Abusi sessuali durante stage. Riportare l’attenzione sulla violenza

Quattro ragazze, tra i 15 e i 17 anni, hanno denunciato per violenza sessuale un uomo di 54 anni gestore di un centro estetico a Monza. 
L’uomo, ora arrestato, era il loro tutor nel percorso di alternanza scuola-lavoro.
Le ragazze frequentano una scuola professionale per diventare estetiste, percorsi di formazione regionali alternativi alla scuola, che studenti e studentesse possono seguire a partire dai 15 anni per adempiere all’obbligo scolastico.
Lo scorso febbraio una studentessa si rivolge al consultorio per denunciare le violenze subite, da lì partono le indagini e le denunce da parte delle altre vittime del titolare dell’attività.

“Soffrivano tutte di un potente senso di colpa per non essere state in grado di rifiutarsi” sostiene la procuratrice di Monza, Luisa Zanetti. Da qui anche il sospetto, che ha chi sta svolgendo le indagini, che le vittime possano essere in numero maggiore.

Sappiamo che la paura di non essere credute e addirittura essere colpevolizzate, blocca tante donne nelle denunce. Paure che purtroppo spesso sono fondate, perché di donne che da vittime son passate al tavolo delle imputate ne abbiamo viste tante, sia nelle aule dei tribunali che nelle sentenze sui social, con il risultato, per molte di queste donne, di interiorizzare vergogna e senso di colpa.

La notizia delle violenze sessuali subite dalle quattro ragazze è stata riportata da diverse testate giornalistiche mettendo sotto accusa la legge di riforma della scuola 107/2015, meglio conosciuta come “Buona Scuola”, nella misura in cui questa ha istituito l’obbligatorietà dell’alternanza scuola- lavoro per tutte le scuole superiori di secondo grado, a partire dal terzo anno, con un monte ore variabile in base all’ordine di scuola, ma comunque considerevole.

Non è stato facile ricostruire correttamente la notizia e arrivare alla conclusione che lo stage che stavano svolgendo le studentesse nel centro estetico non è quello introdotto dalla legge 107, ma quello previsto nei centri di formazione professionale, come quello per estetiste che frequentavano le ragazze.

L’importanza di questa precisazione si rende necessaria al solo scopo di riportare l’attenzione dalla critica dell’alternanza scuola-lavoro a quella della violenza. Per ribadire quello che dovrebbe essere ovvio: la colpa dello stupratore, perché questa sembra essersi persa nell’urgenza di denunciare l’odiata riforma della scuola.

Sono un’insegnante, la odio anche io quella riforma. Ritengo molto dannosa l’introduzione dell’obbligatorietà dell’alternanza scuola-lavoro, che considero pessima a prescindere. Non c’è possibilità di farla bene, è strutturalmente negativa. Ma non è la causa della violenza sessuale subita dalle quattro giovani.

Non ne è la causa, ma ciò non significa che non c’entri nulla. Perché una volta che abbiamo ristabilito il focus dell’attenzione dalla critica alla Buona Scuola, alla violenza subita da queste ragazze, allora possiamo anche dire che stage, alternanza scuola-lavoro e tutte le forme, precoci e non, di sfruttamento sul lavoro contribuiscono a creare rapporti di potere in cui si insinuano violenze e discriminazioni.

Le ragazze erano in una posizione di subordinazione rispetto al titolare del centro estetico, questo aveva su di loro un potere dato dalla maggiore età, dal ruolo, dalla possibilità di assegnare un giudizio al lavoro svolto dalle studentesse, dal fatto di essere un uomo.
Con l’alternanza scuola-lavoro tanti ragazzi e ragazze sperimentano precocemente un mondo del lavoro privo di tutele e diritti, così si amplia la platea dei possibili ricattati e sfruttati.
E in un mercato del lavoro dove le donne sono ancora i soggetti più fragili, la mancanza di tutele colpisce tutt*, ma in primis loro.

Allora abbiamo il dovere di accogliere le parole dei ragazzi e delle ragazze del sindacato studentesco, la loro richiesta di una scuola che non alimenti rapporti sessiti, ma insegni piuttosto a riconoscerli, in casa, nelle aule scolastiche, sul posto di lavoro.

“Il caso delle ragazze minorenni violentate a Monza mette in luce quanto nell’Italia di oggi siano ancora forti i casi di violenze sessuali e abusi praticati anche nei luoghi di lavoro. Indignarsi non basta, noi non siamo oggetti, non possiamo essere esposte a questi abusi senza alcun tipo di tutela. Abbiamo la necessità oggi più che mai di prevenire questi casi attraverso l’educazione alla sessualità, questo deve avvenire proprio dai banchi di scuola dove si coltiva il sessismo e un’idea malsana dei rapporti.”