Sulla prevenzione del tumore al seno. “Dottoressa, ho sentito un nodulo sotto la doccia…”

alberta
di Alberta Ferrari
Chirurga senologa,
lavora in Senologia presso la
Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo di Pavia.
Su L’Espresso online gestisce il blog Ferite Vincenti.


…. Ho aspettato il ciclo ma non è sparito.
…. Ho cercato di non pensarci ma è ancora qui.
…. Mi è venuta in mente mia madre quando ero piccola e ho capito: ora tocca a me.
…. Mi sono sentita male pensando a mio figlio disabile.
…. Sono andata subito in Pronto Soccorso, l’angoscia era insostenibile!
…. Il mio medico mi ha chiesto un’eco ma il tempo d’attesa era eccessivo, così sono andata privatamente nel primo posto disponibile e lì hanno riso, tranquillizzandomi, cosa vuole che sia alla sua età….
…. L’ho fatto vedere al mio ginecologo che mi ha parlato di mastopatia.

Inizia spesso così, la storia. Frasi che sentiamo tutti i giorni noi senologhe che distribuiamo nuove diagnosi di tumore al seno in centri di riferimento (breast unit) quasi come alla catena di montaggio, con la differenza che ci si mette dentro un po’ di cuore e qualche volta uno strappo d’anima, in quel tempo sempre troppo piccolo per contenere e condividere un’impennata della vita di una donna come il cancro.

In questa NarrAzione Differente la paziente è fittizia, ma composta da puzzles di tante storie vere, dando a me, medico, il pretesto di correggere molti stereotipi sulla malattia.

…. Ma non si poteva prevenire?

Guardo “Rossella”, una 36enne concentrata fino a pochi giorni fa a cercare la sua prima gravidanza: sei mesi prima si era scrupolosamente sottoposta a un’ecografia mammaria, tutto bene. Oggi, invece che di stick positivi e tutine da bebè, siamo qui a parlare di cancro. Mi è bastato sentire il nodulo, vedere con l’ecografia un linfonodo scuro e tondo sotto l’ascella. Tolgo gli occhialini da lettura, mi concentro un attimo e poi guardo negli occhi la coppia seduta di fronte a me. Soprattutto lei, cui devo proporre un’agobiopsia subito. E’ paralizzata, sotto shock; il compagno disorientato, nervoso, stupito come se fosse capitato in un set cinematografico che non gli appartiene, dove non sa che ruolo gli compete.

Prevenire.
Si parla continuamente di prevenzione ma pochi spiegano chiaramente se si rifericono:

• alla prevenzione PRIMARIA, quella “vera” che si propone di impedire lo sviluppo della malattia (in gran parte inattuabile perché non se ne conoscono le cause; al momento possiamo solo modificare alcuni fattori di rischio noti)

• oppure ai controlli periodici che sono una forma di prevenzione SECONDARIA. In effetti sarebbe meglio in questo caso utilizzare il termine di di diagnosi precoce: l’obiettivo è cogliere il cancro all’inizio, quando le cure sono più efficaci e meno invasive, sulla base che il tumore nelle sue fasi precoci abbia poche (nulle, nelle forme in situ) possibilità di aver inviato cellule destinate a diventare metastasi.

Un’affermazione generalmente vera ma non applicabile a tutti i casi: perché negli ultimi anni abbiamo imparato che c’è cancro e cancro, anche al seno. Nonché donna e donna. Seno e seno. Sicchè oggi ci viene richiesto che l’intero approccio, dagli screening all’iter diagnostico, trattamento e follow-up sia il più possibile targeted, personalizzato.

Così, nonostante le ottime campagne di screening mammografico e anni di concentrazione sulla “prevenzione” con svariati autorevoli dicktat, la maggior parte dei tumori giunge ancora al clinico perché è stato palpato dalla donna.
Del resto nel 41% dei casi il cancro si sviluppa prima dei 50 anni, età in cui inizia lo screening mammografico (cui aderisce una variabile percentuale di donne che non supera il 70% anche nelle realtà più virtuose). Potremmo qui aprire il capitolo sulle controversie dello screening mammografico attualmente in corso, ma questo ci porterebbe lontano: magari in un altro post.


E prima dei 50? Generalmente dai 40 si consiglia una mammografia periodica, associata o meno a ecografia mammaria a seconda del tipo di ghiandola e di riscontro.
E prima dei 40? Se non è stata accertata una predisposizione genetica, non c’è alcuna evidenza scientifica a sostegno di un test diagnostico validato per la diagnosi precoce da proporre a tutte le giovani.
Alle under40 possiamo solo dire: siate consapevoli che il tumore può venire anche a voi.
Palpatevi, fate un controllo senologico verso i 30 anni e concordate con il/la senologo/a un approccio personalizzato.
Solo se c’è l’ipotesi di una predisposizione genetica è previsto un percorso specifico di prevenzione/sorveglianza ad hoc.


…. Ho pensato non è possibile, sono troppo giovane! L’ha detto anche l’”ecografo”!

Una lezione che le donne – ma anche molti medici – dovrebbero imparare è che il tumore al seno giovanile è infrequente ma possibile, anzi: secondo alcuni studi epidemiologici addirittura in aumento. L’incidenza sembrerebbe crescere dello 0,8-0,9% ogni anno tra i 30 e i 39 anni; nelle giovanissime (20-29 anni) l’aumento sarebbe ancora più significativo: 3% all’anno.
Nella donna giovane la ghiandola è densa e prevale la patologia benigna: ecco perché è fondamentale rivolgersi subito a una alla breast unit specializzata, affinchè l’esperienza multidisciplinare sulla mammella renda meno probabile che un nodulo venga sottovalutato, ritardandone la diagnosi. In una giovane la diagnosi tempestiva è importante, perché l’età giovanile è un fattore indipendente di cattiva prognosi in sé. E’ bene quindi agire in modo tempestivo.

Purtroppo l’Italia, che per legge (Parlamento Europeo e Italiano) dovrebbe assicurare una rete di breast unit con specifici requisiti di qualità su tutto il territorio nazionale entro il 2016, sta dando segnali di ritardo. E poche donne lo sanno.
Un elenco di questi centri si può trovare qui, a cura di SenoNetwork.

…. Dottoressa, 6 mesi fa non c’era niente! Come è possibile?

I tumori al seno sono molto differenti tra loro. In giovane età e nelle donne a rischio genetico prevalgono forme biologicamente aggressive, a crescita veloce: possono realmente svilupparsi e comparire in pochi mesi.

…. Il mio tumore è dovuto a una mutazione genetica? La mamma è morta di tumore al seno quando avevo 15 anni, mia zia si è ammalata un mese fa di carcinoma alle ovaie. Nessuno mi ha detto che rischiavo anch’io, solo di fare un’ecografia all’anno….

Rossella, in Italia il tumore eredo-familiare è ancora conosciuto e gestito correttamente solo in pochi centri. Mancano anche politiche sanitarie specifiche. Solo dopo l’outing di Angelina Jolie il ministero della Sanità ha iniziato a interessarsene e medici e donne sono diventati più consapevoli. Nella maggior parte dei casi il tumore al seno non è “ereditario”, deriva da interazioni tra fattori genetici e ambientali su cui bisogna fare ancora molta ricerca.
Nel suo caso però è verosimile che il tumore si sia sviluppato a causa di una mutazione genetica specifica, chiamata BRCA1 o 2. Lei ha ben 3 indicazioni per essere avviata al test genetico: la forte familiarità per carcinoma mammario e ovarico, l’età giovanile in cui si è sviluppato il suo tumore, il tipo di tumore che oggi conosciamo grazie alla biopsia: è un “triplo negativo”, molto più frequente nelle donne con mutazione rispetto alle altre pazienti.


…. Ma l’abbiamo preso in tempo? Con la diagnosi precoce c’è scritto ovunque che si guarisce nel 98% dei casi!!

Mi tornano in mente titoli cubitali di giornali e campagne di prevenzione dove effettivamente si promette questo alle donne da vent’anni. Il messaggio subliminare che ne deriva è che sia colpa loro se poi non rientrano in questa felice percentuale di “guarigione” a 5 anni. Mi limito a dire a Rossella che il suo caso non è precocissimo: “T2N1” (nodulo di 2,8 cm e almeno un linfonodo positivo), ma soprattutto le sue caratteristiche biologiche rendono difficile incasellarlo in quella percentuale idilliaca, un luogo dell’anima dove tutte (quasi) guariscono. Però possiamo curarlo e darle le massime chances di vivere “libera da malattia”, magari tutta la vita. Il suo carcinoma è molto sensibile alla chemioterapia, come le dirà tra poco l’oncologa. Abbiamo discusso il caso e deciso di proporle di iniziare con una chemioterapia neoadiuvante, ovvero effettuata prima dell’intervento: il nodulo potrebbe anche sparire.

…. La chemioterapia?!??? Cadranno i capelli?

Sì.

E poi? Potremo conservare il seno?

Tecnicamente sì, il nodulo diventerà certamente piccolo e forse sparirà del tutto così come il linfonodo. Allora sarà pronto il test genetico e sulla base dell’esito discuteremo dell’opzione della chirurgia conservativa o dell’opportunità (in caso di test BRCA positivo) di effettuare una mastectomia bilaterale, magari conservando l’areola-capezzolo di entrambi i seni. Ma questo è un discorso da affrontare dopo il test e da capire attraverso un percorso a tappe. Ne riparliamo strada facendo, intanto le lascio un opuscolo informativo da leggere con calma. Adesso le abbiamo prenotato l’incontro con l’oncologa, a cui può chiedere tutto sulla chemio, e se lo desidera anche con la psicologa che segue tutte le donne della nostra breast unit.

Rossella si allontana incerta. Oltre allo shock della malattia si sente tradita.
Lei si controllava, si sentiva al sicuro, pensava che se fosse capitato avrebbe avuto trattamenti “leggeri”, “non invasivi” e garanzia di guarigione.


Inizia a sentire una rabbia che la invade come una marea montante, ma non sa con chi prendersela. Il suo compagno, smarrito, vorrebbe confortarla ma non trova le parole. Ora sono concentrati sulla chemio rossa con un senso di estraneità come se ancora non accettassero che quella sia davvero la loro storia. Ecco, l’oncologa dice che può congelare il tessuto ovarico: non sono perse del tutto le speranze del sogno da cui tanto bruscamente si sono svegliati: progettare un figlio. Non sa se avrà ancora il desiderio di provarci, dopo; ma è una piccola luce che le fa intravedere la possibilità di un futuro.

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POST SCRIPTUM

Nuove diagnosi di tumori al seno e mortalità specifica ogni anno in Italia:
2003: incidenza 33-35.000. Decessi: 11.000.
2008 : incidenza 38.000. Decessi: 11.000
2014: incidenza 48.000. Decessi 12.000.

Le motivazioni di questi numeri sono complesse e vanno analizzate con lucidità, ma un dato è molto chiaro: l’obiettivo di debellare il tumore al seno appare ancora lontano.
Una donna su 8 svilupperà la malattia nella vita, con la preoccupazione crescente dell’aumento in età giovanile.

E’ tempo che si riveda la strategia della lotta contro il tumore al seno e soprattutto che le donne, emancipate da un’imbonizione propinata da anni dall’establishment medico, chiedano a gran voce che l’emergenza sanitaria del carcinoma mammario riceva un’adeguata attenzione, provvedimenti di politica sanitaria e ricerca sovvenzionata dalle risorse pubbliche indipendenti.

Perché se le Urologie per i problemi degli uomini sono state strutturate da decenni, le Senologie vengono tuttora boicottate e questo induce ad amare riflessioni.
E’ tempo che le associazioni femminili diventino consapevoli di questa NarraZione Differente sul tumore al seno e intervengano per farsi advocacy dei loro diritti, in nome della malattia oncologica che compare al primo posto per incidenza e mortalità in ogni fascia d’età della vita di una donna.

10 Risposte a “Sulla prevenzione del tumore al seno. “Dottoressa, ho sentito un nodulo sotto la doccia…””

  1. Dottoressa, pezzo splendido e soprattutto utile. Però mi permetta una correzione, come statistico (è il mio mestiere): “Una donna su 8 svilupperà la malattia nella vita” non è assolutamente vero. Ovviamente non è sua la responsabilità di questo errore: è infatti un’affermazione che gira da un sacco di tempo e che ho ritrovato anche in un documento ufficiale della COmmissione Sanità del Senato, probabilmente prodotta da una interpretazione sbagliata di qualche studio epidemiologico. Ha un fondamento tecnico, ma vuol dire una cosa completamente diversa.

    Si tratta di un indicatore statistico che non ha alcun potere predittivo e deriva dall’applicazione di modelli matematici della cui capacità di rappresentare la realtà del cancro al seno non c’è alcuna evidenza. Ma, soprattutto, è calcolato sotto ipotesi ipersemplificatrici (a cominciare da quella che non esistano altre cause di morte, se non ricordo male: condizione che renderebbe quasi inevitabile sviluppare la malattia, prima o poi).

    Rinvio a questo link, che potrebbe forse chiarire una volta per tutte il senso dei numeri che vanno circolando e che spesso sono causa di ansia e timori.
    http://www.registri-tumori.it/PDF/Numeri/05_Rub_ITA-USA.pdf

    Estraggo il seguente virgolettato: “Nella tabella è presentato il numero teorico di soggetti fra i quali è ipotizzabile che sia diagnosticato un tumore nel corso della vita (0-84 anni). Il dato, basato sui più recenti dati di incidenza dell’Associazione italiana registri tumori e del SEER statunitense, è presentato per l’Italia e per gli Stati Uniti d’America, per i due sessi e per i principali tumori. Questo indicatore, noto come rischio cumulativo, esprime una probabilità squisitamente teorica, ma che riesce a quantificare in una forma comprensibile la diversa rilevanza dei tumori. La tabella mostra che in Italia un uomo ogni due e una donna ogni tre hanno la probabilità di ricevere una diagnosi tumorale nel corso della loro vita, e che questa probabilità riguarda un uomo ogni sei per il tumore della prostata, uno ogni otto per il tumore del polmone e una donna ogni otto per il tumore della mammella”.

    Se quell’indicatore avesse un vero potere predittivo, ci sarebbe di che impallidire: nel corso della vita la metà degli uomini e un terzo delle donne si ammalerebbero di un qualche tumore. In realtà si tratta di un calcolo utile soprattutto agli addetti ai lavori, a fini di confronto, più che altro. Ma, ripeto, non ha potere predittivo.

    La realtà, alla quale credo sia meglio attenersi, è quella dei dati di incidenza della malattia. Utilizzando i dati del registro nazionale dei tumori (http://www.tumori.net/, dell’Istituto Nazionale Tumori e dell’Istituto Nazionale di Sanità), si possono calcolare l’incidenza (numero di nuovi casi) del tumore della mammella in Italia, che in base a questi dati risulterebbe pari a 133 casi ogni 100.000 donne (0,13%); e la prevalenza (numero di donne viventi con tumore alla mammella) di 1.631 casi ogni 100.000 (1,6%). E’ oppportuno avvertire che i dati non sono completi, ma anche sottostimando l’incidenza non si arriverebbe certo alla folla di nuove donne malate che quell’indicatore farebbe presumere. Infatti, se fosse vero che una donna su 8 si ammalerà in futuro, avremmo un’incidenza del 12,5%: circa cento volte quella attuale. Direi un po’ troppo, anche ipotizzando per il futuro (ma speriamo di no) una maggiore diffusione della malattia.

    1. Gentile Maurizio, ben vengano i contributi che possano aiutare a stabilire la correttezza di un’informazione scientifica. Io non sono un’epidemiologia e pertanto sui numeri del cancro mi affido agli aggiornamenti AIRTUM-AIOM, fondati sui registri tumori (peraltro incompleti e penso che questa sarebbe una reale priorità di una LILT per esempio, invece della demenziale campagna di “sensibilizzazione” comparsa su youtube (“noi ci mettiamo le tette”, evabbè, non è stato un buon ottobre per il tumore al seno a mio giudizio, nonché alle indagini conoscitive del Ministero della Sanità. Pertanto, su quell’1 su 8 su cui più specialisti sembrano concordare ma che non ha potere predittivo, mi riservo di approfondire l’argomento.
      Indipendetemete da ciò, continuo a pensare che il solo fatto che il tumore al seno rappresenti la neoplasia più diffusa nella donna in ogni fascia d’età, con numeri reali di incidenza come quelli che ho indicato, meriterebbe ben altra attenzione dalle politiche sanitarie.
      Grazie per il suo contributo e invita anche altri epidemiologi a chiarirci le idee su un tema molto tecnico.

  2. Complimentoni per il poezzo Alberta veramente molto utile. Tutto giusto quello che dici tu e anche il commentatore che dice cose molto corrette (si vede che ne sa) per quanto riguarda i dati epidemiologici ed il rischio cumulativo in particolare che è comunque un parametro epidemiologico molto valido per capire la questione del rischio anche se difficilmente spiegabile. Di cifre ne sparano tutti e non sempre in buona fede, spesso servono per giustificare le proprie proposte ma credo che il tutto vada ricondotto a quello che si può dire oggi e non è molto facile. Tu mostri cifre con numeri assoluti in cui sembra che l’aumento di incidenza (prevalenza sarebbe meglio dire in questo caso) di tumori mammari sia spaventoso. Se non dici che in questi anni sono stati attivati i programmi di screening mammografico su tutto il territorio nazionale che hanno alterato il dato di incidenza in termini molto marcati però, non dici tutta la verità dei fatti. L’anticipazione diagnostica conseguente ha portato ad accumulare casi nei primi anni in cui lo screening è stato attivato. Col passare degli stessi l’incidenza tornerà ad essere quella vera e registrerà effettivamente nuovi casi o casi che sono sfuggiti precedentemente allo screening (cancri di intervallo cosiddetti) anzi si abbasserà proprio per questo effetto (per aver anticipato la loro diagnosi quindi “ripulito” l’incidenza degli anni successivi nei quali non si troveranno più i cancri che sono già stati diagnosticati prima) non certo perchè abbiamo ridotto l’incidenza veramente. In questo caso sarebbe impossibile non avendo noi a che fare come per il collo dell’utero ed il colon-retto con lesioni a rischio pre-cancerose (il ca. in situ non è dimostrato che sia un passaggio obbligato nella storia naturale dei tumori mammari e poi in proporzione è almeno 10 volte meno frequente dell’invasivo). La storia naturale di un tumore non è teorica è molto reale come ben sai ed è un processo molto lungo, si dice mediamente di 10 anni ma anche questa è una stima molto fittizia. Anticipare la diagnosi vuole dire che si aumenta l’incidenza dell’anno in cui il cancro è stato diagnosticato ma anche la cosiddetta sopravvivenza che però non è altro che un artefatto da ricondurre proprio all’aver anticipato di qualche anno la diagnosi di un cancro ancora in fase asintomatica che solo apparentemente aumenta quindi la sopravvivenza a 5 o 10 anni. Oggi la sopravvivenza in screening viene appunto usata per verificare se nelle aree in cui è attivo uno screening si fa diagnosi precoce quindi anticipazione diagnostica oppure che ci sono aree in cui ancora non sono stati attivati programmi.
    Per quanto riguarda le donne giovani, tutto corretto quello che dici ma se non metti il dato dell’incidenza di base che è molto basso di partenza l’aumento del 3% non significa niente: se l’incidenza sotto i 30 anni è di 3 per 100.000 donne vedi anche tu bene che il 3% non significa praticamente niente in termini numerici. Dire che il 41% dei casi avviene sotto i 50 anni è una distorsione della realtà epidemiologica in quanto si capisce bene che su mille casi ce ne sarebbero 410 sotto i 50 anni ed il resto sopra quando sia sa bene che la curva di incidenza aumenta con l’età progressivamente proprio a partire da circa 40 e più ancora dai 50. L’epidemiologia è una scienza delicata da maneggiare che ha bisogno di persone preparate e che sappiano spiegare (cosa che non sempre fanno: anche a certi epidemiologi piace mantenere il dominio sui dati e su come si producono da veri e propri sacerdoti dell’epidemiologia: anche questa è una forma di gestione del potere) l’origine dei dati che servono loro per analizzare i fenomeni sanitari. L’epidemiologia non è la statistica ma si serve della statistica e ha la necessità di rapportare tutto alla popolazione con tutte le interferenze (biases) che questo può comportare. Purtroppo all’università o anche dopo nessuno ce l’ha insegnata e questo ha favorito la creazione di una sorta di casta in cui gli sporcologi (come li chiamo io) ossia gli epidemiologi che sono disponibili a valutare gli interventi di sanità pubblica reali, sul campo con tutti i loro difetti (biases) sono molto pochi ma si può sempre rimediare. Infine il rischio di morire di una malattia o di contrarla nel corso della vita è il rischio che si corre non la certezza che si avrà quella malattia o si morirà di quella malattia quindi va considerato come dato indicativo di rischio non di certezza e non può essere tradotto in dato reale. Giustamente gli unici dati attendibili rimangono i tassi di incidenza e mortalità da registro tumori o altro oggi però pesantemente alterati dall’avvio dei programmi di screening che non rendono più intepretabile questo dato come andamento “naturale” (se mai c’è stato) di incidenza e mortalità di una determinata malattia. Da qui deriva una difficoltà in più ad avere dati che rappresentino veramente la realtà epidemiologica di fenomeni che praticamente è continuamente condizionata dagli interventi che facciamo. Bisognerebbe essere sempre onesti quando si producono e presentano dati (sia detto per tutti e non certo per te), saperli spiegare e soprattutto , sapere spiegare l’origine e cosa rappresentano veramente e saper dire per quale scopo serve comunicarli ma a chi serve se ci sono interessi in mezzo?

    1. carissimi illustri colleghi, Carlo Naldoni e Maurizio Cassi, che cortesemente mi avete illustrato la complessità dei numeri del cancro e della loro interpretazione, vorrei approfittare della vostra autorevole partecipazione al dibattito per farvi alcune domande semplici la cui risposta non riesco ad estrapolare dai vostri complessi interventi. Giusto per avere qualche punto fermo su cui concordare!
      1. Al momento attuale, su 100 donne, quante avranno un tumore al seno nel corso della vita?
      2. Tra tutti i 48.000 tumori al seno previsti nell’ultimo anno in Italia (dato AIRTUM-AIOM: i numeri del cancro in Italia versione 2014, si trova in pdf online), qual è la percentuale di questi 48.000 cancri diagnosticati in donne sotto i 50 anni, se 41% è una percentuale da “distorsione della realtà epidemiologica”?
      3. Infine: se l’aumento dell’incidenza globale è fittizio (profondamente alterato dai nostri interventi che anticipano la diagnosi), perché la mortalità rispetto al 2003-2008 (11.000 decessi/anno) è aumentata a 11.959 (dato ISTAT 2011 che ho approssimato a 12.000) e non ridotta proprio grazie ad interventi di diagnosi precoce – da cui ci si aspetta una riduzione semmai della mortalità di circa il 20% – ?
      Grazie!: credo che risposte semplici a questi quesiti aiuterebbero me e le donne a comprendere meglio la realtà oggettiva.
      P.S. A breve prevedo un piccolo approfondimento personale in epidemiologia per poter capire la valenza dei numeri a cui tutti noi addetti ai lavori facciamo quotidianamente riferimento.
      P.P.S. per Carlo: in merito a quell’aumento di incidenza annua del 3% nelle under30 e dello 0,8-0,9 nelle 30-40enni, dato che si riferisce a uno studio europeo di cui abbiamo discusso e che tu stesso hai portato alla mia attenzione http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/22456983 : si tratta di un dato che gli stessi autori, pur avvisando che è un trend che richiede ulteriori conferme, non considerano affatto trascurabile poiché nelle conclusioni dello studio affermano “The estimated annual increase in breast cancer incidence may result in a burden of the disease that is important in terms of public health and deserves further investigation of possible risk factors”. Prudenza sì, ma non minimizzerei: almeno è quello che gli autori stessi scrivono in merito.
      Di nuovo grazie per questa proficua discussione!

  3. lo screening di popolazione (che si basa sull’anticipazione diagnostica, la diagnosi precoce di un tumore invasivo) come programma di sanità pubblica (quindi compoletamente gratuito in tutte le fasi del percorso diagnostico-terapeutico) può essere proposto solo per le fasce di età e la popolazione e col test per i quali criteri studi ben condotti abbiano dimostrato efficacia in termini di riduzione della mortalità dimostrabile. Tale dimostrazione (viene detta evidenza scientifica) al momento è dimostrata solo per la mammografia biennale fra i 50 ed i 74 anni ed in misura minore per le donne fra i 45 ed i 50 anni con mammografia annuale (già alcune regioni in Italia hanno allargato l’intervento anche a questa fascia di età: Emilia-Romagna, Toscana, Piemonte p. es.); tale dimostrazione per le donne sfra i 40 ed i 45 anni (ed ancora di più sotto i 40 anni) non c’è al momento con alcun test (tanto meno con l’ecografia che è e rimane un esame complementare che va sempre pereceduto da una visita senologica e/o una mammografia essendo a discrezione del senologo se eseguirla o meno: l’ecografia come esame a se stante non andrebbe mai prescritto in prima battuta ma l’accesso dovrebbe sempre avvenire solo per visita senologica soprattutto sotto i 40 anni o in caso di nuova sintomatologia, fra i 40 ed i 45 in caso di necessità è comunque prescrivibile semopre in prima battuta una mammografia) quindi sotto questa età non è possibile avviare uno screening organizzato di popolazione attivamente proposto perchè non porterebbe alcun beneficio alla popolazione interessata in termini di riduzione della mortalità anche se singole donne comunque potrebbero usufruire dei vantaggi della diagnosi precoce anche in queste età anche se non sono dimostrabili in termini di popolazione. Il consiglio rimane quello di palparsi accuratamente mensilmente e di farsi visitare da uno specialista dedicato alla senologia (radiologo, chirurgo, oncologo o altro ma dedicato comunque) che garantisca tutto il percorso diagnostico nella stessa seduta (in genere è il radiologo senologo ma non solo) e la presa in carico successiva per il percorso terapeutico in caso di bisogno presso una breast unit, quindi è comunque importante che il senologo dedicato lavori nell’ambito di una breast unit funzionalmente organizzata come tale non necessariamente collocata in un’unica struttura, quindi di un percorso ben codificato multidisciplinare integrato con presa in carico complessiva e che segua attraverso un case manager la donna accompagnandola per mano lungo tutto il percorso stesso anche se fa capo a strutture collocate in localio località diverse e sempre senza che la donna venga abbandonata a se stessa o debba recarsi presso un CUP). In casi di riscontro di nodulo o di addensamento nuovo a qualsiasi età non presente precedentemente è assolutamente indispensabile farsi prescrivere tempestivamente una visita senologica (come prevedono le normative vigenti) presso una breast unit con scritto urgente sulla richiesta e accedere direttamente senza passare dal CUP. In questo caso per legge la breast unit è obbligata a prendere in carico la donna entro subito o al al massimo 24-48 ore.

  4. Maurizio Cassi hi fatto lasciato commenti e domande in risposta a Naldoni ma in realtà i quesiti sono per entrambi. Sarebbe così gentile da darci un ulteriore contributo leggendo (tra le risposte a Naldni) le mie 3 domande, che si rivolgono a entrambi? Grazie

  5. Torno solo oggi dopo molti giorni, non immaginavo di aver dato il là a un tale dibattito sui numeri. Provo a rispondere non tanto alle domande, ma alle esigenze di fondo che le hanno suscitate.
    1. Quante donne si ammaleranno: questo nessun ricercatore onesto potrà mai dirlo. Certo non una su otto, non credo possano sussistere dubbi in proposito. Attualmente dai dati disponibili on line si arriva a stimare un’incidenza enormemente inferiore, sicuramente sottostimata per l’incompletezza dei dati ma comunque impossibile da confrontare con una tale enormità. Dal link che ho proposto si evince che, estendendo quell’indicatore a ogni tipo di cancro, si arriverebbe alla conclusione che in futuro si ammaleranno un uomo su due e una donna su tre, se non ricordo male. Questo dovrebbe dare l’idea della natura squisitamente tecnica di quell’indicatore, che è uno strumento da addetti ai lavori e non ha alcun potere predittivo. Opera, come forse ho già detto, nell’ipotesi che nella popolazione non esistano altre cause di morte. Ipotesi irrealistica, ovviamente. La sua utilità è soprattutto comparativa, nel senso che permette di confrontare la “pericolosità sociale” di diversi tipi di tumore. Non vedo altri impieghi. Magari mi sbaglio, perché io stesso non sono un epidemiologo (a parte un’esperienza breve post laurea), ma uno statistico.
    2. Questi dati li ha esposti Naldoni e lascio a lui la risposta (magari l’ha data sopra, non lo so perché non ho purtroppo tempo di leggere tutto).
    3. La mortalità come dato assoluto (11.959 anziché 11.000) può dipendere da mille cose, non necessariamente da una maggiore diffusione: può essere aumentata la popolazione di riferimento, ad esempio; verosimilmente la popolazione è invecchiata, e i tassi di incidenza specifici per età sono in genere più elevati per le classi di età più avanzate. Purtroppo non ho il tempo di condurre un approfondimento, ma sono abbastanza confidente che già queste due circostanze potrebbero spiegare molto dell’aumento in questione. Per valutare l’incidenza e la prevalenza, ma anche la mortalità, la cosa migliore non è ricorrere ai numeri assolluti (frequenze), ma agli indicatori di rischio assoluti e relativi (non quello cumulativo, che come detto nel punto 1. è una cosa per tecnici e non un predittore).

    Tengo a precisare che il mio intervento non è volto a minimizzare la faccenda, ma a restituirla alla sua giusta dimensione. Faccio interventi di segno contrario quando leggo di tassi di sopravvivenza del 98%, che ovviamente non riguardano l’intero spettro dei tumori al seno ma solo alcune condizioni molto particolari, pur venendo spesso sbandierati come vittoria. Credo che i numeri siano di estrema importanza, e non solo perché sono il mestiere che ho scelto. Non fa bene l’eccesso di fiducia, ma nemmeno l’allarme eccessivo. Il che, è superfluo ma è bene ripeterlo, non è un rimprovero a lei, che io peraltro non avrei alcun titolo a muoverle: semmai lo è per chi, sapendo bene intendere quei numeri, ne avalla un uso del tutto sconsiderato. Quel numero, per dire, lo troverà anche qui: http://www.senato.it/bgt/pdf/docXVII9.pdf. In un documento ufficiale della Commissione Sanità del Senato. Eppure c’erano fior di esperti dell’ISS, a redigerlo. C’era l’allora senatore Marino, in Commissione. Se vuole le faccio avere il carteggio intercorso tra me e il presidente della commissione prima, la relatrice poi, e il senatore Marino alla fine, in cui nessuno ha saputo giustificarmi quel dato. Carteggio chiuso, alla fine, con un certo imbarazzo e mai ripreso per sopravvenute elezioni e rinnovo della Commissione.

    Molto ci sarebbe da dire anche sui programmi di screening e sulla conseguente sovradiagnosi, vale a dire quella percentuale di tumori che, se non fossero diagnosticati, rimarrebbero per sempre ignoti o perché in situ, o perché “coperti” da altre cause di morte. C’è addirittura chi mette in discussione l’utilità degli screening, in virtù di queste circostanze. Se davvero vuole approfondire gli aspetti quantitativi dell’epidemiologia le consiglierei (lo consiglio a tutti), prima di approcciare un vero manuale, il meraviglioso libro di Gerd Gigerenzer, che in Italiano è “Quando i numeri ingannano” (Raffaello Cortina Editore). C’è un intero capitolo dedicato al cancro al seno e all’utilità dello screening, lo legga: lo troverà di certo interessantissimo per il suo lavoro. Gigerenzer non è uno statistico, ma un luminare della psicologia cognitiva. Con parecchie competenze quantitative, questo sì.

    Ora purtroppo devo smettere di scrivere, perché è veramente molto tardi. Mi dispiace non avere tempo e modo di produrre un’analisi approfondita dei dati su sui lei invita a riflettere, ma non sarei serio se la improvvisassi: queste ricerche richiedono tempo e io, purtroppo, non ne ho. Ma se vuole ancora interloquire mi solleciti senza problemi, anche segnalandomi l’avanzamento della discussione attraverso la mia mail privata, di cui dispone. Nei limiti del mio tempo (e delle mie possiblità professionali, perché ripeto, non sono comunque un epidemiologo) parteciperò molto volentieri a scambi di idee e di dati.

  6. Aggiungo questo link che ho trovato stamattina: http://www.registri-tumori.it/PDF/AIOM2012/I_numeri_del_cancro_2012.pdf. E’ un documento ufficiale dell’AIRTUM in cui, purtroppo, ancora una volta non si chiarisce con la dovuta nettezza che non è vero che una donna su otto si ammalerà di cancro al seno. Per la verità, l’indicatore qui non viene definito come la probabilità di ammalarsi, ma nel presentare la tabella per tutti i tumori o quasi (pag. 14) si dice (pag. 13) che “Si tratta di una misura ipotetica, ma immediatamente comprensibile, sulla rilevanza di un certo tumore. Il rischio cumulativo esprime, infatti, la frequenza del tumore sottoforma di numero di persone che è necessario seguire perché una di queste durante la sua vita ne riceva la diagnosi”. Purtroppo, però, questa frase è preceduta da “La probabilità teorica individuale di avere una diagnosi di tumore nel corso della vita (per convenzione nell’intervallo di tempo che va dalla nascita agli 84 anni, 0-84) viene definita rischio cumulativo”. E’ vero, non si dice che questa sia la probabilità di ammalarsi e aggettivi come “teorico” o “ipotetico” dovrebbero indurre alla prudenza interpretativa, ma queste sono sottigliezze che possono essere apprezzate da uno statistico o da un epidemiologo; un lettore senza formazione specifica nel leggere “probabilità” pensa, io credo, che si tratti della probabilità di ammalarsi. Invece è “il numero di persone che è necessario seguire perché una di queste durante la sua vita ne riceva la diagnosi”. Non sono neppure certo che questa definizione sia giusta, e anzi secondo me non lo è. Molto meglio questa: “The cumulative risk is the risk which an individual would have of developing the cancer in question during a certain age span if no other causes of death were in operation”, che si può per esempio trovare qui: http://www.iarc.fr/en/publications/pdfs-online/epi/sp95/sp95-chap11.pdf, a pag. 33. In accordo con questa definizione, non è vero che seguendo 8 donne una di esse svilupperà il cancro al seno nel corso della propria vita, semplicemente perché esistono cause di morte concorrenti. Accadrà, in altre parole, che alcune di esse (o tutte) moriranno di qualcos’altro (auspicabilmente in tarda età, ma purtroppo questo non è vero per tutte) prima di aver potuto sviluppare il cancro al seno. Invece se si prende la popolazione, la si divide in fasce di età e si va ad osservare quanti casi ci sono in ogni classe di età si arriva a quel numero. Ma ci si arriva perché si osservano, a tutte le età, donne vive: per ottenere una probabilità e non un indicatore generico il numero dei casi dovrebbe essere rapportato non alle sole donne vive (operazione da cui scaturisce il famoso uno su otto), ma anche a tutte quelle che sono già decedute (anche) per altre cause, che alle età avanzate non sono poche.
    Lo so, è complicato. Spero di aver dato un contributo utile.

  7. Gent.mo Maurizio Cassi, così come per il collega Naldoni il suo intervento è stato veramente utile. Ho compreso il concetto di fondo e apprezzo molto il suo impegno per “dare numeri” che in ambito divulgativo non siano forieri di messaggi mistificanti. Farò riferimento anche ai link e letture che mi ha lasciato (ci vorrà un po’ di tempo) perché non vorrei diventare l’altra faccia della medaglia di chi dà percentuali di “guarigione” del 8%. Come lei, come Naldoni amo chiarezza, oggettività e verità in ambito scientifico anche e soprattutto divulgativo: in questo senso abbiamo grandi responsabilità, per cui ancora una volta grazie per il suo autorevole contributo chiarificatore.

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