“Boxtrolls”, una narrazione differente

Avere bambini permette, tra le altre cose, di riuscire ad essere sempre aggiornat* sugli ultimi film di animazione e così, ieri pomeriggio, io e mia figlia ci siamo godute “Boxtrolls”, uscito in questi giorni al cinema.

Storia e personaggi sono interessanti e permettono un dialogo ricco con i bambini su temi che spaziano dalla genitorialità non “tradizionale” al razzismo, dal valore delle persone che si distinguono perché non si uniformano ai modelli dominanti, al superamento dei pregiudizi.

Ecco il trailer italiano:

A volte c’è una madre, a volte c’è un padre, a volte c’è un padre e un padre, a volte sia padri che madri (…)

Le famiglie sono di ogni forma e dimensione, perfino a rettangolo!

Il protagonista della storia è un bambino cresciuto in una famiglia non tradizionale, una di quella cattivissime, inadatte famiglie non composte da una donna e un uomo che tanto farebbero male, secondo alcune persone, ai bambini e alle bambine.

Il film ne mostra la prima infanzia, in cui Pesce (Fish), il suo “papà” si prende cura di lui, gli regala giocattoli, passa il suo tempo libero facendo musica insieme.

La vita famigliare di “Uovo” (così viene chiamato il bambino) è molto diversa da quella di Winnie, la protagonista bambina.

Lui vive con i Boxtrolls (tutti maschi), sottoterra, nascosto, mangiando vermi e insetti, attorniato da esseri viventi che non parlano una lingua “umana” e fanno un lavoro “strano”, che sono conosciuti per essere dei “ruba bambini”, dei delinquenti, dei “mostri”.

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Lei vive con una madre e un padre, in una casa rispettabile. Il padre è un uomo potente, il “capo” della cittadina in cui vive.

Ma, ecco la portata “rivoluzionaria” del film: Uovo è un bambino amato, ascoltato, un bambino che ha tutto l’affetto e l’attenzione della stranissima famiglia in cui vive. Non solo Pesce, infatti, ma tutti i Boxtrolls lo circondano di amore. Lui conosce il valore della solidarietà, dell’aiuto reciproco, della lealtà e non ha pregiudizi.

Winnie, al contrario, è una bambina sola. La madre non ha alcun ruolo nella storia e il padre è più impegnato ad assaggiar formaggi e a sperperare denaro pubblico per il suo interesse personale, che non per il benessere dei cittadini.

Il “cattivo” della storia è un altro, ma anche questo padre non è certamente una figura positiva. Non ascolta la figlia, non prende in considerazione la sua personalità, le sue passioni, non la guida. Di fatto, è un padre che non esiste.

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Non è solo lo stereotipo della famiglia tradizionale come la sola adatta a prendersi cura dell’infanzia, a cadere, in “Boxtrolls”.

Winnie non è una “bambolina rosa”, anche se ne ha l’aspetto (le apparenze ingannano!), teme i Boxtrolls per come ne sente parlare, ma vorrebbe verificare di persona se le cose che si dicono di loro siano vere. Si entusiasma per scenari “dell’orrore”, è autonoma, intelligente e non esita a prendere il comando della situazione, quando le circostanze lo richiedono.

Nel film ci sono anche altri spunti di riflessione.

Uovo non si identifica con l’etichetta di “ragazzo”, ma nemmeno con quella di “Boxtroll”, in lui convivono entrambi. Incita la sua famiglia a non rifugiarsi nel ruolo che hanno sempre ricoperto (quello di non scappare mai, di non farsi parte attiva della propria salvezza), dicendo loro che se vogliono, possono scappare, uscire dalle loro scatole, per mettersi in salvo, senza aspettare, passivi, di essere schiacciati.

Tra famiglie non tradizionali e bambine ben lontane dai classici ruoli femminili, non poteva mancare “il pazzo” (allargando il concetto: il “disabile”, o anche solo colui che non ha lo stesso modo di pensare, vivere, agire comune ai più, il “diverso” in tutti i sensi).

Il vero padre di Uovo, tenuto prigioniero per anni, è “impazzito”. Ma questo “pazzo” è un “eroe”, nel suo piccolo: scappa dal pericolo, mostra a Uovo il suo valore, quel che è riuscito a fare per salvare i Boxtrolls e alla fine, con Pesce, torna a fare il padre al figlio perduto.

Non posso, per concludere, evitare di fare un cenno all’altro pregiudizio che il film distrugge: quello razziale , in particolare, quello che affligge il popolo Rom, da sempre visto come colpevole di rubare i bambini e oggetti preziosi ai “bianchi”.

A Pontecacio (la cittadina dove è ambientato il film) si insegna alla gente a stare casa la sera, a chiudere bene le case, a stare attenti ai propri figli, perché i Boxtrolls li rubano (e li mangiano).

Quante analogie con “gli Zingari” che “rapiscono i bambini”!

Ma è vero che i Boxtrolls sono ladri di bambini?

No, come non è vero per gli “Zingari”, è solo uno stigma, un pregiudizio (vedere qui e qui, per esempio).

Ed è vero che i Boxtrolls sono pericolosi per la cittadina? Che, lasciati liberi e non costretti a rifugiarsi sottoterra, rappresenterebbero un problema per gli altri?

No. Come si dice oggi, è una “bufala”, architettata ad arte dal cattivo della storia che così alimenta paura e pregiudizi, per averne un beneficio personale.

Si diffonde una notizia falsa o manipolata ad hoc e la si fa circolare il più possibile in modo da creare “un nemico” contro il quale l’opinione pubblica viene indotta a scagliarsi in un modo o nell’altro, dal momento che produce odio e intolleranza.

Qui, un esempio di “bufala” guarda caso concernente ancora il popolo Rom, uno dei più vessati dai pregiudizi in ogni epoca.

Dunque, “Boxtrolls”, una “narrAzione differente” che spazza via in un’ora e mezza pregiudizi sulle famiglie non tradizionali, sulle bambine, sui “pazzi” e anche sugli “Zingari”, facendo divertire e invitandoci ad “andare a vedere con i nostri occhi”, scavalcando il “sentito dire”.

Non si perda l’occasione di andare a vederlo con i propri figli e le proprie figlie per riflettere insieme e ampliare i loro (e i propri) orizzonti.

(Grazie ad Antonella, un’amica speciale, che mi ha fornito la documentazione riguardante il popolo Rom che ho usato nel post).