Charlotte è stata uccisa, Cristina è stata uccisa, Zina è stata uccisa, Mihaela è stata uccisa…

Ripetiamolo, raccontiamolo, gridiamolo forte.

A Brescia, nella notte tra il 3 e il 4 ottobre, un uomo di 79 anni, Antonio Gozzini, dopo averla stordita con un mattarello, ha ucciso con 8 coltellate la moglie, di 63 anni, Cristina Maioli. Lei insegnava lettere, lui è un pensionato. I quotidiani locali ne hanno parlato puntando, dapprima, sulla depressione di cui pareva soffrisse l’assassino, ma poi raccontando di una coppia normale, o di un uomo geloso, o di una persona gentile…. Insomma, di certo e chiaro c’è che Antonio Gozzini ha ucciso la moglie e al giudice ha dato poi risposte agghiaccianti, come “Ho vissuto normalmente con un cadavere in casa” (pare siano passate ben 15 ore dall’ora della morte di Cristina a quando sono è stato scoperto il cadavere). Anche il tentato sciucidio dell’uomo alla fine sembra che sia stato una messa in scena.

Il “Giornale di Brescia”, il principale quotidiano della città, ha scritto della vicenda in questo modo:

Il primo titolo sul Giornale di Brescia
“Erano brave persone. Lui sorridente, solare”
Stesso giornale, stessa data, stessa pagina
Stesso giornale, stessa data, stessa pagina.
Antonio Gozzini irascibile e geloso (?)

E poi lo stesso quotidiano, sempre nello stesso giorno, riportava anche il parere di uno psichiatra che nutriva qualche dubbio sul fatto che un tale gesto potesse essere collegato alla depressione

Chi uccide non è la depressione

DI questo fatto di cronaca sui quotidiani nazionali si è parlato pochissimo, forse perché era impossibile sciacallare sulla morte di Cristina, una donna di 63 anni, senza figli, Bresciana, con un marito Bresciano, dunque nessuna bella donna da sbattere in prima pagina, nessun orfano restato senza la mamma, nessuno straniero cattivo.

Il giorno dopo che la morte di Cristina Maioli macchiava di sangue la ricca città lombarda, in un’altra provincia, altrettanto ricca e lombarda, veniva uccisa Zinaida Solonari, per mano di suo marito. Zinaida aveva paura di Maurizio Quattrocchi perché lui la minacciava di morte, possessivo e aggressivo, l’aveva indotta a chiedere aiuto ai Carabinieri che le avevano suggerito di trasferirsi in un posto più protetto, con le sue figlie e così Zina era fuggita a casa di sua sorella, nel cui cortile, però, è stata uccisa dal marito che la aspettava apposta per compiere il femminicidio.

Zina, vittima di femminicidio, Zina testimone dell’inutilità del “Codice rosso” che non funziona, in quanto legge figlia della becera propaganda dalla bava alla bocca del Governo appena caduto, che si è gettato sui corpi delle donne morte, per raccattare consensi, senza mutare di una virgola non solo la condizione di rischio di chi chiede aiuto, ma men che meno le premesse socioculturali che sottendono alla violenza contro le donne. Zina vittima di suo marito, un uomo violento che si era fissato che la moglie lo tradiva (pare quasi di riuscire a sentirlo mentre le diceva: “Ti uccido e poi mi ammazzo”).

Zina lascia tre figlie, tutte minorenni, di cui due sono figlie anche di Maurizio Quattrocchi. Altre tre giovani vittime di quell’uomo crudele. Nessuna giustificazione per il gesto sui quotidiani, qualche commento da sottosviluppato sui social.

Ieri, un’altra giovane mamma ha perso la vita per mano del suo fidanzato, morta accoltellata, in cucina. Mihaela, mamma di una bimba di 6 anni, voleva interrompere la relazione con Cristian Daravoinea, e non è difficile immaginare i motivi di questa sua decisione.

E poi c’è la violenza sessuale subita da una ragazza di 19 anni a Milano, e c’è Roberta, di Lecco, 43 anni che il marito, Mario Pagano, ha ridotto in fin di vita a suon di martellate, oggi, davanti ai due figli.

A settembre, il 24, a Pozzo D’Adda, un altro uomo ha ucciso la sua compagna, Charlotte Yapi Akassi. La notizia non ha conquistato nessuna prima pagina importante, ma il colpevole, reo confesso, è ancora una volta un Italiano che ha soffocato la giovane compagna, perché, ha detto, “avevano litigato”.

Il femminicidio è l’ultimo atto di un crescendo di violenze e aggressioni che si consumano ai danni delle donne di tutte le nazionalità, anche nel nostro Paese.

Chi uccide è un uomo che ha deciso che la donna che aveva accanto era “roba sua” e che sua sarebbe dovuta sempre rimanere, volente o nolente, per sempre.

Femminicidio, una donna uccisa in quanto donna, una donna uccisa da un uomo che ritiene di poterle dire che il suo posto è quello che ha deciso lui, il suo possessore.

E allora diciamolo: Charlotte è stata uccisa dal suo compagno. Cristina è stata uccisa da suo marito, Zina è stata uccisa da suo marito, Mihaela è stata uccisa dal suo fidanzato. Quattro femminicidi in un mese. E’ la donna che viene uccisa. La donna. Non l’amore. E chi uccide è un uomo, non l’amore.

Pensavo che non fosse più un argomento di discussione, che fossero pochi, residuali, ormai, coloro che non conoscono o non accettano questo concetto, recepito, ricordiamolo, dalla Convenzione di Istanbul. Un concetto che non toglie niente a nessuno, che non fa una classifica dei morti ammazzati, ma che individua la matrice culturale della morte delle donne, colpite dalla mano del loro compagno di vita, per evidenziarne le origini e per indicare anche la soluzione che non può essere altro che un cambiamento strutturale della società e della cultura che la anima.

E invece…

A Mantova era stato organizzato un festival della letteratura poliziesca il “Festival giallo” che, nella sua prima edizione, si legge QUI, aveva questo titolo “Amoricidio: Verso il superamento del termine femminicidio”

Amoricidio? Che significa? Che l’amore è stato ucciso? Mi si perdoni, non capisco. Antonio Guzzini ha ucciso l’amore? E per uccidere l’amore ha stordito e poi accoltellato la moglie Cristina? Perché Quattrocchi ha ucciso Zina, se si tratta di “amoricidio”? E come mai Charlotte e Mihaela sono state stroncate, giovanissime? Perché Cristian e Mario volevano far fuori l’amore? Sono tutte donne morte di “amoricidio”?

Il sospetto, visto anche che uno dei relatori sarebbe dovuto essere (le proteste hanno fatto annullare l’evento) Alessandro Meluzzi, da qualche anno rivelatosi un negazionista della violenza contro le donne, è che il clima misogino e di restaurazione che non ha mai lasciato il nostro Paese, ma che sembra aver ripreso vigore, stia cercando di negare la violenza contro le donne, mettendola nel calderone generico della violenza, al grido di “la violenza non ha genere”, per depotenziare le tutele legislative messe timidamente in campo negli ultimi anni e, purtroppo, male applicate, per riportare le donne al silenzio dei panni sporchi che si lavano in casa, per togliere dignità alle istanze del femminismo, per chiudere la bocca a chi ha il coraggio di denunciare, per vendicarsi comodamente di una moglie che cerca la salvezza per sé e i figli, lasciando un marito violento (e qui il famigerato ddl Pillon era proprio un lampante esempio di tentativo di ripristinare il controllo del marito e padre padrone, come ho spiegato qui).

Cancellare, superare il termine “femminicidio”, vuol dire nascondere la violenza maschile sulle donne. Quello che non si nomina, non esiste. E invece è giusto pretendere che si affermi che, sì, il femminicidio esiste.

Cari signori e care signore negazionist*, paladini e paladine del “la violenza non ha genere”, ometti frustrati dalla forza delle donne, donnine ancelle del patriarcato, io sono qui, oggi come ieri a schiaffeggiarvi metaforicamente con questa parola che odiate tanto: femminicidio. Vi colpisca con la sua forza e vi sporchi col suo colore che oggi è quello del sangue di Charlotte, Cristina, Zina e Mihaela e, se vogliamo davvero “superarlo”, si lavori per eliminare le discriminazioni e la cultura patriarcale che sono il brodo di cui si nutre il femminicidio.

 

Una risposta a “Charlotte è stata uccisa, Cristina è stata uccisa, Zina è stata uccisa, Mihaela è stata uccisa…”

  1. Un po’ alla volta nell’indifferenza, nell’ignoranza, nella superficialità, ahimè a volte anche di noi donne, siamo ritornate ad un nuovo oscurantismo che io trovo per molti aspetti peggiore del primo! Passa l’idea che se prima la violenza forse la subivamo, ora c’è la cerchiamo! Io lavoro in una scuola superiore ed è terribile sentire quello che i ragazzi dicono delle donne e quello che a volte le ragazz stesse pensano delle altre donne!

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