Il corpo che ho, il corpo che sono

TinaModotti fotografata da Edwars Weston
TinaModotti fotografata da Edwars Weston

Il mio corpo è un oggetto? Beh in un certo senso sì… ma non proprio un oggetto come gli altri. O forse no.
Io non sono un oggetto! Ma il mio corpo?!
Cos’è il corpo? Platone direbbe che è la prigione dell’anima. Da una parte c’è il corpo dall’altra c’è l’anima, che è meglio del corpo.
Cartesio stesso discorso: res cogitans pensiero, res extensa corpo.
L’anima, la mente, il pensiero, la psiche, o come vogliamo chiamarla, è separata dal corpo.
Il corpo è cosa brutta e cattiva o comunque inferiore alla mente, ma soprattutto è il corpo che ho, il corpo considerato come oggetto.
Il pensiero è ciò che sono, il corpo è ciò che ho.

Arriviamo alla filosofia del Novecento e il corpo non sarà più solo il corpo che ho, ma diventerà il corpo che sono.
Husserl usa due termini “Koerpel” e “Leib”, per indicare rispettivamente il corpo oggetto e il corpo vissuto.
Il corpo oggetto è il corpo esteso, quello che occupa uno spazio, quello che ha delle misure, che ha un peso.
Un corpo così ce l’ho io, ma ce l’ha anche il mio gatto, la sedia su cui sono seduta, il computer sul quale scrivo.

Il corpo vissuto è il corpo in quanto esperienza, è il corpo che mi permette di percepire il mondo e di percepire me stesso.
Marleau-Ponty dirà che il corpo non può essere un oggetto come tutti gli altri, da tutti gli altri oggetti io posso separarmi, ma posso separarmi dal mio corpo? No.

Il mio corpo mi permette di vedere il mondo, ma io non posso vedere il mio corpo, perché io sono il mio corpo.
Bene, la fenomenologia di Husserl e Marleau-Ponty ha posto rimedio alla separazione tra corpo e mente. Non più corpo oggetto e mente soggetto!
Adesso sfogliamo una rivista di moda, ma anche di cucina, di tecnologia, una qualsiasi tanto in tutte troveremo rappresentati dei corpi, di donne, e a volte anche di uomini.
Corpi “perfetti”, giovani, sezionati. “Koerpel” direbbe Husserl, corpo oggetto.
Ci si sofferma sui dettagli, non si parla più nemmeno di corpo, si parla di glutei, di seni, di pezzi.

Fatto a pezzi nel linguaggio, fatto a pezzi nelle immagini, donne senza testa, primi piani di particolari… gambe, seni, glutei…
Misuriamolo, è un oggetto, vogliamo sapere il suo peso, le sue misure, le sue dimensioni, per vedere se questo corpo oggetto, se questo corpo che ho, è perfetto.
Ma io non solo ho il mio corpo, io sono il mio corpo. Il mio corpo è “Leib”, è vissuto.
Il mio corpo parla di me, racconta la mia storia. Il corpo è ciò che ho desiderato, ciò che ho avuto, se ho sofferto, se ho pianto, se me la sono spassata, se ho riso, il mio corpo lo sa e lo racconta.
Quelle rughe sulla fronte raccontano delle tante preoccupazioni e dei tanti problemi che ho avuto nella mia vita, quelle smagliature sulla pancia raccontano che sono una mamma, quelle gambe muscolose raccontano che sono una sportiva, quelle rughette “d’espressione” raccontano che ho riso tanto, che mi sono tanto divertita, quel corpo che sto maltrattando racconta le mie paure, la mia tristezza, la mia solitudine, la mia forza, il mio bisogno di essere amata, il mio bisogno di amarmi.
Noi non solo abbiamo un corpo, noi siamo un corpo, per questo non vogliamo più essere rappresentate e rappresentati come oggetti, i nostri corpi non vogliano essere misurati, i nostri corpi vogliono vivere, vivere e raccontare.