Affrontando le discussioni intorno all’attentato terroristico alla redazione del giornale satirico Charlie Hebdo dove sono morti 12 tra giornalisti, vignettisti e poliziotti, è impossibile non avere dei dejavù.
Guerra all’Afghanistan, all’Iraq, le minacce di guerra alla Siria di pochi mesi fa e più indietro Guerra del Golfo.
Tutte sono state giustificate all’opinione pubblica alimentando la paura.
Ed oggi, tra mafie capitali e leghisti in trasferta, instillare la paura del “diverso” è più facile che mai.
Così i Ferrara e i Salvini, i Galli della Loggia, i Feltri e le Santanchè, sono di nuovo pronti a cavalcare il mantra dell’odio all’islam. L’islam è il nostro nemico, l’islam uccide, l’islam è terrorismo, repressione, donne schiave, bambini infelici.
I due ragazzi che hanno sparato dentro la redazione di Charlie Hebdo erano franco-algerini, erano musulmani, cresciuti in una Parigi contraddittoria e ghettizzante. Sono stati probabilmente addestrati in Arabia Saudita, uno di quei Paesi a cui mai minacceremo di fare la guerra, ma che anzi più voci occidentali hanno definito “moderato” e “moderno” nonostante sia in realtà uno dei più integralisti. L’Arabia Saudita è anche un Paese ricchissimo.
E forse questo in qualche misura influenza il giudizio,
La percezione che abbiamo del mondo islamico è appiattita su stereotipi molto nocivi in un momento di crisi delicato come questo.
La narrazione dell’islam non ci consente immediatamente di distinguere tra un paese e l’altro, tra un modo di essere musulmani e un altro. E’ talmente manipolata da dirci che l’Arabia Saudita è un paese tollerante e civile, ma che ogni musulmano che abita vicino casa nostra in Europa è un potenziale terrorista.
A facilitare i deliri razzisti dei più noti Salvini e Santanchè, alla meno nota Giovanna Tedde, assessora di un comune in provincia di Sassari, che vorrebbe vederli tutti morti i musulmani, pure i bambini, come gli ebrei con Hitler, fino ad arrivare alla vicina di casa o il collega di lavoro che hanno tanta paura di “quella gente” è stata anche l’interpretazione a senso unico delle vicende di Parigi come attentato alla libertà di espressione.
Due fazioni in lotta o, per usare un’ espressione ricorrente in questi giorni, scontro di civiltà: la civiltà della libertà contro quella della barbarie, i buoni contro i cattivi.
Uno schema tanto semplice quanto falso, una manna dal cielo per i fascisti di casa nostra, e non solo, che lo hanno utilizzato per continuare a instillare odio e intolleranza, adesso però con la preziosa opportunità di trincerarsi dietro la fantomatica libertà di espressione.
Portare avanti questo binarismo libertà contro barbarie, dove la libertà coincide con l’ “Occidente” liberista e la barbarie e l’inciviltà con “gli altri”, significa non solo banalizzare, ma anche favorire una prospettiva neocolonialista, perché se gli altri sono incivili qualcuno dovrà pure civilizzarli.
L’attentato alla redazione di Charlie Hebdo andrebbe piuttosto analizzato nel contesto francese che è quello dove i due attentatori sono nati e cresciuti, un contesto dove le persone musulmane sono i subalterni, sono ai margini, anche dal punto di vista materiale ed economico, tra leggi esplicitamente islamofobe, come quella che vieta il velo a scuola, conti aperti con un passato (e presente) colonialista e una satira che, per quanto per sua natura debba essere scorretta e dissacrante, spesso alla discriminazione aggiungeva l’irrisione, dando voce e forma a pregiudizi e stereotipi razzisti.
Una lettura un po’ più complessa potrebbe aiutarci a capire che la libertà non è tutta da una parte e la stessa cosa vale per l’inciviltà.
E così non stupiscono Salvini e Meloni che si ergono a favore della libertà di espressione, d’altronde già lo facevano le sentinelle in piedi, e nemmeno la Santanchè che vorrebbe pubblicare Charlie Hebdo in Italia, perché il mantra “libertà di espressione contro barbarie” è perfettamente funzionale a un discorso repressivo e neocolonialista. Un mantra abbastanza banale, ma dal forte impatto emotivo,così da essere facilmente recepito e produrre quella quantità di paura che è sempre utile per imporre più controlli, limitare quelle libertà che si dicevano da difendere, fare qualche guerra.
In questi giorni milioni di persone urlano “Je suis Charlie“, sui social network, sui media, per strada.
Mettendo subito in chiaro la ovvia e ferma condanna di ogni forma di fanatismo religioso e ogni conseguenza violenta di esso, è necessario considerare anche la natura della satira in cui il mondo si sta riconoscendo con questo slogan.
Citiamo un passaggio di un ottimo articolo spagnolo, tradotto qui:
Migliaia di persone comprensibilmente colpite da questo attacco, hanno condiviso messaggi in francese dicendo “Je suis Charlie” (Io sono Charlie), come se quel messaggio rappresentasse l’ultima parola in difesa della libertà. Beh, io non sono Charlie. Non mi identifico con la rappresentazione umiliante e “caricaturale” che la rivista ha reso del mondo islamico, giusto quando si realizzava la “guerra al terrore”, con tutto il peso razzista e colonialista che questo ha comportato. Non riesco a vedere in modo positivo l’aggressione simbolica costante che supportava una vera e propria aggressione fisica fatta di bombardamenti e occupazioni militari dei paesi appartenenti a quell’ orizzonte culturale. Non riesco a guardare di buon occhio quelle vignette e i loro testi offensivi, quando vedo che gli arabi sono tra i più emarginati, poveri e sfruttati nella società francese, ricordando che essi hanno storicamente ricevuto un trattamento brutale: non posso dimenticare di quel che avvenne nella metropolitana di Parigi nei primi anni ’60, con la polizia che massacrò 200 algerini che chiedevano la fine dell’occupazione francese del loro paese, occupazione che aveva causato la morte di almeno un milione di arabi giudicati “incivili”.
Non posso dimenticare la copertina del n.1099 della rivista Charlie Hebdo, dedicata al massacro di più di un migliaio di egiziani, a cura di una brutale dittatura militare avente la benedizione di Francia e Stati Uniti, con una vignetta che, banalizzando quel massacro, dice qualcosa come “Il Corano è merda: non è in grado di fermare i proiettili”.
Io non trovo divertenti questo genere di vignette, anzi, trovo che la vignetta in stile coloniale sia violenta, rappresenti un abuso reiterato delle libertà di cui la stampa occidentale afferma di disporre. Vorrei sapere cosa succederebbe se io facessi adesso una copertina di una rivista con una vignetta messa lì a recitare il motto: “Assassinio a Parigi. Charlie Hebdo è merda: non ferma neppure i proiettili” facendo la caricatura del compianto Jean Cabut crivellato con una copia della rivista nelle sue mani? Certo sarebbe uno scandalo: la vita di un francese è sacra. Quella di un egiziano (o quella di un palestinese, iracheno, siriano, ecc) è materiale “umoristico”. Quindi io non sono Charlie, perché per me la vita di ciascuno di questi egiziani crivellati è sacra esattamente come lo è la vita di ciascuno di questi vignettisti uccisi a Parigi.
Purtroppo per molti lo spirito critico finisce soffocato dalle lacrime, legittime, di questi giorni e in tutta Europa si urla il nome di Charlie come fosse stato un simbolo del libero pensiero e non un giornale che con la scusa del sarcasmo faceva propaganda bellica ed attaccava una minoranza religiosa in un Paese, la Francia, in cui sono ricorrenti le discriminazioni e le privazioni per i musulmani.
L’altro leit motiv ricorrente è l’appello ai musulmani cosiddetti “moderati” a dissociarsi dall’attentato terroristico.
Ancora lo schema “noi”, “loro”, dove noi chiediamo a loro di identificarsi come moderati perchè, in caso contrario, di default li considereremo terroristi.
Elena Donazzan, assessore all’istruzione del Veneto, fa pervenire una circolare ai presidi delle scuole della propria regione per invitare le famiglie degli studenti musulmani a condannare apertamente gli attentanti perchè ” se hanno deciso di venire a vivere in Europa, in Italia, in Veneto, devono sapere che sono accolti in una civiltà con principi e valori”.
Da ogni parte ci viene chiesto di dissociarci, di scrivere che noi stiamo con Charlie, di condannare, di provare che siamo bravi immigrati, ben integrati, degni di vivere su questa terra di pace e di libertà. Ebbene, anche se ovviamente condanno questo atto come condanno ogni violenza, non mi dissocio da niente. Non sono integrato e non chiedo scusa a nessuno. Io non ho ucciso nessuno e non c’entro niente con questa gente. Altrettanto non possono dire quelli che domani dichiareranno guerra a qualcuno in nome di questo crimine.
[…] Non sto con loro e non sto con chi li arma un giorno e poi li bombarda il giorno dopo. Non ci sto in questa storia nel suo insieme e non solo quando colpisce il cuore di questa Europa costruita su “valori di convivenza e pace”. Perché dico che questa Europa deve essere costruita su valori di pace e convivenza anche altrove, non solo internamente (ammesso che internamente lo sia).
In quanto italiane, spesso ci siamo dissociate dalle guerre che il nostro Paese ha imposto al Medio Oriente. Not in my name.
Ma se andassimo a vivere in un paese arabo, se andassimo a vivere nei balcani, se andassimo a vivere in Etiopia, non vorremmo dissociarci di continuo dai crimini del nostro Stato per essere accettate. Figuriamoci se vorremmo mai doverci dissociare da atti terroristici isolati, nemmeno governativi, per poter essere riconosciute altro da quelli.
I due attentatori era musulmani. Lo era anche Ahmed, il poliziotto di scorta di Charb ucciso fuori dalla redazione.
Lo sono anche la stragrande maggioranza delle vittime del fanatismo islamico.
Sì, perchè i primi a subire le tragiche conseguenze dell’estremismo sono i musulmani stessi.
Due giorni fa a Baqa, in Nigeria, Boko Haram ha compiuto una tremenda strage che conta 2000 morti.
La città è stata rasa al suolo, devastati 16 villaggi e centinaia di profughi sono intrappolati sulle isole nel lago Ciad.
La notizia non ha certo avuto la stessa copertura mediatica dei 12 morti di Parigi.
Sono infatti i media occidentali a cercare per primi di raccontarci gli attentati come una “guerra santa” e non un mondo in cui una forza estremista di radice islamica sta cercando di ottenere il potere in quei luoghi in cui le potenze coloniali occidentali hanno lasciato aperti conflitti asprissimi e diseguaglianze inaccettabili.
Questi morti per noi sono importanti e gravi e dolorosi tanto quanto quelli di Parigi.
Finché l’Europa non riuscirà a considerarli tali, l “occidente” starà partecipando a innestare il motivo del conflitto.
Laura & Enrica
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“Libertà contro barbarie, dove la libertà coincide con l’ “Occidente” liberista e la barbarie e l’inciviltà con “gli altri”, significa non solo banalizzare, ma anche favorire una prospettiva neocolonialista, perché se gli altri sono incivili qualcuno dovrà pure civilizzarli.” Bene e allora come definire una realtà sociale nella quale un individuo (Raif Badawi) viene, per decisione istituzionale dell’Arabia Saudita, frustato a morte o se ne sopravvive, condannato poi a 10 anni di carcere solo per aver scritto pensieri liberali? Raif Badawi è un prigioniero di coscienza, il cui unico ‘reato’ è stato quello di esercitare il diritto alla libertà d’espressione fondando un sito per il pubblico dibattito. E cosa dire di quegli esseri di Boko Haram che hanno fatto esplodere due bambine di 10 anni? Che dire della lapidazione delle donne?
“L’attentato alla redazione di Charlie Hebdo andrebbe piuttosto analizzato nel contesto francese che è quello dove i due attentatori sono nati e cresciuti, un contesto dove le persone musulmane sono i subalterni, sono ai margini, anche dal punto di vista materiale ed economico, (massì, giustifichiamoli di tutto) tra leggi esplicitamente islamofobe, come quella che vieta il velo a scuola, conti aperti con un passato colonialista (per quanto tempo ancora?) e una satira che, per quanto per sua natura debba essere scorretta e dissacrante, spesso alla discriminazione aggiungeva l’irrisione, dando voce e forma a pregiudizi e stereotipi razzisti (nota: quella satira sfotteva TUTTI indistintamente, ci andava molto pesante anche coi cristiani). Eh no, mi dispiace, ma non posso accettarlo.
Ciao Ettore, riteniamo di poter condannare l’attentato ed empatizzare con le vittime e nello stesso tempo non perdere lo spirito critico, porre la questione dell’attentato di Parigi sul piano dello “scontro di civiltà” significa spianare la strada non solo all’islamofobia di Salvini e co. ma anche alle future azioni di civilizzazione o ulteriore marginalizzazione delle persone migranti. Citi Raif Badawi, ma io non vedo nessun je suis Raif Badawi, come mai non ce ne importa niente della sua libertà di espressione? Forse perchè significherebbe accusare l’Arabia Saudita e lì non ci sono musulmani cattivi, ci sono musulmani ricchi? A me hanno insegnato che la satira con la sua irriverenza dovrebbe colpire il potere, i musulmani nella Francia attuale non rappresentano coloro che hanno il potere, rappresentano i subalterni. Obiezione che si sente spesso in questi giorni: ma colpiva tutte le religioni! (in realtà proprio tutte no , nel 2006 un vignettista fu cacciato con l’accusa di antisemitismo) è una obiezione debole a mio parere perchè la condizione dei cattolici in Francia non è la stessa di quella dei musulmani, su questi ultimi non solo c’è un forte stigma, ma ci sono anche delle condizioni materiali di subalternità. Comunque in Francia il dibattito sull’islamofobia di Charlie Hadbo era già aperto prima dell’attentato. Mi chiedi per quanto tempo la Francia dovrà fare i conti con il suo “passato” colonialista? In realtà non è del tutto passato, la Francia ha ancora delle colonie.