si può perdonare in nome di essa). Quella che stai facendo non è satira. Ergo, io posso giudicarla.

E se invece anche la satira che non ci piace e ci offende fosse satira e fosse semplicemente una satira inaccettabile (ad esempio perché sessista, oppure omofoba o razzista)?

La satira, così come l’umorismo, sono forme di comunicazione, sono linguaggi. E questa comunicazione, in quanto tale, deve essere soggetta al medesimo vaglio di tutte le altre. Non esiste l’immunità.

Ronald de Sousa, filosofo contemporaneo canadese che si occupa di umorismo, in uno dei suoi libri ( “When is it Wrong to Laugh?” , 1987 ) cita questa battuta: “Margaret Troudeaut (ex moglie del primo ministro canadese Pierre Trudeau) fa visita alla squadra di hockey. Quando torna lamenta di essere stata vittima di uno stupro. Pio desiderio.”

Chi ride di questa battuta non può trovarla divertente a meno di non pensare che tutte le donne, in segreto, desiderino essere stuprate.

L’umorismo sessista incorpora convinzioni sessiste non per caso: il divertimento dipende proprio da tali convinzioni. Lo stesso discorso vale per l’umorismo razzista e quello omofobo.

Se io faccio una battuta razzista, comunico, attraverso un linguaggio umoristico, un pensiero razzista. Ma cosa succede nell’interlocutore? O lo trova divertente oppure tutt’al più non riderà e lascerà cadere la cosa. Pensiamo alle barzellette razziste. Non capita quasi mai che qualcuno le metta in dubbio o contraddica chi le racconta. Invece è più facile smentire le affermazioni. Il pubblico può ritenere che quanto l’oratore stia dicendo sia falso e quindi può fare domande, controbattere, etc…

Ma non è forse la stessa cosa? Fare affermazioni razziste e fare battute razziste è comunicare un pensiero razzista. E le battute razziste, tanto quanto le affermazioni, vanno messe in discussione e delegittimate. Ma in quanto razziste, non in quanto tradiscono la loro natura umoristica.

Possiamo ipotizzare che ci siano casi in cui chi fa battute razziste (oppure chi ride di tali battute), non nutra in realtà pensieri razzisti, ma lo faccia esclusivamente per far ridere. Magari perché punta sul meccanismo umoristico della battuta (la sorpresa rispetto alla premessa) oppure al contesto, buffo o comico nella quale viene inserita.

Tuttavia, chi agisce in questo modo è comunque da condannare in quanto è indifferente alla verità che afferma. Non si cura di promuovere un giudizio razzista o sessista. Chi fa battute razziste o sessiste contribuisce effettivamente al pregiudizio e non si preoccupa di quale danno la loro diffusione potrebbe causare.

Inserendo gli stereotipi all’interno di una cornice di gioco, si permette la loro estetizzazione e sottrazione, almeno per un po’, al giudizio morale. Un’affermazione diretta solleverebbe subito delle critiche, ma la versione esagerata di uno stereotipo, presentata in modo simpatico, probabilmente ci farà fare solo una risata.

La cornice di gioco che abbraccia queste forme di umorismo permette ai pregiudizi di entrare nella mente delle persone senza essere valutati.

Non è un caso che, durante gli anni 80, negli Stati Uniti alcuni studiosi iniziarono ad interrogarsi sul ruolo dell’umorismo quale “mezzo per tenere al loro posto gli afroamericani” . Si parlò a tale riguardo di “complicità dell’umorismo” (Joseph Boskin).

L’inevitabile confusione sui concetti di satira, comicità ed umorismo e la tendenza a non considerarli al pari di una qualsiasi altra forma di comunicazione hanno conseguenze pericolose. L’umorismo normalizza. Rende normale una discriminazione, in quanto “fatta per ridere”. L’umorismo banalizza. Molte battute sulle vittime di un torto rendono banale e quindi trascurabile il male che hanno sofferto. L’umorismo maschera. Rende meno chiaro un messaggio e perciò lo rende meno soggetto ad analisi.

Ci teniamo a precisare che la nostra non è una crociata contro l’umorismo, semplicemente vorremmo che tutte quelle situazioni in cui si normalizzano stereotipi, discriminazioni razziali, sessuali, ecc non venissero eternamente giustificate scrollando le spalle e affermando :”Era solo una battuta”.

Le battute, la satira, la comicità irriverente piacciono anche noi ma ci piacerebbe vedere più comici come loro:

Eddie IzzardEddie Izzard  e il suo anti-machismo: comico, cabarettista, attore, si esibisce truccato e vestito da donna durante i suoi spettacoli dove ha spiegato più volte che questo travestimento non ha niente a che fare con la sua sessualità, tantomeno fa parte “dello show”: semplicemente, gli piace vestirsi con abiti femminili e lo fa anche quando non è sul palco.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Margaret Cho, una comica queer

Margaret Cho

 

George Carlin: “I conservatori pro-life sono ossessionati dal feto, dal concepimento ai nove mesi, dopo di che non ti vogliono sentir George Carlinnominare, non ti danno niente, niente cure mediche niente assegni familiari, niente mensa scolastica, niente buoni pasto, niente welfare, niente! In età prenatale sei apposto, in età scolare sei fottuto! […] Quando cardinali e vescovi avranno sperimentato la loro prima gravidanza, le loro prime doglie, e avranno cresciuto un paio di bambini col salario minimo, allora sarò lieto di ascoltare cosa avranno da dire sull’aborto. Questi non sono a favore della vita, sapete cosa sono? Sono contro la donna! Semplicemente contro la donna! A loro non piacciono le donne. Credono che il ruolo principale della donna sia di fare da giumenta per lo Stato.

L’80% degli ovuli fecondati di una donna vengono rigettati ed espulsi dal suo corpo una volta al mese durante le mestruazioni, finiscono negli assorbenti ma sono comunque ovuli fecondati quindi quello che questi antiabortisti ci dicono è : che una donna che ha avuto più di un ciclo è una serial-killer”

Ellen DeGeneres

 

Insomma, ci piacerebbe ridere stimolate da una satira che sfati sul serio moralismi, cultura conservatrice, omofobia e razzismo e invece puntualmente ci invitano a farci una risata per “battute da caserma” e comicità cacca-pipì –sulle quali vorremmo stendere soltanto un tendone d’imbarazzo.

Eleonora e Fabiana