Il “Corriere della sera” non conosce il femminicidio e le sue cause

2 Gennaio 2014

Il 2014 si apre male per le donne in Italia.

Con l’orrore dell’ennesimo femminicidio compiuto nel nostro Paese, a Collegno, in provincia di Torino. Un uomo che ha ammazzato la suocera, la moglie e la figlia, prima di uccidersi a sua volta.

Abbiamo spiegato moltissime volte quale sia la matrice del femmicidio e perché per questo tipo di delitto occorra una parola ad hoc: la cultura del possesso, il patriarcato che punisce ogni donna che non “rispetta le sue regole” e che vede la donna come un oggetto a disposizione del maschio, una persona che vale meno, in quanto donna, in quanto non-uomo.

Abbiamo anche molte volte messo in evidenza come questa cultura che oggettifica le donne, rappresentandole come “meno umane”, “disumanizzandole” rendendone così meno grave l’eliminazione (se, infatti, una persona è “meno persona” di un’altra, la sua eliminazione risulta meno grave) sia mantenutaanche a causa della rappresentazione mediatica delle donne, nelle pubblicità, nelle trasmissioni televisive sempre ridotta ad uno dei due stereotipi della donna-oggetto (sessuale) o della donna ridotta alla sua funzione biologica (la madre) rinchiusa nel ruolo della casalinga.

E, cosa non meno grave, abbiamo anche moltissime volte parlato del linguaggio giornalistico che troppo spesso appare del tutto inadeguato quando si tratta di femminicidi.

Un ennesimo esempio di linguaggio sbagliato, fuorviante, giustificatorio nei confronti dell’assassino, lo troviamo in questo articolo del Corriere della Sera.

Vediamolo, punto per punto, iniziando da titolo.

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Eh no. Non è una tragedia famigliare. E’ un femminicidio. Anzi. Sono TRE femminicidi e la causa non è ignota. E’ sempre la stessa. Il patriarcato. La cultura del possesso. Ormai l’abbiamo detto tante di quelle volte che mi trovo noiosa da sola.

Ma repetita juvant, dicono. Quindi lo voglio ribadire con forza: quando un uomo ammazza una donna, o più donne proprio perché sono donne, perché le reputa un suo possesso, una sua proprietà e dunque pensa di poterne disporre come vuole, decidendone anche della vita e della morte, allora si chiama FEMMINICIDIO e le cause sono note.

Il Corriere poi, visto che “le cause sono ignote” ci prova e fa delle ipotesi.

Ma non ci azzecca! La sola ipotesi corretta, che poi nemmeno è un’ipotesi, ma una certezza, non la nomina.

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Queste non sono ipotesi di motivazioni, queste si chiamano “giustificazioni” ed è molto, molto grave che un quotidiano nazionale come il “Corriere della Sera” le utilizzi. Si tratta di una fonte autorevole e una fonte autorevole non dovrebbe dare informazioni distorte, non dovrebbe giustificare un assassino. Il “Corriere” sta manipolando l’opinione del lettore. Lo sta portando ad empatizzare con l’assassino, lo sta conducendo per mano mostrandogli le miserie e i guai di un omicida plurimo, dimenticando le vittime, lasciandole in ombra e portando in primo piano il colpevole, dipingendolo come un uomo infelice e degno di compassione.

Un lettore poco consapevole empatizza subito con l’omicida, specialmente in tempo di crisi economica.

In seguito si ribadisce che l’assassino era “disoccupato da ottobre” e che si è trattato di una “tragedia famigliare”.

Errare humanum est, perseverare autem diabolicum. Insomma, un errore ripetuto non è più giustificabile in nessun modo (specialmente in questo contesto) e il Corriere in questo articolo sbaglia a più riprese.

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Non possono mancare le altre, classiche giustificazioni che sempre accompagnano le descrizioni di fatti come questo nei nostri giornali:

«Era una famiglia modello», è la descrizione emersa dalle prime testimonianze.

La classica “famiglia modello”, col “buon padre di famiglia”, della classica “famiglia tradizionale”. Che sconforto.

Se queste sono le “famiglie modello” sono ben felice di far parte di una famiglia imperfetta e piena di difetti.

Nella pagina web si inserisce poi un video, che riporta la seguente didascalia:

“Dramma famigliare: Daniele disperato per aver perso il lavoro”

Se uno si fermasse a queste sole parole non saprebbe nemmeno che sono morte tre donne.

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Il peggio, però, deve ancora venire, anche se sembra incredibile.

Le testimonianze raccontate dall’articolo:

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La famiglia era normalissima. L’uomo, mite, era preoccupato. Ed era anche malato.

Malattia e disoccupazione. Un uomo, ci dice il Corriere, se non ha vigore e salute e se non fa “l’uomo” portando a casa i soldi per la sua famiglia, ha diritto ad un po’ di compassione se poi ammazza tre donne. 

Non importa se la moglie aveva un reddito, lui non era più “l’uomo di famiglia”, lui e la moglie non rispettavano più le regole del patriarcato, in cui l’uomo vive fuori di casa e la donna in casa. Questa donna, oltretutto, aveva una vita extracasalinga ricchissima. Un’aggravante, forse?

Ma l’influenza del patriarcato è chiara ed evidentissima in uno degli ultimi passaggi dell’articolo del Corriere:

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Eccola là, l’ombra del patriarcato. Chiarissima: l’assassino e la sua cultura del possesso e del controllo della donna, in questo caso la figlia che aveva 21 anni ed era, dunque, libera di uscire e frequentare chi volesse. Ma no, il padre non gradiva. Voleva che lei tornasse a casa presto anche se la ragazza era a disagio per questo suo atteggiamento. Il patriarcato se ne frega. Il patriarcato controlla e limita, reprime e rinchiude le donne, viste come una proprietà esclusiva di un uomo.

Stride anche tantissimo il fatto che il ragazzo sia definito “fidanzatino” anche se era un uomo fatto: una infantilizzazione e una minimizzazione del suo rapporto con la ragazza uccisa.

Avrà, la giornalista, finalmente scoperto quali sono i motivi di quella che per lei era una “tragedia famigliare” dalle cause ignote?

A quanto pare no, se l’articolo si conclude con queste parole:

«Daniele era una bravissima persona, un uomo buono che non ha mai litigato con nessuno» spiega un pensionato. E ancora una signora: «Non abbiamo mai sentito grida da quella casa. Ho incontrato Daniele al supermercato. Stava comperando delle cose per la cena di Capodanno, l’avrebbe festeggiato in casa. Mai avrei pensato che sarebbe finita così».

La gravità di questo fatto è enorme. E gravissimo anche il modo in cui il “Corriere della Sera” ne ha parlato.

Un’offesa alle centinaia di donne uccise per femminicidio in Italia e non solo per le vittime di questo. Una giustificazione che non ha scusanti. Una manipolazione dell’opinione pubblica imperdonabile.

Le donne in Italia continuano a morire anche a causa di questo modo di narrare che consolida l’opinione comune che vede gli assassini delle donne come “poveri uomini pieni di problemi” che, tutto sommato, non hanno colpa, gravati come sono da malattie, dispiaceri e miserie.

 

 

6 Risposte a “Il “Corriere della sera” non conosce il femminicidio e le sue cause”

  1. Ho letto con molto interesse l’articolo perché in questo periodo mi sto occupando di linguaggio e sto cercando di farmi una opinione più matura e consapevole. Mi permetto di non essere de tutto d’accordo su alcune critiche al Corriere in questo caso, perché mi sembra che la giornalista si sia limitata a riportare un paio di testimonianze raccolte qua e la; se mai a me arriva la noia mortale con cui è stato affrontato l’argomento. Inoltre non vedo accanimento verso donne da parte di un assassino, ma la distruzione di un sistema familiare su cui non su nulla quindi sono aperto ai dubbi più di prima.
    Si perdoni il mio intervento: sto cercando di farmi una idea e ho scritto quello che ho visto, poi magari cambierò occhiali e vedrò diversamente.
    Buon lavoro

    1. L’intervento è corretto e pacato, quindi non serve perdonare niente 🙂
      Non capisco bene quando dice che lei non vede accanimento di un assassino verso le donne, ma la distruzione di un sistema famigliare…
      Intende dire che secondo lei queste uccisioni non sono in realtà dei femminicidi in senso letterale (intendendo per femminicidio l’uccisione di una donna che non si comporta secondo le “regole del patriarcato”)?

      1. Sono assistente sociale e mediatore dei conflitti familiari, lavoro con le famiglie seguendo una visione sistemica, e ho difficoltà a riassumere con un termine (in questo caso femminicidio) dinamiche molto complesse non spiegabili usando il modello causa-effetto. Ma mi rendo conto che trovare dei termini generali serva a intendersi su dei fatti che comunque si cerca di capire e di combattere. Ecco perché ho dei dubbi, ecco perché ho piacere di scrivere con lei.
        Se vuole aggiungo qualcosa.
        Sono convinto anche io che il modello fallocentrico e patriarcale sia ancora invadente e dominante nella nostra cultura e, aiuto, perfino a volte nei nostri cuori. Ma sto sperimentando un modellino investigativo a sessuato, in modo cioè da non farmi condizionare né dalla rabbia che provo verso un maschio picchiatore né dalla noia che a volte provo verso donne drogate di vittimismo. L’obiettivo è concentrarmi sul significato dei comportamenti, sopratutto rabbioso e violento, ma anche vittimista e depressivo, allo scopo di conoscerlo e debellarlo. Sto scoprendo che il patriarcato potrebbe essere dunque non il soggetto, ma un’aggravante terribile che grava sulle persone, femmine e maschi, di questa società e che da senso ai conflitti, nella misura in cui impone paradossalmente una felicità standardizzata allontanando i sistemi familiari dal vero piacere di stare insieme.
        Guardi che parlo non da una cattedra ma da una sbeccata scrivania di provincia:)
        grazie infinite per lo spazio al confronto!

        1. Sono un po’ perplessa, e chiedo scusa, perché forse sono io che continuo a non capire. Quando si parla di violenza di genere, e il femminicidio ne è il culmine, le parole “conflitto” e “mediazione” non c’entrano. Il conflitto presuppone una parità delle posizioni dei due che si stanno relazionando in modo conflittuale e quindi una mediazione ha senso. Ma quando si tratta di violenza c’è una posizione di potere. C’è una persona che, in quella relazione (non conflittuale, ma violenta), ha potere sull’altra. E la mediazione in questo caso non ha alcun senso di esistere.
          Forse è per questo che fatico tanto a comprendere il suo punto di vista…

          1. mi interessa molto quello che scrive e non vorrei occupare troppo spazio se scrivo ancora.
            io credo al contrario che nel conflitto ci sia anche una battaglia di poteri, tra chi ne vuole di più e chi non ne vuole cedere, e che la violenza non debba essere per forza fisica, anzi: e questo non c’entra coi generi. Avrei anche degli esempi che non posso riportate per ragioni di riservatezza in cui ho visto il potere a volte in mano agli uomini a volte in mano alle donne.. Ma insomma, può darsi che mi sbagli.
            Sarebbe molto bello potersi incontrare per parlare, chissà:)

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