Violenza sul treno ai danni di una ragazzina: tra pessimo giornalismo e gravi mancanze politiche

La notizia è di qualche giorno fa: una giovanissima ragazza nel Milanese, rimasta sola nello scompartimento del treno che prendeva per tornare da scuola, è stata molestata e picchiata da due uomini. Le botte devono essere state piuttosto forti, se le hanno rotto una costola e se ha ricevuto una prognosi di 30 giorni.

La vittima ha raccontato che i suoi aggressori non li aveva mai visti e che avevano un accento nordafricano.

Le indagini sono avanzate abbastanza velocemente, i fatti sono stati ricostruiti con rapidità.

Sembra che la ragazza fosse stata contattata un anno fa attraverso i social da uno dei due aggressori che chiedeva insistentemente di incontrarla e che, siccome lei si sarebbe sempre rifiutata, l’uomo si “sia vendicato” (?), picchiandola e molestandola.

Ci dice Repubblica:

Il primo sospettato è dunque uno straniero che un anno fa aveva contattato la ragazza su Facebook manifestando un tentativo di approccio e l’intenzione di incontrarla. Da verificare cosa sia successo per tutto il periodo successivo e fino a giovedì quando la ragazza, secondo la pista seguita alla polizia, sarebbe stata vittima di una spedizione punitiva proprio per il rifiuto delle avanche. Escluse, invece, le ipotesi di una rapina o di un agguato improvviso.

Amareggiata, penso che non siamo libere, noi donne, ancora oggi, di rifiutare il corteggiamento (anche molesto), senza avere il timore di subire aggressioni. Penso che ci siano ancora troppe persone convinte che una ragazza o una donna sia un oggetto destinato ad “appartenere” a qualcuno, un oggetto eternamente disponibile all'”uso”.

La stampa, per adesso ci ha detto che la ragazza aveva sempre rifiutato le attenzioni in chat dell’uomo, immagino cosa sarebbe accaduto se avesse, invece, dimostrato apertura e interesse! Apriti cielo! Avremmo assistito al solito attacco di “quelli che se l’è andata a cercare”, perché una ragazza, se dimostra interesse per un uomo, poi deve subire le conseguenze e accogliere su di sé anche la responsabilità di atti violenti agiti dal corteggiatore, che è, evidentemente, un minorato che non risponde delle sue azioni, visto che le compie sempre “per colpa” di chi l’ha “provocato”.

Purtroppo queste dinamiche e questi commenti spazzatura non ci sono nuovi, così come non ci sono nuovi i commenti dei vari Salvini e compagnia:

“Per quelli che violentano – scrive su Facebook Matteo Salvini – una pillola, ZAC e non lo fanno più!”. E Daniela Santanchè: “Ecco cosa si ottiene ad accogliere gli immigrati. Siamo diventati schiavi di questi signori”. (fonte)

Anche i vari moniti che invitano le persone ad un uso oculato del web e delle chat sono triti e ritriti e, pur riconoscendo che è vero che nel web e sui social si possono incontrare dei malintenzionati, puntare il dito contro il mezzo non aiuta. Serve una presa di coscienza e di consapevolezza unanime, perché colpevole di un’aggressione di stampo sessista non è la chat, ma la persona e il mondo di (dis)valori che porta con sé.

repubblica
Da “Repubblica”

Io sono mamma, e mi rendo conto di essere una di quelle mamme che continuamente ripete ai propri figli che le persone che stanno dietro un computer o un telefono possono essere bugiarde, cattive e in totale malafede, ma sono – soprattutto – una di quelle madri che ai propri figli insegna, per primissima cosa, il rispetto. Mi colpisce in modo negativo la mancanza di presa di coscienza del sindaco di Milano che invita i ragazzi, non a rispettare le donne, ad accettare il rifiuto con serenità, a considerare le donne come persone e non come oggetti da possedere, anche senza il loro consenso, ma a “stare attenti ai rischi delle chat”. 

Beppe Sala continua a stupirmi in negativo, perché, sempre secondo Repubblica , “apre ai militari nelle stazioni”.

Intendiamoci, io penso che per contrastare la violenza contro le donne, la sicurezza e le azioni mirate in tal senso, siano importantissime, ma continuo a ritenere che l’ottica securitaria, la colpevolizzazione dei social e simili atteggiamenti, sviino il fulcro del problema, lo banalizzino e lo ridicolizzino, che questo atteggiamento deresponsabilizzi la società, che non aiuti minimamente a riconoscere che abbiamo un grosso problema culturale, che i nostri retaggi patriarcali sono ancora ben presenti e che ancora facciano vittime. La sicurezza va benissimo, me deve necessariamente essere accompagnata da una assunzione di responsabilità collettiva, che si estrinsechi in misure educative/preventive capillari ed adeguate, da stanziamenti di fondi pubblici indirizzati in maniera specifica ai centri antiviolenza, alle campagne di sensibilizzazione intelligente, agli interventi nelle scuole, fin dai primissimi anni, all’adeguamento dei programmi scolastici alle disposizioni della Convenzione di Istanbul. La prevenzione della violenza contro le donne deve stare al centro dell’agenda politica del Paese, prima di tutto a livello nazionale.

“Non sono concettualmente contrario ai militari a presidio delle stazioni per garantire la sicurezza sui treni – ha spiegato il sindaco – ma il tema della sicurezza va gestito attraverso varie leve”, usando ad esempio la tecnologia. “Occorre capire anche quante telecamere si possono mettere sui mezzi e nelle stazioni, poi – è il ragionamento di Sala – conta anche il dimensionamento dei treni: se sono treni grandi con poca gente è anche difficile proteggerla. Non è facile ma bisogna lavorarci. Poi vengono i militari”. In ogni caso “ci siamo sentiti con Maroni e ci siamo detti che in questi giorni ci incontreremo”.

“Abbiamo il dovere di vigilare di più”, aveva detto già ieri Sala, richiamando una responsabilità declinata al plurale che coinvolge di sicuro la Regione, visto che i mezzi di trasporto più usati dai pendolari – oltre a quelli di Atm – sono i treni di Trenord. E tra le misure al vaglio, c’è appunto quella che passa da Roma, indicata dall’assessore regionale ai Trasporti Alessandro Sorte: “Dobbiamo tornare a chiedere i militari in tutte le stazioni, non solo a Milano. Da tempo anche il sindaco di Bergamo Giorgio Gori ha chiesto l’invio dell’esercito per presidiare la città, senza avere risposta”. Le divise come deterrente, quindi, come quelle che a Milano non sono mai andate via, ma sono aumentate dopo l’accordo tra Comune e ministero dell’Interno.

Personalmente, come donna, trovo avvilente quanto si legge alla fine dell’articolo:

I militari andrebbero ad aggiungersi alle misure già prese dalla Regione sui convogli di Trenord, 2.300 treni che viaggiano ogni giorno: “Abbiamo investito 3 milioni nel progetto per le guardie giurate armate sui treni delle linee con maggiori criticità”, spiega Sorte. Una trentina di guardie sono già in servizio, altre 50 – dopo il test della prefettura – entreranno in servizio entro fine anno.

E poi c’è il progetto “safe & quiet on board”: su tutti i nuovi treni di Trenord verrà realizzata una carrozza a centro treno, ben segnalata, con telecamere e pulsanti di emergenza, da usare per richiamare l’attenzione del personale. Una carrozza pensata proprio per donne, anziani e ragazzi che viaggiano soli. Nei primi dieci mesi del 2016 il punto sicurezza di Trenord ha ricevuto oltre 2mila segnalazioni, il 51 per cento in più dell’anno precendente

In Italia è più facile che si pensi a rendere sicuro per le donne, viaggiare, riservando loro carrozze speciali, piuttosto che non insegnando ai ragazzi il rispetto e la parità.

E se queste carrozze diventassero la normalità sui nostri treni, ma una donna, per esempio, non le volesse usare? Se poi le accadesse qualcosa, di chi sarebbe la colpa? Non sarebbe, forse, andata a cercarsela, visto che ha scelto di non segregarsi nella carrozza speciale?

Lo sconforto mi prende ancora di più, quando leggo la contraddizione tra la presenza di militari e le carrozze speciali (nei treni) e la diminuzione delle corse dei mezzi pubblici di Milano, anche se non in orario di punta.

Come a dire che per noi donne, che siamo le maggiori utenti del trasporto pubblico, le attese per i nostri spostamenti saranno più lunghe, però, in compenso, potremo avere carrozze speciali a noi riservate. Avvilente.

Questa storia, dunque, dimostra ancora chiaramente, come i passi da fare per giungere a serie misure di prevenzione e contrasto della violenza contro le donne, siano ancora tantissimi e non solo non c’è ancora una presa di posizione pubblica e collettiva sulle responsabilità storiche, sociali e culturali (oltre che individuali del singolo aggressore), ma c’è anche uno scarsissimo rispetto e una deplorevole ignoranza su cosa significhi per una donna (specialmente se molto giovane), essere stata vittima di un’aggressione di stampo maschilista.

Questa volta è il Corriere che ci informa che uno dei due aggressori sarebbe “braccato” dalla polizia.

Leggiamo:

corriere

Cosa vorrebbe dire quell'”aiuto” tra virgolette? Come si fa a non capire che una giovanissima vittima abbia vergogna, paura e sentimenti contrastanti nei riguardi di quello che le è accaduto? Come sarebbe a dire che la vittima “non ha aiutato abbastanza” la polizia? 

Parlare della violenza maschile, per una ragazzina (ma anche per una donna adulta) non è mai facile. I sentimenti che agitano la sua mente sono dolorosi, intensi. La ragazzina ha raccontato l’accaduto solo il giorno successivo, perché ha avuto dei malori in classe. Con la mamma, il giorno dell’aggressione, non si era confidata. Perché?

La risposta è ancora una volta culturale: in un contesto in cui la violenza contro le donne è vista come una conseguenza di un atto della vittima, o di un raptus momentaneo dell’aggressore, o della “natura” maschile, la ragazzina avrà avuto timore di sentirsi giudicata in qualche modo colpevole (o di aver provocato, o di essere stata troppo ingenua, o di non aver saputo proteggersi).

Non solo: la violenza maschile (specialmente se si è espressa attraverso atti sessuali) lascia una sensazione di sporcizia e di vergogna, perché va a toccare l’intimità della vittima: ci si sente ancora violentate, quando se ne parla, quando si descrive quello che è accaduto, ci si sente esposte, violate, scrutate, messe sotto la lente di ingrandimento, nude e indifese.

Imperdonabile il modo in cui il Corriere si è espresso e in cui continua ad esprimersi.

[…] ha avuto una costola fracassata, contusioni, ferite e uno stato di choc. Stato che potrebbe essere una delle cause (non l’unica) dell’iniziale silenzio della 16enne che dopo l’aggressione non ha raccontato nulla alla mamma.

No, caro giornalista Andrea Galli, lo stato della ragazzina non è stata sicuramente l’unica causa del suo iniziale silenzio. La causa principale è il senso di colpa e di inadeguatezza, di vergogna e di dolore che queste violenze causano alla vittima, per via del clima sociale e culturale che circonda ogni storia di violenza maschile sulle donne.

Chiedo con forza un altro modo di parlare di violenza contro le donne, che parta sempre dal riconoscimento della responsabilità collettiva e della mentalità della società, perché parole come queste:

corriere2

io non le voglio più leggere.

La violenza non è una “punizione” conseguente a precedenti dinieghi, l’aggressore non è un “picchiatore dalla furia animale” e la ragazzina non ha “concesso” informazioni per reticenza sospetta.

In questa vicenda (come in tutte le altre simili), la violenza è una libera scelta di un uomo che non accetta che una donna abbia la libertà di rifiutare un suo approccio e la vittima, giovanissima, non avrebbe dovuto avere nessun timore a raccontare quanto accaduto, se non altro perché avrebbe dovuto essere certa dell’unanime riconoscimento del suo stato di vittima e della colpa dell’aggressore e, se invece, il suo racconto è stato difficoltoso e parziale, è stato solo perché ancora oggi la donna vittima di violenza è vista troppo spesso come connivente, leggera, incauta, quando non espressamente colpevole.

 

Una risposta a “Violenza sul treno ai danni di una ragazzina: tra pessimo giornalismo e gravi mancanze politiche”

  1. non è mai colpa di chi subisce violenza. Mai. Una cosa: accettare un rifiuto con serenità non è semplice, ma la frustrazione (quasi inevitabile) va gestita e superata, l’altra persona ha diritto di dirci di no

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