Contraccezione d’emergenza: guida pratica a diritti (negati)

Vorrei raccontarvi una storia in cui l’unica cosa lieta è il finale, mentre infausto è tutto il
resto.

La scorsa settimana, su segnalazione di Elisabetta Canitano, ginecologa romana membro dell’associazione Vita di donna Onlus, sono stata contattata da una giovane ragazza che aveva bisogno di assumere la pillola del giorno dopo. Il suo racconto, sfortunatamente, non mi sorprende più di tanto: sono le 2 di notte, la ragazza entra nell’unica farmacia aperta, dove un’annoiata farmacista le comunica prima che non hanno a disposizione la pillola, poi non riesce a fornirle indicazioni utili su dove reperirla.

Quando mi contatta, Rosa (nome di fantasia), non ha ancora assunto la pillola, è molto spaventata e continua a raccontarmi del senso di umiliazione a cui si è sentita sottoposta, quindi la tranquillizzo per cominciare a individuare le farmacie aperte e reperire i contatti. Siamo all’ultimo fine settimana di agosto in un paese della provincia campana, una combinazione tale da far sì che quasi tutte le farmacie siano chiuse, o quasi.

La prima disponibile dichiara di non avere a disposizione nessuno dei due contraccettivi d’emergenza, né di poterli rintracciare in tempo utile, la seconda risulta irreperibile e giungiamo dunque all’unica farmacia disponibile, che si colloca a ben tre Comuni di distanza.

Rosa è riuscita a prendere la pillola, ricevendo anche un messaggio di scuse da parte della prima farmacia a cui la ragazza ha scritto per segnalare l’accaduto e che le ha augurato di risolvere il suo
problema.
Ecco, partirei da qui per rilevare un problema non di poco conto, ovvero il fatto che quello di Rosa non è il “suo” problema, perché di volta in volta si declina attraverso nomi, città e storie differenti. Il problema è di tutti e tutte ed è una questione anche molto seria.

Come ci segnala il Ministero della Salute la contraccezione d’emergenza può avvenire secondo una modalità farmacologica e una non farmacologica. La seconda è rappresentata dallo IUD al rame (conosciuta come la spirale) che va inserita nell’utero dal ginecologo.

Ricordiamo, e lo faremo in più occasioni come un mantra, che parliamo di contraccettivi e in quanto tali essi prevengono l’impianto, quindi non sono abortivi. Alla luce di questa banale considerazione, nessun medico può rifiutarsi tecnicamente di effettuare questa operazione. Per quanto concerne invece la contraccezione farmacologica esistono le cosiddette “pillola del giorno dopo” e “pillola dei cinque giorni dopo”, che agiscono non oltre le 72 o 120 ore a seconda dei dosaggi ormonali.

Secondo le determine AIFA (Agenzia Italiano del Farmaco) dal 2015 e 2016 è possibile, laddove si sia maggiorenni, acquistare la contraccezione d’emergenza in farmacia senza bisogno di alcuna prescrizione medica, necessaria invece per i minorenni.

Anche in questo caso, come per il precedente, parliamo di farmaci che non hanno efficacia abortiva, dunque non è possibile per il farmacista negarne la vendita. Sembra facile, no? Lineare, retorico, a tratti noioso a dirla tutta. E invece no, perché altrimenti Rosa il farmaco lo avrebbe assunto alle 2 di notte, quando si è rivolta alla prima farmacia, senza aspettare quasi 24 ore, senza
dover prendere i mezzi per arrivare a 20 chilometri da casa sua.

Come se non bastasse, secondo il tavolo tecnico istituito dall’ex Ministro Beatrice Lorenzin, la contraccezione d’emergenza non è stata inserita nell’elenco dei farmaci indispensabili da tenere sempre in farmacia. Questo comporta il fatto che un farmacista qualsiasi possa serenamente dire che non ha a disposizione nessuna delle due pillole, proprio come è avvenuto nel caso di Rosa.

Che poi, sempre secondo la logica lineare e basilare di cui ci siamo avvalsi finora, risulta quantomeno paradossale che un farmaco definito d’emergenza non sia tuttavia annoverato tra quelli indispensabili da avere a disposizione. Cosa fare in questi casi? Si può chiedere al farmacista di ordinarlo e in quel caso non dovrebbe, o forse dovremmo dire non potrebbe, rifiutarsi.

C’è da dire che nei casi di obiezione, o rifiuto sui temi della contraccezione d’emergenza, è possibile rivolgersi alle autorità pubbliche o a fronte di illecito penale fare un esposto alla Procura della Repubblica. Ed è qui che il “suo” problema, il problema di Rosa, si trasforma nella questione di tutti e di tutte. Perché la contraccezione è un diritto, che va garantito secondo le modalità corrette e per cui occorre ripensare complessivamente la salute in ambito riproduttivo ripoliticizzando la relazione tra chi eroga i servizi e chi ne usufruisce, rendendo le donne e tutte le soggettività compartecipi delle pratiche relative alla propria salute.

E’ un problema di tutti e tutte, in quanto frasi come “ci sono tante altre farmacie a cui rivolgersi”, “cambia medico”, o ancora meglio “potevi pensarci prima”, non possono rientrare all’interno della nostra cultura, che invece va ricalibrata secondo pratiche di responsabilizzazione e autodeterminazione.

Lo stigma del giudizio, della colpa e del nascondimento sulle nostre scelte e sulla nostra libertà sessuale e riproduttiva non può più appartenerci, non può più rappresentarci.
Questo a patto che la storia di una ragazza di una piccola provincia campana diventi la
nostra storia, per non sentirci più sole, reagire e rispondere alle pratiche sui nostri corpi in maniera chiara e consapevole.